Recensione Forgotten Silver (1995)

Jackson codiresse insieme a Costa Botes nel 1995 un documentario destinato a turlupinare l'intera Nuova Zelanda su di un pioniere del cinema in realtà mai esistito.

Verosimilmente falso e falsamente verosimile

Nel 1995 andò in onda sulla televisione neozelandese un documentario che destabilizzò l'intero paese. Peter Jackson introdusse e accompagnò i telespettatori, per tutta la durata dell'incredibile testimonianza, alla scoperta di un loro connazionale che fu il primo al mondo ad inventare le tecniche e le basi del linguaggio cinematografico. Il suo nome: Colin McKenzie. La sua vocazione: pioniere maledetto del cinema. Un documento che avrebbe spodestato dagli archivi storiografici i fratelli Lumière e costretto a riconsiderare le posizioni di rilievo occupate dai primi veri cineasti quali David W. Griffith ed Orson Welles. Ma se chi legge non sa assolutamente niente di questa storia, beh, una ragione c'è.

Il film comincia con Jackson che ci spiega come sia entrato in possesso di vecchie pellicole girate nei primi anni del '900. Un'amica di famiglia, una certa Hannah McKenzie, gli chiese se era interessato alle bobine ritrovate in qualche dimenticata soffitta del suo defunto marito. Visionandole, Jackson ed il coregista Costa Botes, si resero conto di trovarsi di fronte a qualcosa di sbalorditivo. Insieme alla moglie riuscirono a ricostruire la vita di Colin McKenzie (1888-1937). Egli progettò a dodici anni la prima macchina da presa e fabbricò la pellicola utilizzando foglie di lino e spropositate quantità d'albume d'uovo. Un trafiletto del giornale dell'epoca mette in evidenza un atroce furto di duemila dozzine d'uova in un pollaio. Questa vicenda fece infuriare il padre che mise al rogo tutto il materiale cinematografico, esclusa la cinepresa prontamente nascosta dalla madre. Nel 1908 girò il suo primo lungometraggio creando addirittura un sistema di sincronizzazione tra suono e immagini. Non fu apprezzato poiché gli interpreti erano cinesi e nessuno capì cosa dicessero.

Nel 1911, grazie ad un'intuizione ingegnosa, McKenzie creò un composto che permise alla pellicola di reagire alle diverse intensità della luce catturandone i colori. Dovette spostarsi a Tahiti per recuperare l'ingrediente segreto della mistura. Riprese le verdi foreste, i villaggi e le donne del posto. Ritornato in patria, convinto di aver fatto la scoperta del secolo, fu arrestato per aver immortalato selvagge a seno nudo e condannato per oscenità. Il ritrovamento di altro materiale spinse i registi ad organizzare una spedizione nell'entroterra della Nuova Zelanda, riuscendo a scovare le scenografie nascoste dalla vegetazione della Gerusalemme ricostruita per il kolossal Salomé, prodotto dai russi e da una cosca di mafiosi. Rimase purtroppo la sua opera incompiuta.

Il punto è questo: Colin McKenzie non è mai esistito. Tutte le immagini del documentario, inclusi i vecchi film, sono stati realizzati da Peter Jackson che ha voluto festeggiare con questa geniale farsa il centenario del cinema. E tutti gli attori, produttori, critici come Harvey Weinstein e Sam Neill che intervengono con commenti spassionati sono stati al gioco, tanto da garantire la necessaria attendibilità del documento. Quando la burla venne rivelata tutti i neozelandesi che non digerirono la presa in giro accusarono la New Zealand Film Commission di sperperare i fondi pubblici per soddisfare i capricci di un sintetico intellettuale come Peter Jackson, oggi meglio conosciuto come il signore degli anelli. Avranno cambiato opinione probabilmente.