Noi c'eravamo. Non per vantarci, perché c'è poco da vantarsi della propria data di nascita, ma nell'ottica di questo articolo avere una certa età è utile nel dato dell'esperienza vissuta: l'esperienza del fenomeno Titanic, di cui la nostra generazione, la stessa dei due protagonisti (classe 1974 DiCaprio e 1975 Winslet) è stata testimone in qualche modo privilegiata.
Perché chi scrive era già troppo "matura" per innamorarsi dell'esuberante, romantico sbarbino Jack Dawson (la cotta per Leonardo DiCaprio sarebbe arrivata in seguito, una volta uomo fatto, e precisamente con The Departed - Il bene e il male) ma ancora abbastanza giovane da essere coinvolta nel delirio di amiche, sorelle e cugine teenager impegnate nelle leggendarie molteplici visioni a base di batticuore, abbracci e singhiozzi. E non nascondiamoci dietro a un dito: piangevano anche i ragazzi.
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Isteria collettiva, o opera miracolosa che sa parlare a tutti?
Non è facile ricordare altri episodi di infatuazione collettiva e globale, forse bisogna tornare ai primi anni '60 e alle ragazzine che impazzivano quando i Beatles agitavano le frangette. Titanic, pur battuto al boxoffice dal suo stesso autore James Cameron con Avatar, è un caso più unico che raro destinato a restare nella storia del cinema sia per i suoi oggettivi meriti che per l'impatto mediatico, sociale e culturale che ne accompagnò l'uscita e che, vent'anni dopo, ancora riverbera.
Jimmy Cameron non era, nel periodo che precedette l'uscita di Titanic, il regista più popolare di Hollywood. Certo, aveva fatto una barca di soldi con Terminator 2 - il giorno del giudizio, ma alla 20th Century Fox qualcuno era convinto che avesse deciso di fare Titanic perché gli finanziassero una spedizione in fondo agli abissi per visitare il relitto del celebre transatlantico, e forse questo qualcuno non aveva neppure tutti i torti. Aggiungete i ritardi di lavorazione, lo spettacolare sforamento del budget, le voci circolate durante le riprese circa il suo caratteraccio, i malanni e le sofferenze inflitti a interpreti e collaboratori costretti a stare a mollo per giornate intere.
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Quando il film uscì, nell'incredulità degli esperti che avevano pronosticato un tonfo clamoroso e uno stop irrimediabile per la carriera di Cameron, il regista canadese fu sorpreso quasi quanto loro dal responso del pubblico, da quella tenuta impressionante al boxoffice, settimana dopo settimana. Aveva fatto un film per incassare, con tutte le caratteristiche del sontuoso, romantico e catastrofico blockbuster anni '90, e lo aveva realizzato con la passione dei genii autentici, non cedendo di un millimetro fino alla fine, quando dovette resistere alle pressioni della Fox che voleva tagliar via quasi un'ora dall'imponente minutaggio, ma il successo del film andò ben oltre le aspettative più deliranti.
Normalmente il tasso di visioni ripetute per un blockbuster è del 5 per cento; nel caso di Titanic schizzò oltre il 20. Un dato impensabile considerando che la durata del film, tre ore e quattordici minuti, non permetteva di programmare più di tre spettacoli al giorno per schermo. A cosa fu dovuto dunque il miracolo?
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Leo-mania, quando un bel viso "nasconde" un grande talento
La risposta, per molti, è il bel faccino di un Leonardo DiCaprio poco più che ventenne, il suo ghigno seducente, il blu oceanico dei suoi occhi. È per lo meno sorprendente che all'attribuzione del successo commerciale di Titanic all'ascendente di Leo sulle ragazze non sia seguita una certa considerazione del peso economico del pubblico femminile, regolarmente ignorato dal cinema mainstream nei cinque lustri successivi, ma questa è una storia per un'altra occasione. Al centro di questa storia c'è un giovane attore di talento che non era neppure tanto convinto di voler accettare questo ruolo nel blockbuster più chiacchierato di sempre. Racconta Cameron dell'audizione di Leo: "Lesse le sue battute seriamente una volta, poi si mise a fare lo scemo e non mi riuscì di convincerlo a tornare a concentrarsi. Ma in quel momento, per una frazione di secondo, un raggio di luce squarciò il cielo e illuminò la foresta."
