In molti qualche tempo fa ne scoprirono il talento in 20 anni di meno, più di recente l'abbiamo vista splendere in Elle accanto alla meravigliosa Isabelle Huppert. Oggi Virginie Efira, belga, classe 1977 è una delle attrici più corteggiate dal cinema francese. L'ultima interpretazione è quella per Justine Triet in Tutti gli uomini di Victoria (presentato ne La Semaine de la critique di Cannes nel 2016), dove (come spesso le capita) veste i panni di una donna in carriera, emancipata, moderna, ma profondamente piena di contraddizioni: un avvocato penalista, madre divorziata con due bambine a cui badare e con una vita privata allo sbando. Ecco come la racconta alla stampa alla presentazione romana del film, che segna l'inizio di una collaborazione con la Triet destinata a durare nel tempo, se è vero come rivela, che con la regista francese girerà ancora una volta nel ruolo di una donna non molto diversa da Victoria.
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La forza delle donne
Non è la prima volta che le affidano ruoli di donne forti, carismatiche e decise. Come mai? La vedono così?
Non sempre siamo consapevoli di ciò che emaniamo. In questo film la regista mi ha affidato un ruolo che mescola infinite contraddizioni. Spesso i miei personaggi sono donne che cercano di farcela da sole, ma grazie a Justine ho dimostrato che si può anche crollare perché essere forti da soli non è molto interessante.
Victoria è un avvocato che si divide maldestramente tra lavoro e vita privata, divorziata e alla ricerca di una nuova relazione. Gli uomini oggi sono più affascinati o spaventati dalla donna in carriera?
Ci sono più prototipi di uomini per fortuna e c'è chi è spaventato. Non vorrei dividere la forza dalla fragilità, quindi possiamo interrogarci sulla forza e sull'indipendenza e allo stesso tempo lasciare spazio all'altro. Victoria sottostima il suo bisogno di essere consolata.
Nel film assistiamo quasi alla mascolinizzazione della protagonista. È questo che crea la principale barriera tra Victoria e gli uomini?
Veniamo da una retaggio per cui si pensa che la virilità sia maschile e la tenerezza esclusivamente femminile, il film ci mostra invece che è in corso un cambiamento, un ribaltamento di questa tradizione.
Qual è stata la scena più difficile da girare?
Quella in aula con la scimmia, che era molto stanca e non voleva più saperne di recitare. Ha preso una ragazza e l'ha spinta dall'altra parte della stanza! Ci siamo spaventati molto, ma per fortuna nessuno si è fatto male. Ho avuto qualche difficoltà anche nella scena in cui Victoria è completamente ubriaca e drogata; non ero sicura di riuscire a trovare quello stato, la mia preoccupazione più grande era di non enfatizzare altrimenti sarei risultata comica, addirittura ridicola.
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Virginie e la lettera di Catherine Deneuve
Chi è Victoria e quanta Victoria c'è in lei?
È un personaggio molto lontano da me, non lavoro così tanto e non prendo Lexomil! Mi somiglia però per un aspetto, quello di non rendersi abbastanza conto della propria vulnerabilità. La capisco benissimo.
Costruire un ruolo per me vuol dire metterci dentro una parte di se stessi, la visione del regista e una buona dose di azzardo. I dialoghi erano lunghi, ma molto istintivi e realistici.
Cosa pensa della lettera aperta di Catherine Deneuve sulle molestie sessuali?
Sono d'accordo con lei. Ho l'impressione che la gente urli talmente tanto da non ascoltarsi più.
Ogni pensiero forte ha le sue sfumature, di quel brano invece sono stati prese in considerazione solo alcuni passaggi, ma nessuno è per la violenza sulle donne. Quando vengono dette cose così importanti, bisogna prendersi il giusto tempo per riflettere senza urlare.