"E quando sarà finito?" "Non finirà mai! È questo il punto. Come la moda: non finisce mai."
Nella scena d'apertura di The Social Network, quel formidabile dialogo di cinque minuti fra un diciannovenne Mark Zuckerberg e la sua fidanzata Erica Albright al tavolo di un pub, l'attenzione del protagonista è focalizzata in maniera ossessiva su un'unica questione: come essere ammesso all'interno di uno dei cosiddetti final club, le confraternite dell'Università di Harvard, talmente prestigiose da sembrare impenetrabili. Se da lì a breve la conversazione porterà alla rottura fra i due ragazzi, già da quei primi scambi di battute emerge però uno dei temi alla radice del film di David Fincher: il desiderio di sentirsi parte di un gruppo e la frustrazione nel sentirsene inesorabilmente esclusi.
Facebook, in fondo, nasce da qui: dalla rassicurante consapevolezza di essere membri di una comunità, una comunità in cui poter esibire soltanto quegli aspetti di noi stessi che si vuole mostrare al mondo. E The Social Network, che debuttava nelle sale statunitensi l'1 ottobre 2010, ricostruisce appunto questo: la genesi di uno 'spazio' completamente nuovo, quel mondo virtuale che avrebbe letteralmente trasformato la società del ventunesimo secolo e le sue modalità di interazione, e che oggi conta due miliardi e mezzo di iscritti. Facebook, e a seguire l'intero apparato dei social media, resta infatti la massima rivoluzione sociologica della nostra epoca, e il capolavoro di David Fincher è riuscito a rappresentarla in maniera superba.
Il più importante film americano del decennio
Eppure, The Social Network non è soltanto una cronaca dedicata alla nascita di Facebook, né tantomeno un semplice ritratto biografico del suo inventore, Mark Zuckerberg, ruolo affidato alla caratterizzazione di uno strepitoso Jesse Eisenberg. Certo, buona parte del successo del film deriva anche dal tempismo e dalla precisione con cui David Fincher e lo sceneggiatore Aaron Sorkin hanno intercettato la diffusione di un fenomeno tanto significativo, intuendone perfino alcune potenziali derive; ma a un decennio di distanza, in un mondo in cui Facebook e Twitter si sono imposti come i mezzi di comunicazione privilegiati nel giornalismo e addirittura nella politica, The Social Network non appare in alcun modo 'superato', né ha perso un grammo della sua forza.
Al contrario, la pellicola di Fincher costituisce probabilmente il più importante film americano degli anni Dieci, o se non altro il più emblematico di una sintesi fra la modernità nell'utilizzo del linguaggio cinematografico ad ogni livello e la classicità della propria natura di sinistra parabola dell'American Dream. Non che il suo valore non fosse stato riconosciuto già in principio, quando al consenso plebiscitario della critica si era aggiunta la vittoria di tre premi Oscar (miglior sceneggiatura, colonna sonora e montaggio), tre BAFTA Award e quattro Golden Globe; ma da allora, The Social Network ha confermato appieno la propria efficacia di "racconto senza tempo", in cui l'analisi di un determinato momento storico diventa lo specchio in cui si riflettono sentimenti e dilemmi che potremmo trovare in un romanzo dell'Ottocento così come in una tragedia di William Shakespeare.
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Scene di lotta di classe ad Harvard
La prima parte del film è ambientata ad Harvard: il fiore all'occhiello dell'istruzione americana, ma anche un microcosmo strutturato secondo un'implacabile gerarchia sociale. E il Mark Zuckerberg di Jesse Eisenberg, a dispetto delle proprie doti, si sente ingabbiato nei ranghi più bassi di questa gerarchia. Subito dopo il prologo, un montaggio parallelo ci illustra un martedì notte di Mark e dei suoi compagni di dormitorio, impegnati ad hackerare il database dell'Università per creare il sito Facemash e mettere a confronto le studentesse del campus, e un martedì notte delle confraternite, un party privato a base di alcool e sesso a cui le ragazze vengono condotte in un pullman e selezionate all'ingresso, come fossero un carico di bestiame. Il giorno dopo Mark dovrà rispondere delle proprie azioni, ma le stesse pratiche di sessismo e oggettificazione hanno luogo pure fra le pareti delle confraternite, dietro la maschera del privilegio.
In questa prospettiva, l'ascesa di Mark è anche uno smacco inferto a quel privilegio che a lui è stato negato; una stilettata contro la condiscendenza venata di snobismo con cui i fratelli Cameron e Tyler Winklevoss (Armie Hammer) e Divya Narendra (Max Minghella) lo accolgono nell'anticamera del proprio club, proponendogli di lavorare per loro. "I Winklevoss non mi citano per furto di proprietà intellettuale", sosterrà Mark durante la sua deposizione; "Mi citano perché, per la prima volta nella loro vita, le cose non sono andate come per loro dovevano andare". E non a caso il film sottolinea a più riprese - e non senza una pennellata d'ironia - l'esistenza elitaria dei Winklevoss: il loro potentissimo background familiare, le competizioni sportive alla presenza dei reali d'Europa e la composta arroganza con cui si fanno introdurre al cospetto del rettore di Harvard.
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L'amicizia ai tempi di Facebook
The Social Network si configura dunque come un graffiante affresco della società americana (e non solo), del suo insito classismo elevato a sistema di valori e dell'invidia e della volontà di rivalsa che accomunano Mark Zuckerberg a Sean Parker, l'informatico che con Napster aveva messo in ginocchio l'industria discografica (interpretato, con una perversa scelta di casting, dalla popstar Justin Timberlake). Da tale meccanismo prende le distanze, fin dalla prima scena, la Erica Albright di Rooney Mara, che infatti da quel momento uscirà dal mondo di Mark e respingerà il suo goffo tentativo di riavvicinamento; mentre Eduardo Saverin, che ha il volto onesto e gentile di Andrew Garfield, pur facendo parte di quel mondo deciderà di anteporre l'amicizia per Mark al suo tornaconto personale, fidandosi ciecamente del proprio compagno di studi.
Eduardo, insomma, dimostra altre priorità rispetto alle persone che lo circondano, e pertanto è destinato a uscire di scena sconfitto, dopo essere stato manipolato da Mark ed estromesso da Facebook. È l'amaro paradosso di The Social Network: un film imperniato sull'origine del concetto stesso di "amicizia virtuale", ma che narra la parabola di un'amicizia tradita e la solitudine, sempre più ampia e divorante, di un antieroe (il più giovane miliardario sul pianeta) che nell'epilogo rimarrà in una grande sala vuota, immobile di fronte a un PC, in attesa di una notifica che potrebbe non arrivare mai. C'è un'immagine più paradigmatica del nostro tempo, dell'horror vacui che si nasconde dietro i social media? Un'immagine in grado di esprimere in maniera altrettanto incisiva l'inerme contemplazione delle vite degli altri, e il freddo senza fine che è possibile provare davanti a quello schermo?
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