Una dark lady rossa fiammante
Dalle sue origini, il cinema ha regalato agli spettatori una immensa galleria di personaggi indimenticabili, alcuni dei quali davvero unici, altri classificabili in determinate categorie, come la Dark Lady, la cui figura si è evoluta crescendo assieme al pubblico, ascoltando le sue richieste e i suoi sogni e soprattutto seguendo le mode. Non sono solo gli anni a fare le differenze tra la Marlene Dietrich de L'angelo azzurro e la Sharon Stone di Basic Instinct ma è il pubblico che le ha amate e la sua evoluzione socio-culturale. Agli inizi degli anni '80 le arti figurative raccontano un'epoca effimera in cui si è attratti da tutto ciò che in superficie, luccica e lancia bagliori ammiccanti: sono gli anni di Hajime Sorayama illustratore giapponese famoso per le sue figure femminili audaci, sensuali ed allo stesso tempo fredde, prive di vita: robot sexy privi di carne e dalle curve di scintillante acciaio cromato. In questo contesto culturale John Carpenter dirige un film in cui la dark lady, è una Plymouth Fury rosso fuoco concepita dalla fantasia fervida di Stephen King.
Non si dovrebbe pretendere che in una trasposizione cinematografica di un romanzo, ogni singolo dettaglio, narrativo o emotivo che sia, rimanga impresso su pellicola, e, del resto, nella storia del cinema sono tanti i film che pur rivoluzionando la struttura del romanzo dal quale sono stati tratti, ne mantengono integro il significato. In questo film però, il senso del libro viene filtrato per far spazio ad una semplice galleria di effetti speciali che non bastano a raccontare la storia di Arnie Cunningham, un adolescente timido e complessato che nel romanzo di King percorreva un viaggio senza ritorno verso la maturità, allegoricamente dipinta come uno stato di follia, di acquisizione di tutti i difetti della razza umana, come l'opportunismo, la cattiveria e portando all'estremo l'amore per trasformarlo in uno dei tanti veleni che intossicano la società degli adulti.
In Christine - la macchina infernale Carpenter si è limitato a mostrare solo ciò che può essere visivamente sorprendente e facendo del suo film uno spettacolo di puro intrattenimento visivo, la storia di un ragazzo ossessionato dalla sua Plymouth Fury rossa, dotata di poteri paranormali, non la storia di un torbido triangolo d'amore vissuto da un adolescente.
Si ha l'impressione che il regista non sia completamente a suo agio con la storia, gli eventi si susseguono frettolosamente sino al tragico epilogo senza quasi lasciar traccia nello spettatore: il regista si sofferma su poche scene spettacolari in cui Christine prende vita e se in Halloween - la notte delle streghe aveva saputo dipingere con naturalezza il mondo degli adolescenti, con le loro insicurezze e i loro eccessi, in Christine tutto sembra forzato: Keith Gordon nei panni di Arnie Cunningham è caricaturale ed eccessivo, mentre le interpretazioni di John Stockwell ed Alexandra Paul nei ruoli di Dennis e Leigh sono decisamente mediocri e il pessimo doppiaggio in lingua italiana non fa che peggiorare le cose.
E lei, Christine, è solo una macchina diabolica, capace di risorgere dalle sue stesse lamiere contorte come un'araba fenice di metallo, di andare in giro da sola, sfrecciando per le strade vestita di fiamme o di farsi prigione mortale, per soffocare la sua rivale Leigh Cabot al ritmo di una vecchia canzone; diretta dal regista in un lungo videoclip in cui i dialoghi sono solo uno stacco tra una canzone e l'altra, non riesce ad imporsi come una vera dark lady che si rispetti e si riduce ad essere una gabbia di metallo lucente i cui riflessi seducono Arnie Cunningham con la complicità di una colonna sonora trascinante. E quando alla fine i suoi fari si spengono, non resta null'altro che un ammasso di lamiere contorte e la femminilità l'essenza della donna di metallo creata da King sparisce senza farsi ricordare. In una scarica di rock'n roll.
Movieplayer.it
2.0/5