15 novembre 1996: nelle sale americane esce Space Jam (in Italia arriva il 21 febbraio 1997). È una produzione Warner Bros. - della quale è appena uscito un sequel, Space Jam - New Legends - che mescola animazione e live-action, traendo spunto da una pubblicità dove Michael Jordan, all'epoca la più grande star del basket, interagisce con Bugs Bunny, volto del franchise dei Looney Tunes. Il film, costato 80 milioni dollari, incassa 250 milioni al cinema in tutto il mondo, convincendo il pubblico giovane mentre gli adulti sono più scettici (e, come vedremo altrove in questo articolo, non mancano le critiche da parte di chi ha messo mano a Bugs e compagnia bella in passato). Si comincia a parlare di un sequel, o anche uno spin-off (una delle idee era una parodia dei film di spionaggio, da intitolare Spy Jam, con Jackie Chan al fianco dei Looney Tunes), ma per anni non se ne fa nulla. E poi arriva il 16 luglio 2021 (23 settembre da noi), con l'uscita di Space Jam - New Legends, seguito che racconta una storia a sé e cerca di aggiornare il concetto ai giorni nostri. Due film diversi ma in fondo figli della stessa filosofia, come cercheremo di spiegare nel nostro confronto tra originale e sequel.
Da un campione all'altro
Il primo Space Jam era un monumento alla figura mastodontica di Michael Jordan, ai tempi icona indiscutibile dello sport e non solo, il volto del basket statunitense grazie a tre stagioni consecutive vinte con i Chicago Bulls. Il film ribadiva questo aspetto mettendo alla berlina il breve periodo in cui Jordan decise di appendere il pallone al chiodo e darsi al baseball, immettendo anche un po' di sano divertimento animato tramite la presenza dei Looney Tunes, Bugs Bunny in primis (al punto che sulle locandine e anche nei titoli di testa del lungometraggio il coniglio ideato da Tex Avery era menzionato come vero co-protagonista al fianco di Jordan, come se fosse un attore in carne e ossa). Space Jam - New Legends fa qualcosa di diverso, chiamando in causa LeBron James ma dandogli un arco narrativo più moderno, rinunciando all'agiografia pura: James, campione invincibile in ambito sportivo, è qui rappresentato come un uomo fissato con il successo, a discapito dei veri rapporti umani con la famiglia, in particolare il figlio il cui rapimento è alla base del conflitto drammatico del film. È un eroe non privo di difetti, la cui evoluzione nel corso della storia coincide con la domanda che è il nucleo tematico del secondo capitolo: ci sappiamo ancora divertire?
Space Jam New Legends, la recensione: ci sappiamo ancora divertire?
Nostalgia canaglia
Se il primo film aveva radici non propriamente nobili, essendo la versione lunga di una pubblicità di successo, il secondo prende l'elemento del marketing e lo decuplica, trasformando quello che sulla carta era un semplice lungometraggio dei Looney Tunes in un calderone contenente varie proprietà intellettuali del gruppo WarnerMedia, da Mad Max: Fury Road a Austin Powers: il controspione passando per Il trono di spade e l'universo della DC Comics. Un concetto che di per sé ha una logica, dato che i Looney Tunes inizialmente nascono come contenitore pubblicitario per varie canzoni di cui la Warner deteneva i diritti e nei corti classici non mancavano rimandi al catalogo live-action (due comprimari ricorrenti erano gli avatar animati di Humphrey Bogart e Peter Lorre, e in più di un'occasione fu preso in giro il Robin Hood interpretato da Errol Flynn), ma che al di là di alcune sequenze umoristicamente azzeccate diventa un confuso e cinico misto di ammiccamenti gratuiti che, come nella trama del film stesso, sembra essere stato concepito a casaccio da un algoritmo. Un sistema che vuole unire tutto ciò che potenzialmente può piacere al pubblico di oggi, inclusa l'animazione digitale che arriva a trasformare anche i Tunes. E a tal proposito...
Chi ha incastrato Michael Jordan? - I 20 anni di Space Jam
Un mondo Loonatico
La critica principale mossa al primo episodio riguardava le personalità dei Looney Tunes, stravolte al servizio della trama del film. Chuck Jones, celeberrimo regista dei corti classici (a lui dobbiamo, tra gli altri, Bip Bip e Wile E. Coyote), si pronunciò al riguardo senza mezzi termini: "Bugs Bunny avrebbe sconfitto gli alieni da solo, e ci avrebbe messo non più di sette minuti." Motivo per cui, nel 2003, Joe Dante realizzò Looney Tunes: Back in Action, anarchico omaggio al lato più folle del franchise, il cui insuccesso commerciale decretò però una lunga pausa per i personaggi sul grande schermo (salvo alcuni cortometraggi allegati a film della Warner tra il 2010 e il 2011), fino al ritorno in pompa magna al fianco di LeBron James. E se l'uso di Bugs e compagnia bella continua a essere imperfetto in questa sede, a causa di squilibri narrativi che iniziano nel momento in cui si dà il via alla partita di basket, è comunque indubbio che gli sceneggiatori abbiano imparato la lezione e prestato più attenzione a come queste icone dell'animazione si comportino singolarmente e tra di loro. Lezione evidente anche - almeno nella versione in lingua originale - nei credits iniziali, dove insieme ai nomi di James e Don Cheadle (l'algoritmo cattivo) vengono menzionati anche quelli di Jeff Bergman (voce di Bugs, Silvestro e Yosemite Sam) ed Eric Bauza (Daffy Duck, Marvin il Marziano, Foghorn Leghorn, Elmer Fudd e Porky Pig). Una menzione doverosa per chi ha contribuito in modo importante alle parti più riuscite del film, dopo che nel 1996 il cast vocale non solo fu relegato ai titoli di coda, ma addirittura separato dagli attori in carne e ossa all'anteprima ufficiale del capostipite.