È dedicato a Libero De Rienzo, l'amato attore scomparso la scorsa estate, Takeaway, il film di Renzo Carbonera, in uscita al cinema il 20 gennaio. Nella recensione di Takeaway vi parleremo di un attore che ci manca, e non è certo un modo di dire, ma anche di un film che tocca un nodo scoperto dello sport di oggi: il doping. Una scritta in sovraimpressione ci racconta che, secondo la Wada, l'agenzia internazionale antidoping, oggi una percentuale tra il 20 e il 24% degli atleti non professionisti fa regolarmente uso di sostanze dopanti, come steroidi e anabolizzanti, senza alcun controllo medico. E che il 70% è in grado di doparsi o l'abbia fatto almeno una volta nella vita. Il senso del titolo, Takeaway, è proprio in questa facilità di procurarsi certe sostanze e di farsi una cura fai da te, da prendere e portar via. Takeaway racconta tutto questo non con un classico film di denuncia, ma con un film intimista e drammatico, che tiene sulla corda come un thriller e sembra sempre sul punto di svoltare verso il noir, cosa che non è, ma di cui mantiene certe atmosfere.
Rientrare in gioco
Esterno, giorno. È una mattina fredda e nebbiosa, in alta montagna. Una ragazza marcia da sola facendosi strada tra le coltri. È Maria (Carlotta Antonelli), una promessa della marcia che è uscita dal giro, ma vuole a tutti costi rientrare in gioco. Almeno quanto lo vogliono il suo compagno Johnny (Libero De Rienzo), ex allenatore di atletica radiato per doping, e i suoi ambiziosi genitori (Paolo Calabresi e Anna Ferruzzo), che gestiscono un hotel in una località sciistica, un luogo che sembra allo sbando quasi quanto loro. Ma rientrare in pista, per Maria, comporterà tanti sacrifici: a livello fisico, economico, nervoso e psicologico.
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Carlotta Antonelli, finalmente protagonista
Takeaway regala il primo, vero ruolo di protagonista a Carlotta Antonelli, che finora avevamo visto sullo schermo soprattutto come moglie o fidanzata del protagonista. Qui è invece il centro assoluto della storia e dimostra una grande versatilità, affrontando un ruolo molto più complesso di quelli in cui l'avevamo vista finora. Il film di Renzo Carbonera la allontana dai contesti urbani e romani di Suburra e Bangla, per spostarla in luoghi desolati e solitari, paesaggi stato d'animo che rendono l'idea della solitudine dell'atleta, che in fondo è in continua sfida con se stesso e solo su se stesso può contare. Senza quegli ambienti cittadini pieni di personaggi e sovrastrutture, può emergere finalmente la bravura di Carlotta Antonelli, la capacità di affrontare un personaggio scisso e sfaccettato come Maria. Lo fa con poche parole e con molte espressioni del volto - la sofferenza, il disgusto, l'ansia, il dubbio - e con un fisico nervoso, e allenato per l'occasione, che rende il suo personaggio estremamente credibile. Carlotta Antonelli porta al film la sua bellezza naturale e ruvida, quella sua dolcezza un po' scostante, che non è un ossimoro, ma la sua vera cifra attoriale.
Libero De Rienzo, eroe stanco che non si dà per vinto
L'altro lato della medaglia è Johnny, interpretato da Libero De Rienzo. È il suo compagno di vita, e il suo alleato nello sport, è un uomo molto più adulto di lei. Il fisico rilassato, quel suo essere statico, Johnny sembra l'opposto di Maria. Eppure entrambi remano nella stessa direzione, con un'unità di intenti apparentemente inscalfibile, per un unico obiettivo: il successo di lei, costi quel che costi. "Esiste solo una morale: il podio". Libero De Rienzo ha sempre quei capelli un po' spettinati che gli cadono sulla fronte come vent'anni fa, quando lo avevamo conosciuto e amato subito in Santa Maradona. Oggi ha la barba un po' lunga e arruffata, spruzzata di bianco, funzionale al personaggio, le occhiaie a contornare quegli occhi azzurri, spenti come è consono ora al suo ruolo, che è quello di un eroe stanco, ma che non si dà per vinto, un cavaliere che insegue il suo Sacro Graal - una medaglia che vuol dire tutto - e, nel suo, crede di essere nel giusto.
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Racconta ma non giudica
Il film di Renzo Carbonera racconta ma non giudica. A suo modo denuncia il sistema del doping, ma è anche vicino a questa umanità precaria, come tutti noi oggi, a cui ci fa affezionare. Sono persone che sicuramente fanno scelte sbagliate, ma è come se non avessero un'altra strada, se non avessero possibilità di scelta. È come se la voglia di vincere diventasse una droga, la vera sostanza dopante, qualcosa da cui non si possa uscire. Non ci riesce l'atleta, ma non ci riesce neanche chi, per vari motivi, proietta su di lui le proprie attese e la propria voglia di fama o di successo. Carbonera riesce a farci arrivare tutto questo in modo molto efficace, con un racconto semplice ma originale, e il risultato è l'empatia che si crea con i protagonisti.
Un thriller che non lo è
Takeaway è una storia drammatica, fatta di cadute e tentativi di rialzarsi, di scelte che sembrano obbligate ma non lo sono. È un racconto che ha la tensione e l'atmosfera sospesa di un thriller, anche se non lo è, e che tiene incollati allo schermo, ha un'atmosfera da noir anche se le direzioni che prende sono altre. Qualche svolta narrativa, come quella legata al personaggio di Tom (un Primo Reggiani inedito), non convince del tutto e forse svia dal racconto principale, ma in fondo non è un grosso problema per il film. Anche perché le svolte narrative importanti, arrivano al punto giusto, e sono coerenti con il racconto.
Costruzioni in disuso, persone in disuso
Molto dell'atmosfera si deve alle ambientazioni e alle musiche. Quei luoghi di montagna desolati e abbandonati - non luoghi come una fatiscente stazione di servizio o hotel dismessi - e la musica elettronica e minimale di Alexander Hacke servono a raffreddare una materia che poteva essere bollente, a isolare i personaggi, a stilizzare il tutto in modo che la storia diventi un'opera morale e universale. Certe architetture fatiscenti creano solitudine e disagio in chi guarda, e rendono in questo modo più forte quello dei protagonisti. Sono delle costruzioni in disuso, ma sono il simbolo di delle persone in disuso.
Conclusioni
Nella recensione di Takeaway vi abbiamo parlato di un film che affronta il problema del doping nello sport, e che racconta tutto questo non con un classico film di denuncia, ma con un film intimista e drammatico, che tiene sulla corda come un thriller e sembra sempre sul punto di svoltare verso il noir, cosa che non è, ma di cui mantiene certe atmosfere.
Perché ci piace
- La storia è originale e affronta un tema poco trattato come il doping nello sport.
- Lo fa con un film che ha le atmosfere del thriller e del noir.
- Le interpretazioni di Libero De Rienzo, l'ultima, e di Carlotta Antonelli, sono toccanti.
Cosa non va
- Alcuni snodi narrativi sono meno riusciti.