"Sono un uomo nero, che porta le stelle e le strisce. Cosa non capisco? Ogni volta che prendo in mano questa cosa, so che ci sono milioni di persone là fuori che mi odieranno per questo. Anche ora, qui. Lo sento". In queste poche righe vi è gran parte di ciò che ha reso The Falcon and The WInter Soldier quella serie di grande audacia, originalità e attualità che ha stupito il pubblico e portato il MCU in un terreno inesplorato e importante: quello della politica. L'America degli ultimi anni ha visto tornare in auge problematiche che parevano superate o perlomeno ormai sconfitte quali il razzismo, l'intolleranza, ha dovuto far fronte ad una conflittualità politica e sociale altissima. Per questo, avere lui, Sam Wilson, come nuovo Capitan America non è e non può essere liquidato come una semplice svolta narrativa. Perché dietro vi è un percorso lungo decenni, in cui a lungo le minoranze non si sono sentite rappresentate fino in fondo dagli dei americani creati da Lee o Miller. Parlare di quest'ultimo episodio della serie, della sua innegabile portata storica, significa semplicemente capire che siamo davvero entrati, finalmente, nel XXI secolo. O perlomeno ci stiamo provando.
Un'attesa lunga quarant'anni
Marzo 1977. In piena blaxploitation viene distribuito in qualche videoteca Abar, the First Black Superman diretto da Franck Packard. Si tratta del primo film su un supereroe afroamericano, girato con pochi spiccioli (ed illegalmente) a Los Angeles. Aprile 2021, ultima puntata di The Falcon and the Winter Soldier. Sam Wilson (Anthony Mackie), che fino a quel momento appariva recalcitrante e dubbioso circa la possibilità di essere il nuovo Capitan America, entra in scena con un costume che fa di lui una bandiera americana in volo, brandendo lo scudo ereditato da Steve Rogers. Ci sono più di quarant'anni in mezzo, un periodo lunghissimo. Tanto c'è voluto per vedere finalmente l'America rappresentata da qualcuno che non fosse il classico eroe ariano nato nella terra degli uomini liberi per sbaglio, o al limite che non fosse un alieno figlio di contadini bianchi del Kansas e così via. In mezzo vi è stato un percorso lungo, difficile, in cui la comunità afroamericana (ma un po' tutte le comunità non bianche) hanno avuto dal panorama culturale sicuramente un sacco di eroi ed eroine, alcuni dei quali diventati di grande successo. Ma a guardare con maggior attenzione, o si trattava di personaggi abbastanza stereotipati, oppure di seconde scelte, comprimari all'interno di team più vasti guidati da eroi bianchi. Spesso, poi, sul grande schermo questi personaggi andarono incontro ad un insuccesso clamoroso, con nel caso di Steel con Shaquille O'Neal, di The Meteor Man, Spawn... Gli stand-alone non funzionavano, con la sola, brillante eccezione della saga di Blade, della cui importanza da questo punto di vista non si parlerà mai abbastanza. Ma negli ultimi anni le cose sono finalmente cambiate. Nel 2016 abbiamo avuto la serie Marvel Luke Cage, poi due anni più tardi, sul grande schermo è arrivato il terremoto chiamato Black Panther, assieme all'Uomo Ragno inclusivo di Erik Morales in Spider-Man: Un Nuovo Universo. Lì ha avuto inizio la rincorsa di The Falcon, la spalla di Steve Rogers, che pochi giorni fa ha tagliato un importane traguardo.
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Il perché della scelta fatta da Steve Rogers
Quando in Avengers: Endgame il vecchio Cap aveva consegnato a Sam il suo scudo, in molti si erano risentiti per il fatto che non fosse stato il fratello di una vita, il compagno d'armi Bucky (Sebastian Stan) ad averlo. Eppure, tra le tante cose positive di questa serie, vi è stato anche lo spiegare il perché Steve avesse scelto lui, che durante gli eventi narrati in Captain America: The Winter Soldier era stato tra i pochissimi a schierarsi e ad aiutarlo. Andando avanti nella saga degli Avengers, Sam si era distinto per coraggio, abnegazione, lealtà, per il fatto di rispettare la vita umana, saper fare gioco di squadra, sensibilità e umiltà. E queste erano tutte doti che anche Steve aveva. Bucky, invece, è sempre stato un'anima ferita e fuori posto, martoriato dai sensi di colpa per il suo passato di assassino condizionato agli ordini dell'Hydra. Non poteva farsi carico di quello scudo, come si è visto in questa serie, infatti era un alieno in questo mondo, in questa epoca, un lupo solitario. Sam era il perfetto Capitan America soprattutto perché era conscio dell'importanza di avere quello scudo, della responsabilità che esso portava con sé, ed ecco perché aveva deciso, pieno di buone intenzioni, di darlo via perché fosse esposto nel mausoleo dedicato a Rogers. Allontana da me questo calice, pareva dire. John Walker (Wyatt Russell) fino all'episodio finale è stato il suo alter ego in questo. Come lui un reduce pluridecorato, un soldato coraggioso, ma anche un simbolo di quel veleno che è l'eccezionalismo americano, quel narcisismo nazionalista che in lui aveva un totem. Ed oltre ad essere alter ego di Sam lo era anche di Rogers, perché insicuro, egoista, pieno di paura e senza la volontà di affrontarla, convinto che grazie a quello scudo sarebbe diventato l'uomo che sognava di essere. Sam invece, alla fine, ha preso quello scudo perché convinto che così avrebbe potuto cambiare il mondo, aiutare le persone, difendere i più deboli.
