Il viaggio dell'eroe è uno dei modelli strutturali più antichi e importanti della narrativa universale. Nell'epica, nella mitologia, nella religione fino alla letteratura più recente e, per quello che interessa noi, nel cinema. Una struttura trasversale che si è evoluta nel corso della storia dell'uomo, rappresentando un archetipo così importante che chi insegna in aule più o meno prestigiose arriva a definirlo come un meccanismo mentale insito nel modo stesso di processare umano quando si pensa ad una narrazione. Addirittura nel momento in cui sogniamo lo facciamo secondo questo tipo di struttura, perché permette quello che tutti noi cerchiamo in una storia: il viaggio speculare. Un passo verso l'esterno equivale ad un passo verso noi stessi, puntando ad un compimento che prevede l'approdo ad una autoconsapevolezza attraverso il superamento di un periglio o un salvataggio eroico, fino al sacrificio estremo. Dipende poi dalle culture e dai soliti feticismi.
Facendo un salto importante, concentriamoci sulla narrazione videoludica, la quale, ancora più di quella fumettistica (che però è decisamente coinvolta in questo tipo di impostazione, anche nei suoi adattamenti per lo schermo, come vedremo), ha portato avanti per diverso tempo l'approccio tradizionale dell'eroe. Questo perché il videogiocatore "veste i panni" del protagonista di turno in modo molto più diretto rispetto a quello che fa lo spettatore e il lettore. Ecco perché di solito si cerca di renderlo moralmente ineccepibile: evitare il (falso) problema del conflitto, come se questo non potesse legare. Con il risultato di avere avuto per anni personaggi bidimensionali. Un errore clamoroso e che probabilmente ha impedito un adattamento per lo schermo degno di questo nome. Poi è arrivato Neil Druckmann con Uncharted, ma, soprattutto, con The Last of Us (insieme a Bruce Straley). E tutto è cambiato.
Non a caso la prima stagione della serie HBO disponibile in Italia su Sky e NOW, ideata insieme all'ex showrunner di Chernobyl, Craig Mazin, è stata uno straordinario successo di critica e di pubblico, al punto che si parla di un inizio di produzione per la seconda stagione già nel corso di questo anno.
La rivoluzione per il mondo dell'adattamento dai videogiochi allo schermo è stata fatta proprio sul lavoro dell'eroe tradizionale, tragico, sofocleo, portando avanti un processo di contemporaneizzazione (che parola orribile) su questa figura. Perché, ricordiamo, le storie che contano davvero sono quelle che parlano del mondo in cui vengono concepite.
L'eroe classico oggi
Se si pensa al tema dell'eroe classico al cinema il lavoro maggiore è stato fatto nei cinecomics. Anche se, come detto in precedenza, è un discorso che si può allargare a dismisura, ma per la prospettiva che interessa in questa sede restringiamo il campo.
Christopher Nolan, con la sua leggendaria (o famigerata?) trilogia è riuscito a cambiare l'idea dell'eroe tragico nel pubblico contemporaneo, ricostruendone da zero la mitologia. In Batman Begins c'è la discesa all'inferno dell'amoralità fino alla risalita anche fisica fino alla sede della Setta delle Ombre, un processo poi riproposto ne The Dark Knight Rises, addirittura conclusosi con l'extrema ratio (rimangiatasi poi ad un passo dal traguardo, ma va bene, quello con il cinema c'entra poco). In mezzo la creazione di un simbolo in grado di andare oltre l'uomo, ovvero l'archetipo dell'eroe epico coniugato con il sacrifico di divenire egli stesso il cattivo pur di dare al popolo ciò che serve per ispirarlo.
Un discorso interessante, fatto, non a caso, su uno dei supereroi che più ha permesso una riflessione sul tema, ma che di fondo, oltre qualche variazione su di uno schema piuttosto classico (la paura come arma, l'opposizione tra giustizia e vigilante e il dualismo uomo/simbolo), poco ha portato in termini di innovazione. Quello che invece ha fatto è, senza dubbio, tracciare una strada, anche commerciale, uno spazio di opportunità.
Il Marvel Cinematic Universe ha invaso il suddetto spazio e ha cominciato a parlare di eroi, esaltandone le differenze, facendoli vivere secondo una luce corale, rendendoli più umani, ma sempre nel rispetto del solito schema e di un mondo piuttosto "gommoso" in cui le loro gesta, per quanto al limite, potessero essere sempre salvate agli occhi dello spettatore. Anche quando li portavano a scontrarsi tra loro.
