Una domenica notte: presentato l'esordio di Giuseppe Marco Albano

Il giovane regista, classe 1985, ha presentato alla stampa il suo esordio nel lungometraggio, realizzato due anni fa, e ora in procinto di uscire in sala grazie all'etichetta Distribuzione Indipendente.

Con il fenomeno-Spaghetti Story ancora in sala (anzi, la distribuzione, per il film di Ciro De Caro, sembra destinata ad allargarsi) Distribuzione Indipendente punta su un'altra commedia. Una domenica notte, esordio nel lungometraggio di Giuseppe Marco Albano, ha in comune con il film di De Caro il tema della difficoltà del lavorare nel mondo dello spettacolo: lì era un aspirante attore, ad essere al centro della vicenda, qui un regista non più giovanissimo, alle prese anche con un matrimonio fallito e una nuova relazione problematica. L'aspirazione: realizzare un horror apocalittico che nessuno vuole finanziare. Lo sfondo: un solare paesino della Basilicata, ambientazione che sembra, essa stessa, cospirare contro le aspirazioni del tenace regista.
Due anni dopo la sua realizzazione, il film di Marco Albano (apprezzatissimo, nel 2011, il suo cortometraggio Stand by me) arriva in sala grazie all'etichetta indipendente romana; della sua realizzazione e dei suoi temi ha parlato alla stampa proprio il giovane regista, insieme al protagonista (nonché autore del soggetto) Antonio Andrisani, alle attrici Francesca Faiella e Claudia Zanella, a un Ernesto Mahieux che rappresenta il volto più noto e prestigioso del cast, e al produttore, alla sua prima esperienza cinematografica, Paolo Mariano Leone.

Marco Albano e Andrisani, questo film rappresenta la vostra ultima collaborazione, in ordine di tempo, dopo una serie di corti realizzati insieme. Com'è stato tornare a collaborare, in una dimensione diversa come quella del lungometraggio?
Antonio Andrisani: Il rapporto è ormai consolidato, insieme abbiamo fatto molto: l'ultimo nostro lavoro, Stand by me, ha ricevuto anche molti riconoscimenti. La prova lungometraggio è differente, certo, ma comunque c'è stata piena sintonia.

Per il cast, com'è stato lavorare con un regista così giovane?
Ernesto Mahieux: Lui mi ha "abbordato" su Facebook: io ho pensato che aveva coraggio, e comunque io devo tutto ai giovani registi (Matteo Garrone, quando mi ha chiamato per L'imbalsamatore, era un regista sconosciuto). Io amo lavorare con i giovani, e allora mi sono detto "perché no?". Lui ha lavorato bene e soprattutto aveva le idee chiare, qualità oggi da non sottovalutare.
Francesca Faiella: La sceneggiatura era interessante, un po' una satira del paese di oggi. Grazie a questo film ho anche scoperto la Basilicata, una regione in cui non ero mai stata prima: è stata un'ottima occasione per capire il contesto di quella parte d'Italia.
Claudia Zanella: Io ho conosciuto Giuseppe a Capri, in un festival di corti in cui aveva presentato Stand by me. Visto il corto, gli ho detto che volevo lavorare con lui, e lui mi ha risposto testualmente: "al primo film che faccio, ti chiamerò". Così è stato.

Marco Albano, quanto c'è di tuo nella storia? C'è una componente autobiografica?
Giuseppe Marco Albano: La prima stesura della sceneggiatura è di Antonio, la storia originale è sua. In seguito ci abbiamo lavorato insieme.
Antonio Andrisani: Non è un film autobiografico ma è comunque un lavoro sincero. Chi si cimenta in questo mestiere avrà certo riscontrato certe situazioni, le difficoltà che tutti incontrano. Di autobiografico c'è la vita di provincia e le difficoltà a cui si trova di fronte chi, bene o male, cerca di fare cinema. È importante la sincerità, in un momento in cui il cinema è molto insincero; e parlo di tutto il cinema italiano, sia che si tratti di Garrone e Sorrentino, sia dei nuovi esponenti della commedia all'italiana.

A livello produttivo, la scelta di puntare su un giovane ha richiesto coraggio?
Paolo Mariano Leone: Quando il mio socio, Angelo Viggiano, mi propose inizialmente la cosa, doveva trattarsi di un cortometraggio, e mi fece subito il nome di Giuseppe. Io vengo da altre situazioni imprenditoriali, legate all'ingegneria, ma volevo cimentarmi nel cinema. Poi lui mi disse che ne avremmo fatto un lungometraggio; io ero titubante ma alla fine mi ha convinto. Abbiamo iniziato in modo del tutto lineare, applicando le metodologie del mio settore normale alla produzione del film. Ne è valsa la pena: il budget era definito fino a una certa somma, che però si è quintuplicata alla terza settimana. In seguito, dopo una proiezione all'Isola Tiberina, abbiamo incontrato Giovanni Costantino, di Distribuzione Indipendente, che ci ha detto che il film gli piaceva e che volevano distribuirlo.

