Me lo ricordo bene il giorno in cui è arrivata improvvisamente online la notizia che la Disney aveva comprato la Lucasfilm. Era il 30 ottobre del 2012. All'epoca - non è di certo un mistero - ero il supervisore editoriale del sito che era il principale competitor di quello dove mi trovate stabilmente ora. Ero assalito da una certa ansia: non per la breaking news in sé quanto perché ero in viaggio per Lucca Comics & Games insieme al mio editore dell'epoca, e nessuno di noi due aveva modo di scrivere l'aggiornamento per ovvie ragioni.
Sbrogliata questa faccenda era subito partito il momento delle domande, dei "Cosa accadrà ora?", delle elucubrazioni su quello che sarebbe o non sarebbe potuto accadere a una saga con cui ero letteralmente cresciuto come qualche altra decina di milioni di persone qua e là per il globo.
Una cosa era chiara: la Disney non aveva di certo speso 4.05 miliardi di dollari tanto per fare (di cui 1,855 in azioni finite direttamente nelle mani di George Lucas che, di fatto, è diventato l'azionista singolo di maggioranza della compagnia). Era scontato che la cosa si sarebbe tradotta in nuovi film, una maggiora presenza della saga nei parchi a tema, un'esplosione senza precedenti di merchandise e materiale su licenza, delle serie tv. Ma, prima di tutto, c'erano appunto i film. La speranza di vedere sul grande schermo delle nuove storie ambientate in quella galassia lontana, lontana che, parlando proprio di lontananza, era assente dai cinema dal 2005, anno di uscita di quell'Episodio III il cui ventennale è stato recentemente festeggiato anche a Lucca Comics & Games con una proiezione introdotta proprio dal sottoscritto.
Star Wars 7. O del risveglio della Forza.
L'idea di poter tornare al cinema a vedere dei nuovi film di Guerre Stellari ambientati dopo la Trilogia Classica mi elettrizzava. Quel bambino che, a cinque anni, guardava e riguardava i lungometraggi di Star Wars a ogni replica, si lavava i denti con uno spazzolino di Darth Vader e, nelle estati trascorse al mare a Marcelli, si catapultava nel cockpit dell'arcade di Star Wars in grafica vettoriale ospitato in una sala giochi che è ormai solo un ricordo di un passato alla Stranger Things e nel tempo è stata smantellata e rimpiazzata da un ristorante... quell'adolescente che, nel 1997, si era fiondato in sala a vedere le edizioni speciali della Trilogia e poi avrebbe visto, al glorioso Supercinema Coppi di Ancona i film della Trilogia Prequel durante delle anteprime di mezzanotte che, per l'Italia, erano qualcosa di praticamente mai visto prima, avrebbe continuato a vivere quella magia per chissà quanto tempo ancora.
C'era poi una differenza sostanziale. Se non possedevo la matematica certezza della cosa, quantomeno ero consapevole di avere la concreta possibilità che, per via del lavoro che facevo, sarei finito per incontrare artefici ed interpreti di queste nuove avventure. Ed effettivamente così è stato. Nel novembre del 2015 iniziai a percorrere una strada che, con l'intervista a Daisy Ridley fatta un mese prima del debutto nei cinema del Risveglio della Forza, sarebbe arrivata fino a quelle per la seconda stagione di Andor che potete trovare su Movieplayer.
Nel mezzo: una serie infinita di junket, viaggi alle Star Wars Celebration, trasferte alla scoperta delle location irlandesi, una memoria dell'iPhone piena zeppa di ricordi in cui compaiono idoli della mia infanzia che mai e poi mai avrei pensato d'interagire o vedere così da vicino. Da George Lucas a Mark Hamill e John Williams, passando per chi, purtroppo, non è più fra noi come Carrie Fisher o Peter Mayhew.
Citando il titolo del libro autobiografico del CEO della Disney Bob Iger: the ride of a lifetime. Sono stati davvero dieci anni indimenticabili, di cui sarò sempre grato al destino anche se non dovessi più avere a che fare con gli eventi stampa di Star Wars nei giorni a venire. Una corsa partita, appunto, con un film che aveva tutto quello che serviva per farci vivere un sogno. Che poi è quasi diventato un incubo.
