Non ha avuto vita facile il film di Danny Boyle sull'ex CEO della Apple. Prima la battaglia legale e mediatica con l'azienda di Cupertino e la vedova dell'imprenditore, poi l'abbandono di due star di primissimo livello come Leonardo DiCaprio e Christian Bale, e infine il Sony Leak e il conseguente mezzo disastro al botteghino con tanto di critica da parte dello stesso regista per alcune scelte distributive poco lungimiranti.
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La conseguenza di tutto ciò è che un film che avrebbe avuto tutte le carte in tavola, a partire dallo script dell'unico vero sceneggiatore rockstar di Hollywood Aaron Sorkin, per spopolare alla notte degli Oscar si è portato a casa soltanto due (sacrosante) nomination ai due attori principali. E così un film con tutte le caratteristiche per diventare un nuovo classico del cinema contemporaneo ha fatto fatica a fare breccia nel cuore degli spettatori. Non della critica ovviamente che l'ha promosso quasi sempre a pieni voti (la nostra recensione è un esempio abbastanza eclatante), ma il grande pubblico questo Steve Jobs l'ha ignorato quasi del tutto.
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Noi però siamo convinti che la qualità paghi e che un film del genere rivisto a distanza di anni continuerà a mantenere il suo fascino o forse, addirittura, ad acquistarne sempre di più. Che un nuovo classico della cinema d'autore hollywoodiano, del cinema degli anni 2000, lo sia già diventato nonostante tutti i problemi e le difficoltà e che sarà solo questione di tempo prima che si guardi indietro all'insuccesso del film di Boyle come uno dei tanti e grandi di Hollywood e degli Oscar. E se siete curiosi di capire perché pensiamo tutto questo, eccovi cinque caratteristiche che rendono il film indimenticabile e unico nel suo genere.
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1. La struttura narrativa
Fosse stato un biopic più tradizionale, chissà, forse per l'Academy e per il pubblico americano il film sarebbe stato più digeribile e invitante. O forse no, considerato che soltanto due anni prima c'era già stato un altro film dedicato a Steve Jobs, quello con protagonista Ashton Kutcher. Ma il film scritto da Aaron Sorkin di tradizionale o banale non ha proprio nulla e l'impronta del suo genio è evidente fin dalla scelta di raccontare sì vita, contraddizioni, errori e trionfi di Steve Jobs ma attraverso tre lunghe scene lunghe una quarantina di minuti ciascuna, ognuna dedicata ad un nuovo lancio di un suo prodotto: nel 1984 il Macintosh 128K, nel 1988 il NeXT Computer e nel 1998 l'iMac.
Questa scelta ambiziosa di Sorkin potrebbe sembrare, almeno sulla carta, limitante, ma lo sceneggiatore premio Oscar per The Social Network è talmente bravo a costuire i suoi intrecci e a creare relazioni interpersonali complesse e realistiche (nonostante le invenzioni e le licenze poetiche siano numerose) che arrivati a fine film sembra di sapere tutto quello che realmente è necessario per comprendere non la vita reale di Steve Jobs, ma il suo carattere difficile, il suo spirito e la sua grandezza. La sua unicità. E quindi il mito.
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2. La perfetta unione tra privato e pubblico
Sono quindi soltanto tre i momenti chiave della carriera del co-fondatore della Apple che ci vengono mostrati, ma nonostante questo il suo apporto fondamentale non solo per la sua azienda ma per l'intera nostra società è evidente. Perché in fondo la forza della sceneggiatura di Sorkin, così come già per il precedente The Social Network, è proprio quella di parlare di tutti noi attraverso un singolo. E non (solo) attraverso una figura pubblica, ma attraverso i segreti più reconditi, le paure più ataviche, le difficoltà più impensabili. Nello Steve Jobs tratteggiato in questo film prima ancora che genio e carisma ci sono invidia, gelosia, incapacità di relazionarsi con gli altri e di accettare le proprie responsabilità. Eppure proprio attraverso questi difetti e questi errori emergono i trionfi e le visioni geniali e rivoluzionarie che hanno cambiato le nostre vite molto più della sua vita.
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3. I dialoghi Sorkiniani
Approfondimento psicologico accurato, struttura narrativa innovativa e intrecci tutt'altro che banali. A questo aggiungiamo lunghi piani sequenza e una fotografia che cambia a secondo dell'atto in cui ci troviamo e starete pensando di trovarvi davanti ad un film d'autore pallosissimo e fin troppo complesso.
