Tár: un meraviglioso film sull’ambiguità e il potere

Nel capolavoro di Todd Field candidato agli Oscar, una straordinaria Cate Blanchett presta il volto a Lydia Tár, disegnando un personaggio di oscuro e inesorabile fascino.

Tár: un meraviglioso film sull’ambiguità e il potere

C'è dell'umiltà in Bach. Lui non pretende di avere certezze su alcunché, perché sa che è sempre la domanda a coinvolgere l'ascoltatore; non è mai la risposta.

Una passione vibrante, profonda, quasi viscerale trapela dalle parole con cui Lydia Tár - per voce di Cate Blanchett - parla della musica e del suo significato. Che discetti dello stato d'animo di Gustav Mahler quando compose la Sinfonia n. 5, mostri al pianoforte le innumerevoli interpretazioni di una singola manciata di note di Johann Sebastian Bach o, citando il suo maestro Leonard Bernstein, esalti la capacità della musica di "parlarci di cosa proviamo più di quanto possa fare un milione di parole", Lydia Tár è attraversata da un'enfasi contagiosa: talvolta più sommessa, talaltra con una verve spiccatamente teatrale. In ogni caso è impossibile staccarle gli occhi di dosso, non farsi irretire dal suo eloquio imperioso e suadente, frutto di un carisma che non lascia scampo. Quel carisma che, oltre a costituire un tratto distintivo del personaggio, è alla radice stessa del film Tár, una delle sue ragion d'essere.

Il mistero di Lydia Tár

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Tár: un'immagine di Cate Blanchett

Perché recepire - o meglio ancora subire - il magnetismo di Lydia Tár, avvertire il reverenziale senso di ammirazione di cui è circondata, fino al punto di condividerlo, è una conditio sine qua non per entrare davvero nell'opera di Todd Field. Se questo avviene, se ci si abbandona al flusso dell'esistenza della sua protagonista, allora l'incantesimo è compiuto: sarà inevitabile innamorarsi di Tár, della tenebrosa bellezza di un film il cui ritmo varia con il variare delle emozioni di Lydia, del senso di autorità (o di onnipotenza?) che ne caratterizza scelte e azioni. Azioni che spesso pongono una sfida diretta al nostro sguardo e al nostro senso morale, spingendoci ad interrogarci sulla loro natura: chi è veramente Lydia Tár? Una campionessa di megalomania e opportunismo, un capro espiatorio della cancel culture o forse qualcos'altro ancora? Quale realtà si cela fra le visioni che, dalle sue notti popolate da incubi, cominciano ad affiorare anche altrove?

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Tár: un'immagine di Cate Blanchett

Sono alcuni degli enigmi lanciati dal terzo lungometraggio del produttore, sceneggiatore e regista californiano Todd Field, classe 1964, girato a ben sedici anni di distanza dal precedente Little Children e a ventuno dall'acclamato esordio con In the Bedroom. Per centocinquanta minuti seguiamo i passi di Lydia Tár fra New York e la capitale tedesca, dove riveste l'incarico di direttrice capo della Berliner Philharmoniker e si prepara a portare in scena la Quinta di Mahler per una registrazione dal vivo; e fin dall'inizio veniamo messi a conoscenza dell'aura di prestigio di cui si è ammantata nel corso di una carriera folgorante. Il suo nome, del resto, è corredato dagli status symbol dell'odierna celebrità: dall'infinito elenco di riconoscimenti snocciolato in apertura della sua intervista per il New Yorker Festival (incluso il titolo di EGOT) per approdare alla biografia su Wikipedia, una pennellata di realismo in un film in cui trionfi e ossessioni passano inevitabilmente per i canali della contemporaneità.