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Il riscatto della comunità afroamericana
Cap, però, ha scelto Sam anche per un altro motivo: Sam è un afroamericano che porta le stelle e le strisce. Per essere Capitan America bisogna sapere come usare la forza, il che vuol dire anche essere stati deboli. La debolezza di Steve Rogers era la sua fisicità curata dal siero del super-soldato, quella di Sam era diversa, era qualcosa che Steve poteva immaginare ma non conoscere: essere nero. Sam in questa serie si è trovato di fronte a una realtà che vede gli afroamericani ghettizzati, trattati come esseri inferiori, costretti a fare affidamento solo sulle proprie forze. Il sistema, come ha potuto vedere cercando di aiutare l'orgogliosa sorella, discrimina le minoranze, le uniche eccezioni sono quelli come lui, quelli "famosi". Sam viene trattato come si tratterebbe un asso dell'NBA, è un "nero diverso". Diverso da quell'Isaiah Bradley che, rivelandosi in piena luce, gli ha ricordato come il suo paese abbia sempre trattato gli afroamericani in modo indegno. Il Captain America nero c'era già, aveva servito in Corea, poi era stato chiuso per trent'anni in prigione, sottoposto a torture ed esperimenti tra i più crudeli. Era andata meglio in Vietnam? No. Cosa era cambiato dai tempi di Isaiah per la sua gente? Niente. Poi Sam, combattendo Karli Morghentau (Erin Kellyman) e i suoi Flag-Smasher ha capito qualcosa che l'americano medio non ha mai compreso: dall'usare il mondo come un giocattolo nasce quel dolore che in qualche modo si cerca di condividere per non esserne schiacciati, nasce il terrorismo. Quel dolore lui lo conosce molto bene, e sa che non serve a niente. Non odia Karli come fa Walker, sa che è il sintomo di uno stato di cose che bisogna cambiare, di un modo di guidare il mondo con cui gli Stati Uniti, dopo l'11 settembre come dopo lo Snap di Thanos, si sono fatti semplicemente odiare: "Questa ragazza è morta cercando di fermarvi. E nessuno si è fermato un secondo a chiedersi perché."
Non più solo un simbolo americano
Sam nell'ultimo episodio si esibisce in un discorso finale, che per quanto per certi versi un po' paternalistico, retorico o semplicistico nel suo mostrare l'ennesimo messia che converte il mondo, ha al suo interno una grande verità: gli Stati Uniti non possono essere i salvatori del mondo continuando a trattarlo come ne fossero anche il padrone. Il sistema è viziato da quel capitalismo totalizzante, che rende la banche padrone dei governi, i confini soggetti a cambiamenti unilaterali, le minoranze, i più deboli, i più poveri, le vittime designate degli effetti collaterali di un potere che invece di servire le persone, le usa. Sam cala dal cielo, con le nuove ali in vibranio, con lo scudo di Cap, con i colori della Old Glory addosso. Non è più the Falcon, è il nuovo simbolo dell'America che ora ha in edicola un Capitan America paladino dei diritti LGBT, perché ha capito che i simboli possono anche rimanere uguali, ma ciò che portano con loro e chi li indossa no. Rogers lo sapeva, l'aveva sempre saputo, era Sam che non era pronto a capirlo, inconsciamente era ancora schiavo di una visione di un mondo passato che ne condizionava il futuro: i neri e le minoranze come impossibilitati ad uscire dal ghetto, condannati ad essere paria dentro il loro paese, come Isaiah, a cui alla fine riesce a rendere giustizia. Sam rivendica il suo essere nero? Si. Ma riesce anche a fare il salto di qualità, ad andare oltre il colore della sua pelle, a capire che la disperazione che lui pensa essere un'esclusiva della sua minoranza è invece qualcosa che avevano subito Karli come altri. Non è più solo Captain America è qualcosa di diverso, è la voce dell'America che fa autocritica ed esce dal suo guscio, nega l'eccezionalissimo di Walker, abbraccia la necessità di essere migliore, essere altro. E solo chi veniva dalla parte più sofferente ed emarginata del mondo poteva capirlo, solo chi era come Steve. O come Sam, il simbolo del riscatto.
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