E mi ricordo d'aver pensato: 'Ecco, questo dev'essere il preludio della felicità. Questo è solo l'inizio, e d'ora in poi crescerà sempre di più!'. Non mi ha sfiorato l'idea che non fosse il preludio... era quella la felicità. Era quello il momento. Era quello.
La sagoma di una donna esce di casa, si inoltra a passo deciso nella campagna del Sussex e, dopo essersi infilata delle pietre nelle tasche, si addentra nelle acque del fiume Ouse: un passo dopo l'altro, come una novella Ofelia, fin quando i flutti non si richiudono sopra di lei. Quella donna minuta e dai tratti spigolosi è Virginia Woolf; l'anno è il 1941 e la celebre scrittrice, sopraffatta dalle voci che si agitano nella sua mente, sceglie di concludere così la propria esistenza. L'incipit di The Hours, così come il prologo del libro di Michael Cunningham, corrisponde al traguardo annunciato del percorso della Woolf, destinata a soccombere ai propri demoni, eppure pervasa dalla gratitudine per aver ricevuto "la più grande felicità possibile". È sotto il segno di questo apparente paradosso che partono i titoli di testa del film e si aprono le storie delle tre protagoniste del racconto.
Pubblicato nel 1998, Le ore è il quarto romanzo dell'americano Michael Cunningham, che aveva esordito nel 1984 con Golden States e raggiunto una certa notorietà nel 1990 grazie a Una casa alla fine del mondo; ma è Le ore, ricompensato con il premio Pulitzer, a consacrarlo sulla scena letteraria internazionale e ad attirare un immediato interesse per una trasposizione cinematografica. Diretto dall'inglese Stephen Daldry, che aveva esordito dietro la macchina da presa nel 2000 con l'apprezzatissimo Billy Elliot, e firmato dal drammaturgo e regista David Hare (Plenty, Il mistero di Wetherby), The Hours fa il suo debutto nei cinema americani il 27 dicembre 2022, imponendosi fra i titoli di punta dell'annata. Gli elogi per la pellicola di Daldry saranno accompagnati dalla vittoria di due Golden Globe (tra cui miglior film), dall'Orso d'Argento al Festival di Berlino per il terzetto di interpreti e da nove nomination agli Oscar, con Nicole Kidman premiata con la statuetta come miglior attrice.
Una giornata particolare
Un successo niente affatto scontato, se si tiene conto dell'essenza della fonte letteraria e delle conseguenti difficoltà nel riadattarla. Michael Cunningham, estimatore della scrittura della Woolf, sviluppa infatti gran parte del libro attraverso la tecnica del flusso di coscienza; è la sceneggiatura di David Hare che, riprendendo la struttura del romanzo, fa emergere l'universo interiore dei tre personaggi principali mediante una serie di confronti dialogici, contrassegnati da piccole ma significative variazioni rispetto al libro. Il resto - i sottintesi, i non detti, le emozioni troppo complesse o scottanti per essere manifestate a voce alta - è affidato al talento delle tre attrici che si alternano sullo schermo nelle tre storie parallele del film: Nicole Kidman nella parte di Virginia Woolf nel 1923, durante un soggiorno nella sua residenza suburbana di Richmond; Julianne Moore in quella di Laura Brown, giovane madre di famiglia nella Los Angeles del 1951; e Meryl Streep (che già compariva in una sorta di cameo fra le pagine del romanzo) nel ruolo di Clarissa Vaughan, editor nella New York del 2001.
The Hours si consuma nell'arco di una singola, fatidica giornata, decisiva per la vita di ciascuna delle tre donne, secondo un sistema di echi e rispecchiamenti costruito attorno a un elemento comune: La signora Dalloway, capolavoro di Virginia Woolf e ingranaggio che mette in moto le tre linee narrative del libro e del film. Nel 1923 la Woolf, in attesa di una visita della sorella Vanessa Bell (Miranda Richardson), inizia a progettare il romanzo e a interrogarsi sulla sorte di Clarissa Dalloway; nel 1951 Laura Brown, nel giorno del compleanno del marito Dan (John C. Reilly), intraprende la lettura de La signora Dalloway e comincia a mettere in discussione tutte le proprie scelte; infine nel 2001 Clarissa Vaughan, soprannominata signora Dalloway, si trova a ripercorre le orme della sua omonima mentre prepara una festa in onore dell'amico ed ex-amante Richard (Ed Harris), rinomato poeta malato di AIDS. Tra visite, conversazioni e faccende domestiche, le protagoniste non potranno fare a meno di fronteggiare l'angoscia che le attanaglia e di decidere come reagire.
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La ricerca della felicità
Contraddistinte da diversi gradi di consapevolezza, Virginia, Laura e Clarissa rivendicano, ognuna a suo modo, il principio di autodeterminazione e il diritto alla felicità: una chimera evanescente, messa a repentaglio da vari fattori che condizionano le loro vite. Per Virginia Woolf è l'instabilità psichica che ha spinto suo marito Leonard (Stephen Dillane) ad abbandonare il caos di Londra per far sì che potessero immergersi nella quiete di Richmond; una quiete che tuttavia, per Virginia, equivale a un insostenibile senso di oppressione ("Io non scelgo la soffocante anestesia dei sobborghi, ma le violente scosse della capitale"). Per Laura Brown si tratta dello statuto di moglie e madre definito dal modello borghese degli anni Cinquanta, in cui però lei non è più in grado di riconoscersi, tanto da contemplare l'idea del suicidio; la sua sola ancora di salvezza, pertanto, consisterà nel rifiutare tale modello, a costo di provocare la sofferenza dei propri cari ("Lì c'era la morte... io ho scelto la vita").
Per Clarissa Vaughan, invece, l'ostacolo alla felicità risiede nel dolce struggimento legato alla sua antica passione per Richard e al ricordo della loro gioventù insieme. Un lontano idillio messo in contrapposizione alla decadenza fisica e mentale dell'uomo, mentre l'entusiasmo di Clarissa - che esce di buon mattino per andare a comprare i fiori, proprio come la signora Dalloway - si sgretola a poco a poco con il passare delle ore, cedendo il posto al brivido della vertigine. Costantemente in bilico fra i piani della realtà e dell'immaginazione, The Hours innesta nel dramma dei suoi personaggi la tensione di un thriller e un'enfasi da mélo, accentuata dalla partitura musicale di Philip Glass; e partendo dalle riflessioni di Virginia Woolf, elabora un discorso tutt'altro che banale sulla letteratura come supremo veicolo di empatia e come strumento di comprensione del mondo e di se stessi.
Da The Wife a Espiazione, quando il cinema racconta l'arte della scrittura