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"Time is the thing": sottomettere il tempo

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Tár: un'immagine di Cate Blanchett

Non a caso il nostro primo incontro con Lydia Tár, un fugace incipit dal taglio voyeuristico subito prima dei titoli di testa, consiste nella ripresa clandestina di uno smartphone; Krista Taylor, la minaccia invisibile che pende sul capo di Lydia, prende forma unicamente nelle sembianze virtuali della posta elettronica; mentre altri video 'rubati' si materializzano sulla graticola mediatica di Twitter, laddove la dimensione virtuale scatena un corto circuito con la concretezza del quotidiano. È una dicotomia a cui il film allude a più riprese: dall'inquadratura dei vinili disseminati su un pavimento, e sottoposti al vaglio mediante il piede indagatore di Lydia, all'avvento del digitale, scelto come supporto esclusivo della sua imminente incisione. Lydia, insomma, è consapevole della modernità e dei suoi strumenti, e quindi pretende di controllarli, come tutto il resto: il suo mondo, d'altra parte, si muove alla velocità che è lei stessa a dettare.

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Tár: un'immagine di Cate Blanchett

"Il tempo è l'elemento essenziale di un'interpretazione. Non si può cominciare senza di me: io attivo l'orologio": Lydia, che di professione scandisce il tempo dell'orchestra, parimenti domina ogni aspetto della propria vita, e alle persone che le gravitano attorno non resta che adeguarsi ai movimenti della sua bacchetta. Vale per Francesca Lentini (Noémie Merlant), l'assistente che la segue come un'ombra e che ripete con il labiale ogni sillaba del suo cursus honorum; vale per Sharon Goodnow (Nina Hoss), compagna di Lydia e primo violino dell'orchestra; e vale per il microcosmo di musicisti che ruota attorno a lei. La lunga descrizione della routine di Lydia, dagli eventi pubblici ai pranzi di lavoro alle prove con la Berliner Philharmoniker, è tutt'altro che superflua: serve a immergerci nella prospettiva di una donna ormai assuefatta al proprio statuto di genio conclamato e di icona inscalfibile. Uno statuto a tal punto elevato da provocare quell'ebbrezza che, fatalmente, conduce verso la trappola della hybris.

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La maschera mostruosa del potere

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Tár: un'immagine di Cate Blanchett

In quale misura Lydia ha abusato del proprio potere? In quale misura è responsabile dell'annientamento di Krista, prima ancora che del suo suicidio? In quale misura manipola e tradisce chi le è più vicino mentre vagheggia di sedurre la giovane violoncellista Olga Metkina (Sophie Kauer)? Sarebbe stato facile dipingerla come un'antieroina, l'emblema delle storture di una società divisa fra prede e predatori. Ma Todd Field preferisce l'approccio di Bach: non millanta certezze, bensì ci cattura con delle domande e, nel farlo, ci costringe a cimentarci con la complessità che alberga nei più grandi personaggi della letteratura e del cinema. Lydia sarà pure un mostro, ma nel senso etimologico del termine: una creatura prodigiosa in grado di suscitare la nostra meraviglia. Una creatura che dispensa giustizia e terrore, come il Dio dell'Antico Testamento: "Te la farò pagare", promette con tono glaciale a una coetanea della sua figliastra all'ingresso della scuola, per poi ricordarle che "Dio ci osserva tutti"... non è forse un sublime esempio di hybris?

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Tár: un'immagine di Cate Blanchett

Dalle umili origini familiari a Staten Island, Lydia Tár ha costruito il proprio mito (a cominciare dalla trasformazione del nome) intrecciando l'assoluta abnegazione alla musica a un sottile ma implacabile machiavellismo; e tale amalgama è il nucleo fondante di questa figura, nonché dell'elettrizzante performance di Cate Blanchett, alle prese con uno di quei ruoli che valgono un'intera carriera. L'ambiguità di Lydia, costantemente in bilico su una zona grigia di cui possiamo solo provare a intuire i confini, si riflette sull'ambiguità intima e conturbante di un film straordinario, che muta davanti ai nostri occhi con il mutare della prospettiva della sua protagonista, fino all'estremo sacrificio sull'altare dell'arte, in un'ideale parabola di morte e rinascita. In fondo, era stata lei stessa a preannunciarcelo: "Dovete sublimare voi stessi, il vostro ego e sì, la vostra identità. In effetti, dovete stare di fronte al pubblico e a Dio, e annientarvi".

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