Una sorta di umanità controllata, in cui era possibile essere fragili ed egoisti solamente in una certa misura e in cui era possibile crescere e scoprire se stessi solo affrontando le proprie paura, i propri nemici. Thanos è stato importantissimo in questo senso, la nemesi maxima di un pensiero contemporaneo collettivo, un game over risultato di uno straordinario sforzo archetipico dell'universo cinematografico pop.
Il multiverso è la nuova tendenza, che permette una vivisezione anche fisica, in cui si potrebbero affrontare le varie idiosincrasie del super eroe, più umano, più contradditorio, ma che di fondo torna sempre ad un tema famigliare. Ecco, la famiglia, questo ci porta a The Last of Us.
Batman Begins: come Christopher Nolan ha rivoluzionato, ma anche rovinato, i film di supereroi
"Save who you can save"
Ciò che ha reso la serie HBO possibile, dove ha fallito anche Halo per esempio (lasciate stare Arcane, lì c'è tutto un altro discorso che deve essere fatto), sta nella straordinaria capacità di Druckmann e soci di individuare il grigio nei loro personaggi. Di renderli delle persone all'interno di un mondo dove i concetti di comunità e di appartenenza sono purtroppo superati. Un mondo dove non c'è più un buono o un cattivo e dove vittima e carnefice sono due ruoli (e non caratteristiche personali) che possono cambiare più volte nel corso della medesima giornata.
Un ribaltamento che parte quindi dal capovolgimento del contesto: da uno spazio controllato ad uno selvaggio, in cui essere la famiglia assume un significato diverso, in cui bisogna salvare chi si può e non chi si deve. In cui dagli altri ci si deve difendere e non certo sacrificare (come farebbe Iron Man).
Cornice ideale, resa con il post-apocalittico realistico, in cui non c'è Dio, ma solo il Cordyceps, che, come tutti, fa quello che deve per sopravvivere, per il viaggio di Ellie e Joel che, al pari di The Road di McCarthy, o Lone Wolf and Cub, altro non è che una storia d'amore. Di più, una storia di amore estremo, un sentimento che diventa solo un altro tipo di malattia, un altro tipo di maledizione.
The Last of Us e Uncharted: perché i due progetti hanno un diverso approccio ai videogiochi
Se al cinema popolare siamo abituati ad una familiarizzazione con l'eroe di turno simile a quella che si ha con le star da quando esistono i social, ovvero una finta vicinanza a persone invece viste come superiori e inarrivabili, The Last of Us presenta personaggi che sono talmente vicini da farci riflettere sulle questioni morali fondanti e sul nostro modo di rapportarsi ad esse. Il coinvolgimento del videogiocatore/spettatore attraverso il conflitto, proprio quello che si ha sempre avuto così paura di trattare e che invece è ciò che lega di più.
Siamo umani e dunque cerchiamo i nostri simili. Siamo disposti a mettere in gioco noi stessi per capirli. Più sono imperfetti e meglio è, più sono malati e meglio è. Non ce ne facciamo nulla di uno spiraglio attraverso una sequenza in cui mettiamo a letto nostra figlia o una storia su Instagram in cui siamo a casa a cucinare.
Un salto ulteriore è stato fatto nel passaggio dal 2013 al 2023, ovvero l'adattamento di un materiale appartenente ad una realtà pre-pandemia nel contesto di una realtà che si riferisce ad un pubblico che ancora ha gli incubi del COVID e che ha a che fare con un mondo ancora più isolato, alienato, egoista ed egocentrico. Un mondo in cui non ci si parla più, in cui non si è più in grado di confrontarsi con gli altri e in cui l'empatia è un'arma a doppio taglio. In cui la regola è essere egoisti, pensare al proprio clan.
The Last of Us ci mette di fronte a queste tematiche, di fronte a noi stessi, chiusi in un sistema che vuole far sentire tutti speciali, tutti eroi. Una trappola, una narrazione errata, in cui cadiamo tutti, anche per sopravvivere. Lo fa creando la storia di Joel e Ellie, la storia di due violenti, sopravvissuti, anche egoisti, come è comprensibile, in un mondo come il loro. In un mondo come il nostro. Né giusto né sbagliato. Comprensibile. Il loro viaggio, la loro relazione è la rivelazione, è la verità, è il mondo reale che bussa alla porta. Brutale, sincero e implacabile. La questione morale avviene di conseguenza, come accade ogni volta che si osservano le gesta che contano sul serio. Quelle di un eroe. O di un antieroe. Di un padre, di una figlia. O di una persona.
The Last of Us, tra paura e speranza: la serie vista da chi non conosce il videogioco