Se Cameron fu immediatamente persuaso di aver trovato il suo Jack, Kate Winslet ebbe un bel daffare per ottenere la parte di Rose DeWitt Butaker, e ci riuscì grazie a una tenacia e a una determinazione sorprendenti per i suoi vent'anni. Ma Kate aveva anche un intuito fuori del comune. Quando si riuscì a indurre DiCaprio a fare uno screen test con lei, la sua futura bestie disse all'insondabile timoniere: "Prendi lui. Anche se scarti me, prendi lui, è magnifico."
E lo era, magnifico: carismatico, divertente, struggente, ma forse troppo bravo per quel personaggio senza ombre, lui che aveva preso legnate da Robert De Niro in Voglia di ricominciare, aveva strappato una nomination all'Oscar per il commovente e difficilissimo ruolo di Buon compleanno, Mr. Grape, aveva interpretato Arthur Rimbaud e Romeo Montecchi. E nemmeno si arrese facilmente, il giovane attore; continuava a chiedere all'inamovibile regista di poter aggiungere qualcosa, di poter dare a Jack qualche mistero, qualche complicazione che che rendesse più tridimensionale il biondissimo "re del mondo".
Ma James Cameron la caratterizzazione non ci pensava nemmeno ad approfondirla, lui la voleva elementare. Voleva la semplicità, l'ingenuità di una gara di sputi e della mano che percuote un finestrino appannato dalla frenesia e dalla gioia di un amore ribelle. A James Cameron non importava un fico secco del fatto che il talento cristallino di Leonardo DiCaprio sarebbe stato travolto dalla maledizione di Jack Dawson. Lui fece esattamente il film che voleva fare, e guai a chi provava a impedirglielo.
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La tragedia e l'umanità del Titanic
Non lo fece perché temeva che dialoghi più originali e profondi e una love story drammaturgicamente più compiuta avrebbero messo in ombra la possanza della sua impresa tecnica. Per lui l'amore tra Rose e Jack era fondamentale, era lo strumento attraverso il quale catturare il cuore degli spettatori per accompagnarli nel tragico viaggio verso il naufragio. Forse all'inizio voleva davvero solo i soldi per finanziare la spedizione sottomarina dei suoi sogni, ma in seguito fu completamente conquistato dalla vicenda del Titanic, lesse ogni volume pubblicato, esaminò ogni documento esistente, esplorò le vite delle vittime e dei sopravvissuti. Accanto alla volontà di girare il film tecnicamente più ambizioso di sempre c'era un profondo rispetto per la tragedia umana, la paura, la perdita, l'ingiustizia che si consumarono a bordo della nave condannata.
E questo si sente, questo ci commuove. Questo ci ha fatto tornare in sala vent'anni fa, trascinando gli amici a commuoversi con noi. Per questo abbiamo pianto e continuiamo a versare lacrime a ogni visione per il coraggioso capitano Smith, per l'ammirevole ingegnere Andrews, per una madre che conforta i suoi figli, per una coppia di anziani che si abbracciano, per i musicisti che riprendono a suonare sul ponte di prima classe. E per Jack e Rose, naturalmente. Come la paura, la perdita, l'ingiustizia è universale l'illusione dell'amore; il dolce inganno della passione giovanile non ha bisogno di realismo psicologico per essere afferrato, anzi forse è vero esattamente il contrario. Così precipitoso, così ingenuo, così umano che dopo averlo sfiorato dobbiamo lasciarlo scivolare in fondo all'oceano del tempo.
Perché il cinema si nutre e ci nutre di un amore che ci portiamo a casa quando si accendono le luci in sala. Abbiamo colpito un iceberg, o è il nostro cuore che batte? Avremo sempre Titanic.
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