Stefano Calvagna e l'orrore nel MultipleX

Il regista romano ha presentato in conferenza stampa il suo nuovo film, un claustrofobico thriller/horror ambientato interamente in un multisala, dopo l'orario di chiusura.

Un puro film di genere, pensato come una "pausa" dopo tante pellicole a tematica sociale, era forse ciò che ci voleva per il cinema di Stefano Calvagna. Il discusso regista romano è infatti reduce dal metacinematografico Cronaca di un assurdo normale (e dal precedente Rabbia in pugno, in procinto, solo ora, di essere distribuito in sala): opere, queste ultime, legate a doppio filo alla sua controversa vicenda giudiziaria, fortemente dipendenti da essa anche nelle modalità realizzative. In particolare il film del 2012, tratto da un libro-resoconto dello stesso Calvagna, rappresentava il punto di vista del regista su quella complessa vicenda, il manifesto in cui Calvagna aveva voluto raccontare, dalla sua ottica, la terribile odissea personale e giudiziaria che lo aveva travolto.
Ora, MultipleX rappresenta appunto una pausa, un modo per tornare a giocare, in modo più leggero e divertito, col cinema. Calvagna sceglie di farlo attraverso il thriller/horror, filone dalla lunga e gloriosa tradizione nel nostro paese, che tuttavia (come gli appassionati ben sanno) attraversa da ormai molti decenni un periodo di appannamento: nell'interessante tentativo di offrire un prodotto che si ricolleghi a quella tradizione, il regista narra una claustrofobica storia ambientata in una sala cinematografica (ancora lo spettacolo filmico come motore della vicenda) che vede coinvolti un gruppo di giovani minacciati dal folle guardiano del cinema.
Il regista e i sette protagonisti (Francesca Romana Verzaro, Lavinia Guglielman, Jacopo Troiani, Tiziano Mariani, Federico Palmieri, Laura Adriani, Gabriele Mira Rossi) hanno presentato il film in una calda mattinata estiva romana, descrivendo la sua storia produttiva, nonché la peculiare idea di una sala abbandonata come teatro dell'orrore.

Calvagna, può raccontarci qualcosa sulla genesi del progetto?
Stefano Calvagna: L'idea nasce da una proposta dell'UCI Cinema, quando mi chiesero di ambientare un film in una loro sala. Ho pensato che per un'idea del genere ci volesse uno script particolare: abbiamo girato il tutto in un unico ambiente, in due settimane e con un budget molto basso. Iniziavamo a girare alle 7 di mattina, e alle 14 dovevamo tassativamente uscire dal cinema. Gli attori avevano una preparazione enorme, ma avevamo tempistiche molto rapide, e inoltre ci sono stati molti cambiamenti di script in corsa. Le musiche di Claudio Simonetti mi hanno entusiasmato, lui ha fatto un gran lavoro, "rinfrescando" per l'occasione tonalità molto adatte al film.

Il film proiettato nel cinema è Fatal Frames di Al Festa. Come mai questa scelta?
Abbiamo preso i diritti direttamente da Al Festa e dalla sua compagna, ce li hanno praticamente donati. E' un film cult, ed era giusto per il contesto di questo film.

Questo per lei è un film prettamente di genere, dopo tanti film sociali...
Sì, nel realizzarlo ho pensato soprattutto a Demoni di Lamberto Bava, per quanto fosse differente la tematica. Comunque avevo già girato dei film con un unico ambiente: mi vengono in mente per esempio E guardo il mondo da un oblò, oppure il purtroppo profetico Arresti domiciliari.

