Forse ci stiamo facendo vecchi. Unbreakable, uno dei film più amati di M. Night Shyamalan, ha già vent'anni. Veniva presentato infatti il 14 novembre del 2000 a New York. In Italia lo abbiamo visto qualche mese più tardi. Ricordo ancora la sensazione provata davanti a quel film, visto in un pomeriggio infrasettimanale, in un cinema di Trieste. Non era ben chiaro quello a cui stavamo assistendo. E, a dire il vero, non è stato ben chiaro neanche una volta finito il film. Unbreakable è un film che, a suo tempo, lasciava spiazzati, interdetti. Non avevamo ancora chiara quella che era la poetica di M. Night Shyamalan, di cui avevamo visto Il sesto senso, che era stato un successo a sorpresa. Ma non eravamo abituati neanche a vedere un film che parlasse di supereroi, ma che li rappresentasse in modo diverso, nascondendosi, e nascondendoli. Questo modo di raccontare l'eroe, di raccontare i fumetti, lo avremmo compreso solo qualche anno dopo, quando sarebbe diventato di tendenza. Merito di Unbreakable, e di M. Night Shyamalan, o solo un caso? Questo non possiamo dirlo con certezza, ma ci piace pensare che il piccolo grande film dell'autore di origine indiana abbia dato il suo contributo a un certo modo di portare i cinecomic sul grande schermo.
David Dunn, (super)eroe per caso. O no?
Unbreakable - Il predestinato racconta la storia di un uomo comune. Si chiama David Dunn (Bruce Willis), ha una vita monotona - è un custode allo stadio di Philadelphia - e un matrimonio che sta per finire: con la moglie (Robin Wright) quasi non si parlano più. A seguito di un terribile incidente ferroviario, lo troviamo nel pronto soccorso di un ospedale: i passeggeri di quel treno sono tutti morti, ma David Dunn non ha nemmeno un graffio. Quel fatto, e un biglietto che trova sul parabrezza dell'auto ("quanti giorni in vita tua sei stato malato?") lo fa riflettere: non ha mai avuto neanche un raffreddore, non ha mai saltato un giorno di scuola o di lavoro. L'uomo che gli ha lasciato quel biglietto, Elijah Price (Samuel L. Jackson), ha una galleria d'arte di fumetti, e le ossa incredibilmente fragili. È lui a esporgli la sua teoria: se c'è un uomo fragilissimo, di vetro, all'altro lato dello spettro deve esserci un uomo indistruttibile. Come un eroe dei fumetti. Come Superman. Solo che lui ancora non lo sa: e David Dunn non solo non sa tutto questo, ma ne dubita fortemente. È davvero un supereroe? Ha altri poteri? E, ammesso che li abbia, come deve comportarsi?
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Un cinecomic mascherato da thriller psicologico
Ma perché, alla fine di Unbreakable, non sapevamo davvero che cosa avevamo appena visto? Perché il supereroe di Bruce Willis è tenuto nascosto, in tutti i sensi. All'epoca la Touchstone Pictures lanciò Unbreakable come un thriller psicologico. M. Night Shyamalan, e il suo attore feticcio Bruce Willis, erano reduci dal successo a sorpresa de Il sesto senso, e la major ovviamente provava a seguire l'onda di quel successo. Ma erano anni in cui i cinecomic, i supereroi al cinema, non se la cavavano troppo bene. Sembra assurdo pensare una cosa simile vent'anni dopo, dopo tutto quello che è successo nel frattempo. Ma, in quel momento, c'erano stati sempre casi piuttosto sporadici. Gli anni Ottanta erano iniziati con i Superman di Richard Donner, buoni film di cassetta e poco più, ed erano finiti con i Batman di Tim Burton, che univano incassi e qualità. Molti altri tentativi erano stai dei flop, e doveva ancora arrivare lo Spider-man di Sam Raimi che avrebbe rilanciato un genere. A lanciare Unbreakable come thriller psicologico, però, non avevano tutti i torti: oltre a tenere nascosto il suo eroe per tutto il film, Shyamalan tiene nascosto il film stesso, cioè il genere, l'argomento. Unbreakable è un cinecomic mascherato da thriller psicologico.
E se Superman non sapesse di essere Superman?
Lo avremmo capito dopo che la cifra di M. Night Shyamalan era proprio questa: prendere lo straordinario e trasportarlo nel quotidiano. Che poi vuol dire prendere il cinecomic (Unbreakable) e la fantascienza (Signs) e spogliarla dei suoi soliti abiti per riportarla a terra, tra le persone, e farne in fondo un racconto morale, con al centro l'uomo. Nel caso di Unbreakable, questo significa appunto mascherare l'eroe, nel senso di non farlo vedere, o "smarcherarlo", nel senso di togliergli la maschera, la tuta, la divisa con cui siamo abituati a riconoscerlo sul grande schermo. Quentin Tarantino, che nel 2009 aveva incluso Unbreakable tra i migliori 20 film realizzati dopo il 1992, aveva detto che il film avrebbe dovuto essere presentato in questo modo: "Cosa accadrebbe se Superman fosse qui sulla Terra, e non sapesse di essere Superman?".
