Tra i titoli più discussi di questa stagione cinematografica c'è Una donna promettente, opera prima della regista Emerald Fennell che ha fatto parlare di sé sin dal suo esordio al Sundance Film Festival, fino ad arrivare alla notte degli Oscar dove ha vinto la statuetta per la sceneggiatura originale. Un film forte, che mescola i generi, partendo da una premessa che evoca il sottogenere horror del rape & revenge per poi diventare una commedia nera con una notevole carica sociale, ricollegandosi a discussioni recenti sulla cultura dello stupro negli Stati Uniti e su questioni delicate come la nozione del consenso e la credibilità di chi sostiene di essere stata vittima di aggressioni sessuali. Un calderone di elementi che porta a una conclusione tragica e al tempo stesso catartica e spassosa, anche se la risata è particolarmente amara in questo caso, come cercheremo di spiegare in questa nostra consueta analisi del finale di Una donna promettente. N.B. L'articolo contiene spoiler!
Promesse infrante
La componente beffarda di Una donna promettente sta già nel titolo originale, Promising Young Woman, che allude al controverso caso giudiziario di Brock Turner, studente all'università di Stanford che nel 2016 fu condannato a sei mesi di carcere (e rilasciato dopo tre) per lo stupro di una quasi coetanea del campus. La condanna, ritenuta troppo leggera dai più, fu giustificata dal giudice per il fatto che Turner (costretto comunque ad essere registrato a vita come un criminale sessuale) fosse un promising young man, un giovane promettente, e destò particolare scalpore una lettera scritta in difesa del ragazzo da suo padre, il quale riteneva che fosse ingiusto richiedere una pena troppo severa per "20 minuti estrapolati da oltre 20 anni di vita" e fu contestato come apologista della rape culture. Nello stesso periodo il comico inglese John Oliver, conduttore del programma HBO Last Week Tonight, ha dedicato un intero episodio all'educazione sessuale - con apposito segmento educativo dove appare anche Laverne Cox, comprimaria del film - e alle mancanze della stessa negli Stati Uniti (a seconda delle regioni, la contraccezione non è proprio presa in considerazione), con annesso video di studenti di Harvard che inneggiavano ai rapporti non consenzienti con lo slogan "No means yes, yes means anal!" (no significa sì, e sì significa sesso anale).
Il film di Emerald Fennell mette in scena antagonisti con una mentalità simile, aiutati da un sistema che non vuole punire le giovani promesse della nazione americana, a patto ovviamente che siano giovani promesse maschili. Perché un promising young man non merita di essere punito per ciò che nella maggior parte dei casi viene considerata una svista provvisoria, mentre una promising young woman può tranquillamente avere tutta la vita rovinata perché circondata da portavoce di un patriarcato che non demorde nel suo tentativo di sminuire i diritti delle donne (problema che proprio negli ultimi mesi si è fatto ancora più allarmante negli USA con la composizione attuale della Corte Suprema, a maggioranza conservatrice, che il partito repubblicano vorrebbe sfruttare per arrivare a revocare la legge sull'aborto, rendendolo illegale nella maggior parte del paese). È una società dominata dalla mascolinità tossica, fenomeno esemplificato dalla più spudorata delle scelte musicali della regista: mentre Cassie (Carey Mulligan) si dirige verso la casa di colui che ai tempi stuprò la migliore amica di lei, portandola al suicidio, si sente una cover di Toxic di Britney Spears, cantante che proprio in questi giorni si è apertamente opposta al dominio esercitato su di lei dal padre con l'aiuto del sistema giudiziario americano.
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La polizia all'ultimo
Tra le polemiche più curiose sul film, perlomeno in ambito statunitense, c'è l'accusa di far parte di quello che in inglese si chiama copaganda, ossia opere che presenterebbero un'immagine distorta, eccessivamente positiva delle forze dell'ordine, riferendosi in questo caso alla polizia che si presenta al matrimonio di Al e lo arresta dopo aver trovato i resti carbonizzati di Cassie, la quale aveva preventivamente dato a un avvocato le indicazioni per ritrovarla in caso non uscisse viva dalla casa del carnefice. Una sequenza che in realtà mette in evidenza le pecche dell'apparato giudiziario, che interviene quando ormai è troppo tardi, assicurando giustizia dopo che due donne hanno già perso la vita (e qui è difficile non pensare ai molti casi di femminicidio che purtroppo dominano le notizie, anche in Italia), con l'ultimo lascito sotto forma degli SMS programmati che Ryan, ex-compagno di Cassie, riceve durante la cerimonia con la doppia firma delle due amiche, quelle promising young women rovinate anche da presunti amici che nel momento fatidico avevano preso le parti dello stupratore.
Giustizia è stata fatta, dunque? Non per forza, perché Fennell (che inizialmente aveva pensato a un finale diverso, dove la ragazza è ancora viva e uccide Al durante la cerimonia, per poi scartarlo in quanto poco plausibile) si fa beffe dello spettatore nello stesso modo in cui Cassie è riuscita a farsi beffe di coloro che la circondano: siamo convinti, in quel momento di catarsi emotiva accompagnata dalla canzone Angel of the Morning, che il trionfo postumo di Cassie e Nina sia assicurato, ma il film finisce lì, con Al in manette e il suo complice Joe in fuga. Non ci viene mostrato quello che accade dopo, con un processo dove presumibilmente sarà tirato in ballo il fatto che Al sia un promising young man, indegno di essere punito troppo severamente per un errore (e qui ci si può riferire sia allo stupro che all'omicidio, con la possibilità di trasformare il secondo in legittima difesa). E il circolo vizioso riprenderà, con altri giovani altrettanto incuranti di ciò che potrebbero pensare le donne e altre potenziali Cassie in cerca di vendetta. Perché quella, ahinoi, è la natura umana, e la catarsi apparente offerta da una storia come questa non può che essere effimera.