Alcune ciambelle riescono con un buco perfetto. Succede quando gli ingredienti sono ottimi, e soprattutto quando sono nelle mani di chi il proprio mestiere lo conosce bene. In questo caso, a confezionare This is Us, una delle serie rivelazione dell'anno targata NBC, è il regista e sceneggiatore Dan Fogelman (già ideatore della serie musical Galavant e sceneggiatore del film d'animazione Cars - motori ruggenti). E in effetti i prodromi del successo si potevano fiutare già a poche ore dalla diffusione del trailer, oltre trenta milioni di visualizzazioni in tempi record e l'attenzione di una solida fetta di pubblico polarizzata grazie allo scorcio del lato b di Milo Ventimiglia.
Al netto degli ottimi ascolti dei primi episodi, non si è quindi fatto attendere il rinnovo per ben due stagioni, anch'esse di 18 episodi, confermato il 18 gennaio 2017, mentre la prima ha avuto la sua conclusione lo scorso inverno, con un finale che ha rispettato se non superato lo standard cui ci aveva abituati, centrando appieno il suo obiettivo.
Ci sono serie che impennano l'asticella della scala qualitativa fino a conquistarsi il loro spazio su quel gradino che impone un "prima e dopo". This is Us non si prende il rischio di puntare così in alto. Si mantiene prudentemente al di sotto, ma vince comunque la sua partita, scegliendo di giocare con altre (ottime) carte, tutte sapientemente selezionate, ognuna delle quali corrisponde a una corda emotiva precisa, fino a toccarle tutte, coi giusti tempi e la giusta intensità. Se si acconsente a giocare secondo le regole dei buoni sentimenti, lo show non delude, e restituisce esattamente quel che promette dall'inizio.
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Fra presente e passato, a cavallo dei sentimenti
In principio, ma di quanto lo scopriamo solo grazie al twist finale del pilot, ci sono Jack e Rebecca (interpretati rispettivamente dal già menzionato Milo Ventimiglia e da Mandy Moore). Molto incinta lei, premuroso e innamoratissimo lui. Parallelamente, scorrono le vite di altri tre personaggi, apparentemente scollegati fra loro, tutti però alla vigilia del trentaseiesimo compleanno, come lo stesso Jack. Due di loro sono i gemelli Kevin (Justin Hartley) e Kate (Chrissy Metz): il primo un popolare ma insoddisfatto attore televisivo cui i panni di Manny, ruolo che gli ha dato successo nella sitcom che interpreta, iniziano ad andare troppo stretti; la seconda in costante lotta coi problemi di peso e decisa a porvi rimedio. Ultimo, Randall (Sterling K. Brown), padre di famiglia e dalla carriera avviata che proprio il giorno del suo compleanno riesce a rintracciare l'uomo che lo abbandonò appena nato davanti a una stazione di pompieri.
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Alla fine il mosaico si compone e acquista senso, rivelando la natura dei rapporti fra i cinque personaggi e lo sfasamento temporale su cui è stato costruito il primo episodio: Rebecca e Jack sono i genitori biologici dei due fratelli e, a seguito della perdita durante il parto del terzo gemello, quelli adottivi di Randall. Da qui in avanti lo show continuerà a seguire e mostrare a carte scoperte le vicende dei cinque protagonisti: una continua altalena fra presente e passato attraverso la quale vengono via via introdotti nuovi tasselli e chiarite le ragioni delle nuove dinamiche e dei nuovi equilibri che si sono venuti a creare nel corso degli anni. In altre parole, i momenti cruciali, le svolte e le scelte che danno corso a un destino piuttosto che a un altro, in cui quello che è giusto o sbagliato lo si valuta sulla lunga distanza, che è poi quello che succede nella vita.
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E proprio come nella vita, a guidare i protagonisti sono soprattutto emozioni e sentimenti. E in This is Us ce ne sono a valanghe. Non c'è spazio per ambiguità o zone d'ombra però: quelle che vengono raccontate (e suscitate in chi lo guarda) sono emozioni nella loro forma più pura e diretta, quelle che si riconoscono e si chiamano per nome e che in fondo, anche quando fanno piangere, non lasciano l'amaro in bocca. Al posto del cinismo, la speranza. Al posto del sarcasmo, l'ironia gentile. Si sfiora il limite oltre il quale si sconfina nel buonismo, ma sempre con una misura che lo rende digeribile e tutto sommato credibile.
Emmy: un esito (s)fortunato
E in buona parte, merito di questa credibilità va agli interpreti e alla scelta di un cast sempre convincente, malgrado le difficoltà dettate dalla struttura stessa dello show, sviluppato lungo un arco temporale che abbraccia le vite dei protagonisti dalla gioventù alla vecchiaia. In genere, siamo abituati a fingere di crederci. Si mette da parte quel minimo di disagio che si avverte di fronte a un attore invecchiato o alla sua versione adolescente e per amor della trama si va avanti. E pazienza se una scelta poco verosimile ci ricorda che è tutta finzione. This is Us ci risparmia tutto questo per due ragioni: la prima è che gli interpreti bambini e adolescenti sono effettivamente compatibili e somiglianti ai loro corrispettivi adulti. La seconda ha a che vedere con la prova degli attori protagonisti nella loro versione camuffata e invecchiata.
Gran parte del merito va senza dubbio alla Moore, che con grazia e naturalezza rende convincente e sempre credibile un ruolo che in realtà è ben più di uno solo: moglie innamorata del suo grande amore, giovane donna alle prese con gioie e dolori del parto (la perdita del terzo gemello), mamma biologica e adottiva e infine nonna con un nuovo compagno al suo fianco, che altri non è se non il collega e miglior amico del primo marito. La sinergia con un Milo Ventimiglia in ottima forma fa il resto. Stupisce quindi che, al netto di un'annata che si è imposta per la qualità e l'eccezionalità di alcune memorabili interpretazioni, la Moore non abbia ricevuto alcuna nomination agli Emmy 2017 nella categoria miglior attrice protagonista. Non avrebbe avuto vita facile, considerata la rosa delle concorrenti, ma la scelta di ignorarla e la ancor più singolare decisione di nominare invece nella categoria di miglior attrice non protagonista la collega Chrissy Metz è stata quantomeno spiazzante.
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Più fortunata l'ala maschile, che ha visto trionfante Sterling K. Brown come migliore attore protagonista in una serie drammatica (surclassando alcuni mostri sacri quali Anthony Hopkins e Kevin Spacey o il bravissimo Bob Odenkirk di Better Call Saul, per intenderci), e Milo Ventimiglia che ha quantomeno avuto la soddisfazione di essere nominato nella stessa ambita categoria.
Esito altrettanto felice per la vittoria di Gerald McRaney (nella serie il dottor Katowski), per la categoria guest star. Un ago della bilancia che pende quindi a sfavore della componente femminile della serie, ma che probabilmente risente e sconta il prezzo di un'annata che nel giro di pochi mesi ha proposto sul piccolo schermo un ventaglio di personaggi e ruoli di donne così significativi e interessanti da imporsi in modo predominante, complice ovviamente l'eccezionalità delle interpreti e delle loro prove. Una tempistica che forse non ha giocato a favore della pur bravissima (e peraltro giovanissima) Moore, che per ora scivola silenziosa dalla prima alla seconda stagione senza clamori e riconoscimenti ufficiali. Ma che ha tutto il tempo (e almeno altre due stagioni) per rifarsi.