Saltburn e l'evoluzione del mostro secondo Emerald Fennell

Attorno al concetto di 'mostro' prende forma il cinema di Emerald Fennell. Un centro di gravità permanente, come vediamo in Saltburn: nel film c'è tutta la sua poetica, sicuramente interessante ma ancora restia ad accogliere a pieno la natura conflittuale che racconta.

Saltburn e l'evoluzione del mostro secondo Emerald Fennell

Emerald Fennell è nel mondo del cinema e della serialità da ormai diversi anni. Precisamente dal 2006, quando debuttò nella miniserie televisiva New Tricks - Nuove tracce per vecchie volpi. Non come regista, ma come attrice. Professione che le ha permesso di togliersi diverse soddisfazioni, trovando spazio nel cast di due pellicole firmate da Joe Wright (Anna Karenina e Pan - Viaggio sull'Isola che non c'è), e poi in Barbie di Greta Gerwig; sul piccolo schermo l'abbiamo vista in una serie importante come The Crown. Tuttavia, è dietro la macchina da presa che la Fennell trova la sua prospettiva ideale, divenendo in breve tempo una firma importante grazie alla sceneggiatura di Killing Eve e grazie al suo esordio alla regia, Una donna promettente, con cui ha vinto l'Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale. Film nato dall'ampliamento dello spirito e delle tematiche del suo cortometraggio del 2018, Careful how you go, con protagonista, tra gli altri, Phoebe Waller-Bridge.

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Barry Keoghan in Saltburn.

Una carriera da autrice che decolla istantaneamente, conferendo alla 38enne londinese gli attestati di "feroce", "divisiva" e "provocatrice". E non sono aggettivi posti a caso: il suo celebrato debutto del 2020 aveva tra le proprie forze motrici la volontà rabbiosa di creare un cortocircuito sociologico, anche a costo di staccarsi dalla plausibilità di ciò che raccontava. Specialmente nella terza parte, dove Una donna promettente rivelava l'altra grande potenza che muove il cinema della regista, ovvero la sua ambizione di reinventare attraverso la manipolazione delle regole di genere. Potenza confermata anche da Saltburn (qui la nostra recensione), il suo ultimo titolo disponibile su Prime Video, come vi spieghiamo nel nostro approfondimento. Ciò che infatti è evidente nel cinema della Fennell, è la sua ricchezza immaginifica, mossa dalla capacità di mescolare diversi stili e soluzioni cinematografiche per creare un proprio universo, che, pur non essendo esente da difetti, rivela un'autrice intelligente e coraggiosa.

Tra evocazione e carnalità

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Saltburn: Rosamund Pike in una scena

Coraggiosa, sì, inteso come coraggio cinematografico. La regista è decisa a raccogliere una sfida difficilissima per la realtà commerciale contemporanea della Settima Arte, dove è raro trovare esempi concreti che implichino la lotta politica (che è di classe, che è di genere), la sovversione e il ribaltamento dei codici, e la messa in scena dell'erotismo o dell'attrazione per l'amoralità. Ed è difficile trovare un dialogo efficace tra evocazione e carnalità. Tra tutti, però, è proprio il cinema pop, oltre ad un certo tipo di horror, che sta incredibilmente dando una risposta alla mancanza, riempiendo un vuoto lasciato da nomi di autori inarrivabili, grazie a fenomeni come Bong Joo-Ho, Jordan Peele e in parte Ari Aster. Emerald Fennell guarda a loro per Saltburn (come guardava a Quentin Tarantino o una certa corrente di revenge movie per Una donna promettente) e prova a farne tesoro, mettendo sempre in risalto la tradizione british. Se il suo è forse un mondo cinematografico ancora precario, in contrasto con la natura conflittuale della propria anima, ha invece ben chiara quale sia la tipologia di protagonisti sui quali concentrarsi.

Saltburn: la lunga estate calda di un film fascinoso e imperfetto

Saltburn e Una donna promettente: alle origini dei mostri di Emerald Fennell

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Una scena di Saltburn.

L'horror è stato usato nel corso del tempo per creare degli archetipi cinematografici in grado di condensare il senso di colpa provato dalla società borghese e cattolica a causa della sua attrazione per il lato peccaminoso e libertino dell'animo umano. Un aspetto che veniva legato ad una classe sociale più abbietta, lontana da quei paradisi che possono prendere la forma di giardini, di castelli, coorti o, come nel caso di Saltburn, di una villa nobiliare. Allora, per confessare il fascino del proibito, ciò che veniva etichettato come spregevole, veniva considerato mostro. La creatura nata dall'idiosincrasia e dal conflitto. E c'è un momento chiaro, in Saltburn: nella scena al chiaro di luna tra l'Oliver di Barry Keoghan e la Venetia di Alison Oliver si cita esplicitamente il vampiro. Figura divenuta sinonimo di straniero, e ancora un termine che ritroviamo nel film di Fennell in una scena tra i medesimi personaggi.

