Partitura macabra
Un prodotto che voglia adattare, nel 2013, i racconti di un autore come Edgar Allan Poe, suscita di per sé un certo interesse. Il maestro americano, infatti, è in assoluto uno degli scrittori più saccheggiati dal cinema: la sua opera è stata riletta in lungo e in largo fin dagli albori della Settima Arte, da grandi cineasti come da mestieranti più o meno dotati, tra versioni filologiche, riletture spurie (quelle di Roger Corman) e adattamenti in chiave moderna (si ricordi Due occhi diabolici di Dario Argento e George A. Romero) omaggi più o meno espliciti e vere e proprie versioni non ufficiali dei suoi scritti. Un tale "saccheggio" fa quasi pensare che Poe, le sue ossessioni, il suo mondo poetico e le sue angoscianti ricognizioni sulla mente umana, abbiano ormai dato al cinema tutto ciò che potevano dare. Questo P.O.E. - Poetry of Eerie, prodotto indipendente nostrano che scomoda (fin dal titolo) un mostro sacro della letteratura, non può quindi che richiamare su di sé una giustificata curiosità: gli stessi contorni del progetto (un collage di brevissimi cortometraggi, un budget limitatissimo, un'ambientazione rigorosamente moderna) rappresentavano di per sé una sfida per i registi coinvolti. Questa sfida, è bene dirlo, ha un punto di partenza fermo, che gli stessi autori hanno voluto rimarcare: l'idea di partenza era quella di prendere un elemento, un'idea, anche semplicemente una suggestione, da un racconto di Poe, per poi svilupparlo nella direzione che si desiderava. La fedeltà filologica, e l'aderenza letterale, non vanno ricercate qui.
Stabilito questo, si può analizzare serenamente il prodotto, che consta di otto episodi (ma nella versione integrale erano tredici) ispirati ad altrettanti scritti del maestro di Boston. Si va dall'asciuttezza quasi astratta di Silenzio dei fratelli Angelo e Giuseppe Capasso, all'incubo psicologico e post-apocalittico de La Sfinge di Alessandro Giordani, dalla rilettura ironica del Valdemar di Edo Tagliavini a quella liberissima e grottesca del Gordon Pym di Giovanni Pianigiani e Bruno di Marcello, dal gustoso cartoon a passo uno ispirato a Il gatto nero di Paolo Gaudio alle versioni moderne e metropolitane de L'uomo della folla e Il giocatore di scacchi di Maelzel (realizzati rispettivamente da Paolo Fazzini e Domiziano Cristopharo). La rudimentale divisione che abbiamo qui accennato (da cui è rimasto fuori l'affascinante Canto, realizzato dallo stesso Cristopharo sotto il nome di una misteriosa - e inesistente - Yumiko Sakura Itou) può dare già un'idea dell'eterogeneità del progetto: eterogeneità "costitutiva", connaturata all'idea stessa del film, che di esso è, insieme, peculiarità e punto debole. L'estrema libertà creativa che ha caratterizzato questo progetto, l'attitudine di ogni regista a spaziare nei territori a lui più congeniali, partendo da un semplice spunto, ha conferito infatti a ogni episodio, in sé, un fascino specifico e una suggestione diversa; ma ha anche fatto sì che l'insieme ne risulti, complessivamente, poco armonico. Non si tratta qui, lo ripetiamo, della "fedeltà" (termine che in sé significa poco) agli scritti di Poe, argomento che sarebbe pretestuoso tirare in ballo: il tallone di Achille di questo, comunque affascinante, P.O.E. - Poetry of Eeerie, sta piuttosto nell'estrema, quasi incontrollata varietà dei registri adottati. Varietà che, in un prodotto collettivo, rappresenta in genere una ricchezza e un sinonimo di completezza; quando è contemperata (e qui non sempre accade) da un certo grado di sintesi e visione unitaria. Il rigore (anche narrativo) di un episodio come quello di Fazzini e Cristopharo, ad esempio, mal si amalgama con la destrutturazione grottesca, ironica e consapevole, di quello di Tagliavini, o con la sanguigna rilettura del frammento del Gordon Pym portata sullo schermo da Pianigiani e Di Marcello. Lo spettatore resta stordito da tante "voci" diverse e non sempre consonanti, che si traducono anche in "stacchi", sul piano visivo e fotografico, abbastanza evidenti. Resta comunque, in questo assemblaggio di storie e visioni tratte da opere che, in sé, non smetteranno mai di chiamare a nuove interpretazioni, lo sforzo (comune) di offrire un prodotto curato, il fascino indipendente del suo mood, lo sguardo creativo e non banale che in qualche modo riesce ad accomunare i diversi frammenti. Ennesima prova di una realtà indipendente, orgogliosamente fuori dalle logiche della grande distribuzione, che continua a caratterizzare la parte "nascosta" (ma più vitale) del nostro cinema. Decisioni incomprensibili, come il divieto ai minori di 18 anni accordato a questo film, non aiutano certo la sua emersione.
Movieplayer.it
3.0/5