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Superman, Batman e The Overseer
Non aver capito subito Unbreakable, in fondo, dipende anche da questo. Oltre che dall'abilità narrativa di Shyamalan, della sua impostazione e della costruzione del racconto, dipende dalla nostra abitudine a vedere i supereroi in un certo modo. In quelli che, fino a quel momento, erano stati i cinecomic più importanti, siamo stati abituati a vedere Superman (previo breve prologo) subito in azione, e Batman intervenire a Gotham City in medias res. Ognuno con la sua tuta iconica, coloratissima oppure oscura, con il mantello, nel pieno delle loro funzioni e dei loro poteri. David Dunn, invece, è vestito come un uomo qualunque, è ignaro della sua condizione, dei suoi poteri, e quindi della sua vocazione. La sua divisa non esiste, arriva alla fine, per puro caso, e non è iconica. È semplicemente una mantella nera con cappuccio, indossata perché quella sera pioveva. Il supereroe non ha neanche un nome. Per tutto il film è semplicemente David Dunn. Solo nel terzo capitolo della trilogia che da Unbreakable avrà origine, Glass (il secondo, anche questo sapientemente "mascherato" da un altro tipo di film, è Split) conosceremo il suo nome: The Overseer, il Sorvegliante.
Un cinecomic senza esserlo
Ma un'altra cosa a cui non siamo abituati è arrivare al cinema e trovare un supereroe che non ci aspettavamo. Primo, perché non ci era proprio stata annunciata la storia di un supereroe. Secondo, perché Unbreakable non è tratto da nessun fumetto preesistente. Siamo sempre stati richiamati al cinema da un nome forte, Batman o Superman, un nome che avevamo visto sui fumetti, nei cartoni animati, un nome che ci dava certezze. Un fumetto che non è un fumetto, un cinecomic tratto da un comic che non esiste non si era mai visto. Eppure, in questo senso, Unbreakable avrebbe dettato una tendenza. Negli anni seguenti sarebbero arrivate al cinema molti supereroi "originali", nati proprio al momento dello script del film, e da nessun fumetto preesistente. Pensiamo a Hancock di Peter Berg, Chronicle di Josh Trank, e anche i nostri Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores e Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti. Sono storie che, non essendo legate a un'opera di origine, hanno la libertà di andare dritti al punto che vogliono, di raccontare e approfondire un aspetto specifico dell'essere eroi: la vocazione, la reputazione, le responsabilità.
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L'origine delle origin story
Ma il vero aspetto rivoluzionario di Unbreakable è un altro. Nel raccontare un supereroe senza tuta e senza maschera, un supereroe in fieri, un uomo prima che un superuomo, Unbreakable ha probabilmente anticipato la tendenza del cinema che sarebbe venuto di lì a poco. Quello delle origin story, dell'idea cioè, di andare a raccontare l'eroe prima che diventi tale, mostrandoci gli eventi, i traumi e la crescita che lo hanno portato a diventare il supereroe che conosciamo. L'origin story più famosa, la prima a cogliere nel segno come tale, sarebbe arrivata cinque anni dopo Unbreakable, ed è Batman Begins di Christopher Nolan, un film dove vediamo molto Bruce Wayne e poco Batman, dove l'uomo è senza maschera per la maggior parte del tempo. Ma anche L'uomo d'acciaio, la versione di Superman secondo Zack Snyder, che avrebbe dovuto seguire le orme della parabola dark e intimista del Batman di Nolan lo è, così come lo è uno dei film più sorprendenti degli ultimi anni, l'animazione di Spider-Man: Un nuovo universo. Lo stesso uomo ragno di Raimi, uscito un anno dopo Unbreakable, ha un sé un'origin story, anche se è più integrata in un classico racconto da cinecomic. Sono origin story l'Hulk di Ang Lee, l'Iron Man di Jon Favreau e Captain America: First Avenger. E lo sono anche i film italiani citati sopra: Il ragazzo invisibile e Lo chiamavano Jeeg Robot.
Il cinecomic che crea un'atmosfera
Ma Unbreakable ha dettato anche una linea a livello di atmosfere, che alcuni cinecomic hanno seguito. Niente colori sgargianti, spazio per l'approfondimento psicologico e non solo per l'azione, spazio per il volto dell'uomo e non solo per la maschera. Alcuni film di supereroi hanno preso alcuni di questi elementi. Ovviamente, Unbreakable in questo senso è più estremo: niente effetti speciali, poco spazio per l'epicità in cambio di un tono assorto, sospeso e misterioso, la recitazione costantemente sottotono di Bruce Willis. Le musiche di James Newton Howard fanno il resto.
Vivere in un fumetto
Nel film di Shyamalan c'è anche un senso pittorico non indifferente, che, in qualche modo, richiama i chiaroscuri delle tavole dei fumetti: la fotografia fatta di luci e ombre, e la scelta dell'angolazione di certe inquadrature richiama i fumetti, senza che però questi richiami siano troppo espliciti. Unbreakable, pur non essendo tratto da un fumetto, vive e si muove all'interno di un fumetto. Ne ha, come detto, alcuni colori. Ne segue le dinamiche e le regole (ci sono gli eroi e i villain, che si cercano e si sfidano, e sono superiori agli altri). In una sorta di metanarrazione, i personaggi di fatto vivono in un fumetto (o, se volete, è il fumetto che diventa vita, vita reale e quotidiana), parlano di fumetti, il toccano, li trattano. Elijah Price li ha letti e amati da bambino, il colleziona e li espone in mostre. È un modo intelligente, e nuovo di unire cinema e fumetto. Molti hanno provato a unire questi due media in vari modi (mescolando gli stili e stilizzando l'immagine come in Sin City e in The Spirit, o evocando le strisce animate, come in Spider-Man: Un Nuovo Universo, e molti altri casi). Unbreakable lo fa portando il mondo dei fumetti nella vita reale, creando un racconto apparentemente realistico, ma regolato dalle leggi del mondo dei fumetti, raccontando un mondo quotidiano ma disseminandolo di suggestioni e indizi. Forse è un caso e Shyamalan ha solo anticipato una tendenza. O forse è stato d'ispirazione a molti altri. Ma è un dato di fatto che dopo Unbreakable i supereroi non sono stati più gli stessi.