Una promessa è una promessa
A mio modo di vedere, Star Wars: Il risveglio della forza aveva un unico difetto, poi ereditato, per cause di forza maggiore, anche dagli altri due capitoli: l'assenza di una singola scena, anche di una manciata di decine di secondi, in cui Carrie Fisher, Mark Hamill e Harrison Ford comparivano insieme nella stessa inquadratura. Non ci voleva un QI chissà quanto elevato per capire che si trattava di una concessione necessaria per un fandom che, oltretutto, stava passando la torcia a delle nuove leve così come stava avvenendo anche davanti alla macchina da presa dei lungometraggi. Cioè, è riuscito a farlo Jason Reitman nel bellissimo e struggente epilogo di Ghostbusters: Legacy ma la Lucasfilm no. Un'assurdità che, ancora oggi, mi fa letteralmente imbestialire (e so di non essere da solo).
A parte questo, pur con la sua struttura narrativa che riprendeva e condensava in un unico film quella della Trilogia Classica nonostante un'eroina, Rey, che pareva non avere alcun legame diretto con gente coinvolta direttamente in leggendarie guerre, c'erano tutti gli elementi necessari a impostare un futuro roseo. Le domande su chi fosse davvero Rey. La storia familiare di Kylo Ren/Ben Solo. Il Primo Ordine. Perché Luke Skywalker aveva deciso di darsi all'eremitaggio. Finn e la sua defezione dal Primo Ordine. Una riproposizione aggiornata e riveduta del ben noto viaggio dell'eroe. Il tutto condito da J.J.Abrams, il regista che desideravo vedere dietro alla macchina da presa di questo progetto fin da quel 30 ottobre 2012, e la sua abilità nell'essere sé stesso e nel saper vendere il suo Guerre Stellari come un fulgido esempio di quella narrazione, dentro e fuori dallo schermo, da mistery box resa immortale da Lost.
Ma ve le ricordate tutte le speculazioni, i leak farlocchi, i rumour, l'ansia da spoiler che ci hanno tartassato per mesi e mesi prima dell'uscita nei cinema di Star Wars 7? Io sì, anche perché erano anni in cui riuscivo ancora a divertirmi per cose come queste prima che sopraggiungesse un'inevitabile stanchezza e la sostanziale morte del cinema così come lo conoscevamo. Ma questa è un'altra storia. Star Wars: Il Risveglio della Forza era una promessa che, se mantenuta, avrebbe portato a grandi cose. Purtroppo non è stato così.
Un castello di sabbia
Non starò qua a ripetere opinioni che ho già avuto modo di esprimere su quanto di sbagliato è stato fatto sul grande schermo (e non solo) in merito a Star Wars da una Lucasfilm e una Disney che hanno peccato sia di paura che di arroganza. Arroganza perché hanno pensato che Star Wars potesse uscire indenne nel passaggio da evento cinematografico a saga a cadenza annuale, prima, e quasi semestrale poi, con la nascita delle nuove serie TV per Disney+.
Paura perché tutto quello che d'interessante era stato impostato da J.J.Abrams con il settimo film e sviluppato audacemente da Rian Johnson con Star Wars: Gli ultimi Jedi è stato buttato alle ortiche con un nono capitolo che si è rivelato essere una retcon dell'ottavo perché si è dato troppo ascolto a una manica di rumorosi frustrati InCel che avevano riversato in rete tutta la frustrazione delle loro miserabili esistenze contro un regista e sceneggiatore abilissimo come Johnson e buona parte del cast dei film. Pensate solo alla premessa circa la backstory di Rey. Una "nullità" che, però, pareva essete potentissima nell'uso della Forza. Una Forza che, come suggerito anche da quella scopa attirata a sé da un anonimo bambino al termine de Gli Ultimi Jedi, pareva essere qualcosa di più democratico e meno "aristocratico", non solo un appannaggio esclusivo di chi, di cognome, faceva Skywalker o di chi era iscritto a quella scuola per Jedi teatro di una ben nota strage in quel di Coruscant.
Tutto riscritto goffamente in un film pessimo come Star Wars: L'Ascesa di Skywalker e la sua sceneggiatura piena di perle come "somehow Palpatine returned". Almeno si è rivelato essere una miniera d'oro per i meme, quello sì. Perché della Trilogia Prequel si potrà anche dire peste e corna, ma erano comunque pellicole con una visione chiara, quella di George Lucas, che si è sviluppata con tre lungometraggi che, a conti fatti, erano degli indie movie ultracostosi. In cui il suo creatore poteva fare quello che voleva. La Trilogia Sequel si è invece rivelata essere un'operazione senza capo né coda in cui più che approfondire degli interessanti spunti narrativi si è preferito accontentare la frangia più tossica del fandom e il board degli azionisti Disney.