Se l'approccio era di tipo ingegneristico, e il budget si è addirittura quintuplicato, non si può dire che abbiate sbagliato il progetto?
Anche nel progetto che sto portando avanti adesso, il budget si è triplicato. Penso semplicemente che, nel nostro caso, il progetto sia stato migliorato: all'inizio l'avevamo preso un po' come una sfida, un po' come un gioco o una curiosità. Certo, Bernalda, il mio paese, è il paese natale di Francis Ford Coppola, e da noi la cultura cinematografica c'è: io, però, si può dire che non sapevo nemmeno cosa fosse un film. Quando abbiamo visto, in seguito, che era una cosa seria, un progetto industriale vero e proprio, abbiamo iniziato ad abbellirlo. Alcune spese non le avevamo previste, quindi il budget alla fine si è alzato. E' stato un progetto, che, alla fine, forse si è rivelato più bello di quanto avevamo previsto.

Perché proprio un regista di horror al centro della storia? Antonio Andrisani: Perché gli uomini sono esseri egoisti, mostruosi. Il regista di un film "di zombi" serviva a far comprendere che i mostri sono in realtà i vivi; certo, anche lui a suo modo è mostruoso, almeno un po', ma nel suo lavoro ha un notevole rigore. Ci serviva confronto tra realtà e finzione. In realtà, il film doveva addirittura finire con la scena di un'invasione di zombi, ma era finito il budget.

Marco Albano, tu hai un attaccamento molto forte alla fotografia. Qui sei tornato a lavorare col direttore della fotografia Francesco Di Pierro, con cui già avevi fatto Stand by me. Che direttive gli hai dato? Giuseppe Marco Albano: Sì, con Francesco incontrati con Stand By Me, quasi per caso. Le "direttive" erano quelle classiche della commedia: il rispetto dei colori e dei nostri ambienti, senza caricare i toni. Scenograficamente la provincia si vede molto, e non volevamo le tonalità eccessivamente curate e laccate che si vedono spesso, ora, nel nostro cinema.

I provini in bianco e nero che si vedono nel film, sono presi dalla realtà?
Sì, molti lo sono. Siamo abituati quotidianamente ad essere vittime di questi personaggi, che ti fermano per strada e ti chiedono una parte. Sono situazioni reali. Solo il provino con l'uomo che fa l'imitazione della gallina era ricostruito.

Il film è stato girato in cinque settimane, con un budget comunque abbastanza basso. Quanto spazio c'è stato per l'improvvisazione? Francesca Faiella: Un po' di improvvisazione c'è stata, sì, le battute le abbiamo interpretate in modo un po' diverso da come erano scritte. C'è stato spazio per la creatività, è stato divertente.
Ernesto Mahieux: Alcune battute erano mie: ad esempio, quando il mio personaggio dice "scenografia" invece di sceneggiatura, tipico esempio dell'ignoranza di molti produttori; e poi c'è la gag degli schiaffetti, che è stata una mia idea, e altre cose sparse per il film. E' stato lo stesso Giuseppe a dirmi di proporre le mie idee.
Claudia Zanella: Capita difficilmente di trovare attori bravi come Antonio, per cui sei quasi costretto a improvvisare: devi farlo perché altrimenti ti mangia, il dislivello diventa troppo grande.

Ci sono stati imprevisti o sorprese, sul set? Ernesto Mahieux: La sorpresa principale è stata che i soldi sono stati puntuali! Il giorno stesso che ho finito, mi è stato dato l'assegno pattuito. Tanto di cappello a questi giovani produttori. Lorenzo Flaherty, invece, tempo fa ha preso per i fondelli mezza Basilicata: non ha pagato nessuno, e oltretutto lo ha fatto con un film intitolato Il ragioniere della mafia! Loro invece sono stati due signori: bisogna dirlo, quando ci sono persone per bene, così come bisogna dire quando si incontrano i fetenti.
Claudia Zanella: La vera sorpresa, per me, è stata la città di Matera: era la prima volta che andavo lì, a 33 anni. La considero la città più bella del mondo, dovrebbe essere una tappa obbligatoria per chiunque.
Giuseppe Marco Albano: E' stato comunque un lavoro itinerante, con spostamenti duri, dovevamo accontentare molte amministrazioni locali, far vedere la presenza della macchina del cinema nei paesi in cui abbiamo girato.

Il film tratta del disagio di fare cinema. Non vi sembra un tema troppo autoreferenziale, per il pubblico medio? Giuseppe Marco Albano: Il tema è quello, ma il film racconta anche la storia di un uomo che ha una compagna, una ex moglie e un figlio. Io, personalmente, mi sono subito innamorato della sua sceneggiatura, e non sono stato a pensare a come avrebbe reagito il pubblico.
Francesca Faiella: Inoltre, c'è la riflessione sulla comunità: lui cerca i finanziamenti per il suo film, e restano tutti esterrefatti per la sua ricerca. È anche una satira, in questo senso.

Quanto c'entra il tema della meritocrazia, e della possibilità di essere scavalcati da persone raccomandate? Giuseppe Marco Albano: Questa parte, e lo stesso finale, rappresenta una situazione che viviamo un po' tutti. Molti si trovano a lottare con giovani che magari sono stati un po' più fortunati; in particolare, parlo di persone che magari hanno qualche anno di più, e si trovano scavalcate da gente più giovane, o semplicemente raccomandata. Questo capita in Italia, ma basta spostarsi e la situazione è diversa: in altri paesi, forse, c'è più meritocrazia.