E invece non è affatto così e chi conosce Sorkin non farà alcuna fatica a capire il perché: se questo Steve Jobs riesce a mantenere per due ore un ritmo altissimo è merito dei dialoghi brillanti del suo script e anche all'ottima scelta del regista di Danny Boyle di adattare per una volta quel suo stile così personale a quello che è l'ottimo materiale di partenza.
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In questo modo abbiamo una lunga e impressionante sequenza di walk and talk (tipici delle opere di Sorkin, soprattutto quelle televisive) in cui i battibecchi tra Steve Jobs e tutti i suoi assistenti, collaboratori e soci (da Joanna Hoffman a Steve Wozniak, da John Sculley a Chrisann Brennan - tutti personaggi realmente esistiti) sono avvincenti quanti quelli di un thriller nonostante in realtà parlino molto spesso di questioni noiosissime per i più. C'è chi dice che i dialoghi di Sorkin rispecchiano perfettamente il suo idealismo, ovvero sono la versione ideale di come dovrebbero andare le discussioni nella vita reale se tutti avessimo quel tipo di eloquenza e velocità di pensiero. Noi in realtà ci accontenteremmo di un mondo ideale in cui almeno tutti i dialoghi dei film fossero perfetti come questi di Steve Jobs. Come questo:
Steve Wozniak: Non sai scrivere un codice. Non sei un tecnico, non sei un progettista, non sai nemmeno come piantare un chiodo. Il circuito stampato è il mio, l'interfaccia grafica è stata rubata alla Xerox Parc, Jeff Raskin guidava la squadra del Mac prima che tu lo buttassi fuori... tutto quanto! Un altro ha fatto la scatola! Allora come mai, dieci volte al giorno, leggo che Steve Jobs è un genio? Che cosa fai tu?
Steve Jobs: Io suono l'orchestra. E tu sei un buon musicista. Sei seduto là, il migliore della tua fila.
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4. Il cast eccellente
Finora abbiamo tanto osannato lo script di Sorkin - che indiscutibilmente è il principale artefice di questo capolavoro - ma è arrivato il momento di parlare dei magnifici e numerosi interpreti che popolano e rendono speciale questo film. Il posto d'onore spetta ovviamente a Michael Fassbender, chiamato ad un ruolo difficile senza nemmeno poter contare su quella somiglianza fisica che, erroneamente, è spesso la base di partenza per casting del genere: Fassbender però ha dalla sua un talento indiscutibile talmente grande, che con il trascorrere dei minuti, quella somiglianza all'inizio così improbabile come per magia diventa sempre più evidente. Segno che l'attore di Shame ad un certo punto diventa davvero Steve Jobs. Una trasformazione forse meno sfacciata di molte altre passate premiate e celebrate, ma non per questo meno impressionante.
L'altra perla è quella di una Kate Winslet finalmente tornata ai fasti in cui ci ha abituato in passato, e non solo per il forte accento polacco che sfoggia con naturalezza per tutta la durata, ma per le sfumature di un personaggio affascinante ma comunque secondario che riesce ad emergere e a rubare la scena in più occasione proprio grazie ad una performance magnetica. In più il Wozniak di Seth Rogen è altrettanto significativo ed iconico e protagonista di almeno due momenti da applausi. Michael Stuhlbarg, Katherine Waterston, Sarah Snook sono tre grandi talenti che potremmo definire quasi sprecati in personaggi con così poco spazio ma in realtà brillano in ogni minuto a loro disposizione grazie al solito grande script e alla direzione puntuale e precisa di Danny Boyle. Come dite, ci siamo dimenticati di qualcuno? Allora seguiteci nell'ultimo punto.
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5. Il doppio confronto centrale
Aaron Sorkin è uno che chiede tanto ai suoi attori, ma finisce sempre con il ricompensarli. Jeff Daniels è stato per lui protagonista memorabile (e infatti premiato con l'Emmy) di The Newsroom e la ricompensa in questo Steve Jobs è un ruolo piccolo ma importantissimo come quello di John Sculley, il CEO della Apple prima amico e poi nemico/rivale del protagonista. La scena centrale del film, il cuore stesso della pellicola, vede Fassbender e Daniels affrontarsi per due volte su due piani temporali paralleli ed è un capolavoro di recitazione, di scrittura e di regia e montaggio. È la sublimazione di tutti i molteplici talenti che servono ad un rendere un film un vero e proprio classico, ed è il perfetto viatico per mostrare di che pasta sono fatti tutti i tanti artisti e "geni" che hanno contribuito a questo Steve Jobs. Che è in gran parte prodotto del genio di Sorkin, vero, ma che grazie al contributo di tanti riesce a diventare pura e semplice perfezione cinematografica.
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