Recensione The Prestige (2006)

Nella tagline è racchiuso tutto il senso di un film che riesce ad assommare alla perfezione la natura del cinema come mezzo d'intrattenimento da un lato e come veicolo di riflessioni dall'altra.

'Stai guardando attentamente?'

"Stai guardando attentamente?": nella tagline di The Prestige è racchiuso tutto il senso di un film che riesce ad assommare alla perfezione la natura del cinema come mezzo d'intrattenimento da un lato e come veicolo di riflessioni dall'altra. Perché va guardato attentamente, The Prestige, ne vanno colte le notevoli caratteristiche tecnico-realizzative, la regia efficace ed avvincente in grado di armonizzare i diversi piani spazio-temporali che articolano la narrazione, la caratterizzazione psicologica - mai banale - dei personaggi, una sceneggiatura rigorosa e senza sbavature, le ottime interpretazioni di un cast nel quale spiccano Christian Bale - attore sempre più intenso ed interessante, come certamente ci confermerà anche l'atteso Rescue Dawn di Werner Herzog - e Michael Caine, che sembra diventare sempre più bravo ed elegante ad ogni film che interpreta.

Ma guardare attentamente The Prestige significa anche e soprattutto guardare oltre tutto questo, per ritrovarsi sul ciglio di nuovi abissi di significazione e di riflessione aperti da Christopher Nolan su temi centrali per il cinema quali per l'appunto la visione ed il suo potenziale di realtà ed ingannevolezza, la dualità vista come polarità e come doppio, sulla rappresentazione, sullo spettacolo e le loro ambiguità e potenzialità affabulatorie e di fascinazione. Ed era dai tempi dello straordinario Femme Fatale di Brian De Palma che non assistevamo ad una tale concentrazione di riflessioni intorno a temi come questi.

A guardare attentamente quindi, pur non trattando esplicitamente del cinema, The Prestige assume degli inconfutabili aspetti metafilmici e metanarrativi, risulta essere un'attenta riflessione sulla macchina cinema (si veda l'introduzione mitico-mistica dell'aspetto tecnico e scientifico), sul prodotto film e sulle loro dinamiche di relazione con lo spettatore.

La lotta spietata, perfida, cinica e letteralmente mortale che si fanno Angier e Borden cattura e appassiona, ma di conseguenza simboleggia soprattutto due opposti approcci allo spettacolo, alla rappresentazione, alla fascinazione ed alla conquista del pubblico. Quel che li accomuna è l'essere due personaggi che - non a caso - non sono mai quel che sono ma quel che vogliono rappresentare, attori e registi al tempo stesso, la cui stessa vita diviene una costante mise en scène dove è la morte, inevitabilmente, a rappresentare il gran finale. O forse non un finale, perché the show must go on: la rappresentazione e lo spettacolo rimangono immortali, checché accada ai loro creatori.