Cosa possono dirci i membri del cast sui rispettivi personaggi?
Francesca Romana Verzaro: Io sono stata felice dell'opportunità che mi è stata data. La mia paura principale era quella di rivedermi e trovare sullo schermo un personaggio piatto: per questo ho cercato di non colorarlo molto e lavorare sulle sfumature.
Lavinia Guglielman: Ho creduto nel progetto fin da subito. Lavorare con Stefano significa lavorare con uno dei registi più coraggiosi che ci siano: raggiungere un risultato come questo in poco tempo, con un budget ristretto e riuscendo ad assemblare una storia non banale, è un pregio di pochi.
Jacopo Troiani: E' stata un'esperienza molto bella, perché girare un horror in Italia non capita sempre. E' bello sentirsi parte di un vero gruppo lavorativo, e non limitarsi a fare il proprio lavoro, staccare e tornare a casa. È stata un'esperienza che ha fatto crescere ognuno di noi. E' stato bello anche avere uno sguardo diverso su una sala cinematografica, vedere i luoghi che stanno "dietro" di essa.
Tiziano Mariani: Io, con il mio personaggio, ho dato sfogo a quegli istinti che in fondo abbiamo tutti, ma che solo in un contesto artistico si possono sfogare. Inoltre, abbiamo avuto la fortuna di lavorare in un luogo che emanava un'atmosfera molto particolare.
Federico Palmieri: Il bello di questo mestiere è che ti dà la possibilità di sconfinare laddove il pudore e l'etica ti mettono dei confini. Sono ruoli che ti stimolano ad andare oltre. Questo non è il mio primo film, anche se è il primo che si può vedere; qui però sono stato per la prima volta su un vero set, in cui c'erano una precisione e un ordine; anche un divertirsi, ma sempre restando in un contesto di lavoro da affrontare seriamente. Ho passato 12 giorni bellissimi: dove c'è dedizione e amore per quello che si fa, penso che il risultato si veda.
Laura Adriani: Nel mio personaggio ho cercato di proporre qualcosa di diverso: Clelia è diversa da me, è un po' acida e un po' sfigata, ma alla fine si rivela anche una tigre. E' stato bello fare questo film perché non avevo mai girato un thriller.
Gabriele Mira Rossi: Col mio personaggio ho provato a spezzare e sdrammatizzare la componente horror del film, con qualche battutina.

Calvagna, la trama ricorda un film intitolato Angoscia, di Bigas Luna. Lei lo ha mai visto? Stefano Calvagna: Lo conosco ma non l'ho visto. Come dicevo, ho pensato più che altro a Demoni, anche se il genere è diverso. Il thriller deve provocare pathos, altrimenti non funziona: io avevo un po' di titubanza, e infatti ho rivisto la sceneggiatura più volte, provando anche a livello di scrittura a inserire qualcosa di nuovo. In particolare, mi piaceva questa condizione dei personaggi di essere "presi" dall'omicida.

Lei ha dichiarato che il film nasce da un vero fatto di cronaca avvenuto in un cinema statunitense. Può dirci di preciso di cosa si tratta?
Sì, me ne raccontò un'amica newyorkese, dopo il cenno fattomi da un tassista che mi stava portando alla presentazione di Cronaca di un assurdo normale: in un cinema di Boston, la guardia aveva creato dei seri problemi agli spettatori, seguendoli nei bagni e arrivando anche a seviziarli psicologicamente. Ovviamente, in quel caso non ci fu nessun omicidio, ma la cosa mi aveva incuriosito.

Lei ha un altro film in uscita a luglio, Rabbia in pugno. Perché ha deciso di far uscire prima questo? Rabbia in pugno era stato programmato prima: è nato in corrispondenza con la mia condizione giudiziaria, ed è stato girato interamente in una palestra, agli arresti domiciliari. Io sono un indipendente puro, ma in questo periodo mi sono unito a Tonino Abballe, realizzando una sinergia per poter avere visibilità nei multiplex. Proprio ora inizierò ora a girare un altro film, una commedia, che è proprio la storia di Tonino.

Girerà ancora un thriller?
Può darsi: proprio di questo film si parla anche di un seguito, che mi è stato già proposto. Vedremo.