In una società in cui queste regole non ci sono più, e si è ormai affrontata la decadenza di borghesia e nobiltà, l'ospite di Teorema di Pier Paolo Pasolini diventa dunque un outsider, e di solito è un "reduce" del college. Questa volta, uno studente proveniente del Marseyside, e arrivato a sconvolgere l'upper class perché attratto dalla sua promessa di bellezza, incarnata da Jacob Elordi. Per sconvolgerla tramite il dominio del suo lato oscuro, laddove invece nel film del 1968 il sesso e la sessualità divenivano una modalità di liberazione, anche spirituale. Oggi, acquisire una posizione di potere in quell'aspetto è fondamentale. Lo sa bene anche Yorgos Lanthimos, che, pur partendo con Dogtooth dal surrealismo di Luis Buñuel, è poi arrivato a Il sacrificio del Cervo Sacro (chissà che il casting di Barry Keoghan non venga proprio da lì) e a La Favorita, film dove troviamo Inghilterra, revanscimo, lo straniero e il richiamo allo stesso horror romantico, con la peculiarità di guardare alle opere che hanno trovato nel femminile e nelle sue tendenze sessuali - socialmente viste come amene - il proprio fulcro tematico.

Le ispirazioni di Emerald Fennell puntando ad un rinnovamento pop che cerca di divincolarsi dalle necessità pudiche di questo tipo di cinema. Come? Tramite l'ironia e la satira metatestuale (la fantasia del ménage a trois di Harry, Ron ed Hermione); tramite la bulimia dimostrativa e uno stile registico fortemente legato all'attualità, richiamando l'attenzione anche ad un tipo di estetica con la quale le nuove generazioni (coloro a cui la regista londinese vuole parlare) si relazionano quotidianamente. La difficoltà, però, sta nel riuscire a trovare un modo di far convivere queste anime senza che il loro accostamento le depotenzi a vicenda. Cosa che accade a causa di una (ancora) immatura capacità di abbracciare il conflitto, che sarebbe alla base del genere di cinema che la Fennell vorrebbe mettere in scena e, di conseguenza, legandola ai suoi protagonisti. Sono i personaggi, per l'appunto, a riscontrare un certo appiattimento, nel momento in cui bisognerebbe ricorrere a quelle stesse regole che invece dovrebbero essere sovvertite, disattese e rimescolate.

Saltburn: Barry Keoghan è strepitoso (e ha una scena cult) nel film di Emerald Fennell

La natura conflittuale del freak

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Una scena di Saltburn.

Del resto, la forza delle pellicole dove il freak diventa la resa dei conti personificata per una società intera sta nella contraddizione tematica che ne è alla base, nonché nell'ambivalenza di sentimenti che lo riguardano. Tutti sono attratti dallo straniero in virtù della sua aria contraddittoria, in primis lo spettatore, e di conseguenza anche i personaggi che gravitano intorno a questa figura. Una minaccia e una speranza; una figura ambigua arrivata a portare pulizia in una società che confonde il privilegio con l'autorità. Una visione di un'umanità che merita di essere punita perché legata ad uno dei più famosi mantra sartriani: "Non facciamo quello che vogliamo, ma siamo responsabili di ciò che siamo."

Questi freak, questi outsider per Emerald Fennell sono Cassandra Thomas e Oliver Quick; personaggi e prototipi sparsi del mondo. Figure interessanti per la regista perché si fanno portavoce di una vendetta il cui volto è distorto, gelido e, in fin dei conti, mostruoso. I sociopatici sono gli eroi della regista londinese; eroi che non vogliono liberare il popolo, ma vogliono solo sfamarsi. La donna predatrice, la vedova nera che diventa una falena morbosamente attratta dalla bellezza. Bellezza da possedere, da indossare. Tuttavia, per farlo, deve prima ucciderla. Una pratica che ha ancora le sue radici nell'horror e con i racconti folkloristi europei legati alle tradizione gotica. A livello cinematografico questo aspetto emerge enormemente nella poetica della regista, che però si impigrisce anche un tantino di troppo sopra le prove di Carey Mulligan e Barry Keoghan.

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Jacob Elordi e Barry Keoghan in una scelta di Saltburn,

Insomma, Saltburn prende tutto questo e lo porta in una altro film di lotta, ma stavolta di classe e non di genere (anche se parliamo di due protagonisti lavoratori in entrambi i casi), riuscendo a conferirgli una connotazione sociale in qualche modo anche più plausibile rispetto a Una donna promettente. Un passo in avanti compiuto forse anche grazie al ritorno in patria, dove questa tradizione filmica ha radici molto profonde, accompagnato da una volontà di sperimentare con lo stile e il racconto cinematografico pop. Tante, troppe anime, per un mondo ancora precario che decide di ricorrere alla didascalia e al plot twist per la paura di venire schiacciato dal conflitto dentro il suo mostro, nonostante dovrebbe alimentarsi di esso. Lo scioglimento finale di Saltburn, così come quello di Una donna promettente, livella e pulisce una visione cinematografica la cui ambizione è vivere di una provocazione intrinseca alla sua stessa natura, e a quella dei suoi protagonisti. Natura (o doppia natura) che deve vivere del dialogo, appunto, tra evocazione e carnalità.