Il 7 gennaio è stato annunciato che, contrariamente a quanto riferito la scorsa estate, Red, il primo film Pixar previsto per il 2022, debutterà direttamente su Disney+ l'11 marzo, giorno in cui sarebbe uscito nelle sale statunitensi (in Italia era previsto che uscisse un giorno prima, il 10). Una svolta che ha scatenato reazioni non proprio positive da parte degli appassionati di animazione, per due motivi: è un trattamento che alcuni percepiscono come irrispettoso nei confronti del primo lungometraggio dello studio diretto interamente da una donna (e con tematiche legate alla cultura asiatica, in particolare cinese, da cui proviene la regista Domee Shi); ed è la terza volta consecutiva, dall'inizio della pandemia, che un film Pixar finisce direttamente in streaming, senza il passaggio in sala (salvo paesi in cui la piattaforma non esiste, tra cui la Cina) o la modalità ibrida che molte major hanno messo in pratica negli ultimi mesi. E da qui nasce spontanea una domanda: la Disney, ultimamente, ha forse un problema con quella che è sempre stata una delle sue divisioni più prestigiose?
Un'acquisizione storica
Prima di arrivare al caso specifico, facciamo un passo indietro e ripercorriamo la storia del rapporto tra Disney e Pixar, inizialmente limitato per lo più alla distribuzione per quanto concerneva la Casa del Topo. Un rapporto fruttuoso sul piano artistico, e soprattutto quello commerciale: basti pensare che nel 1995 Toy Story fu il secondo film più visto al cinema nel mondo intero, superando di tre posizioni Pocahontas della Disney Animation. Un primo attrito ci fu con la realizzazione di Toy Story 2, inizialmente pensato come lungometraggio destinato direttamente al mercato dell'home video, ma promosso a uscita cinematografica a lavorazione già avviata. Poiché uscì nelle sale, la Pixar pretese che fosse conteggiato come uno dei tre film previsti nell'accordo iniziale con la Disney, mentre la major era contraria (anche se poi accettò). E poi, il contenzioso vero e proprio: durante le nuove trattative, la Pixar chiese di avere il controllo completo dei propri film, inclusi i diritti dei personaggi, dato che per i titoli precedenti la Disney aveva il diritto di realizzare sequel senza dover chiedere l'autorizzazione a John Lasseter e soci.
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Per ripicca, Michael Eisner istituì la Circle Seven Animation con lo scopo preciso di realizzare seguiti dei film già usciti, mentre Steve Jobs, co-fondatore e amministratore delegato della Pixar, cercò attivamente nuovi partner per la distribuzione. Poi, nel giro di un anno, Eisner fu estromesso dalla Disney a causa di continui disaccordi con il consiglio d'amministrazione, e una delle prime decisioni prese dal suo successore Bob Iger fu di acquisire a pieno titolo la Pixar. Il motivo? Iger, recatosi a Hong Kong nel 2005 per l'inaugurazione del nuovo parco a tema dell'azienda, si era reso conto che nella tradizionale parata tutti i personaggi animati degli ultimi dieci anni (dopo Il re leone, per intenderci) erano della Pixar e non della Disney Animation, che era in crisi da tempo. E così, nel 2006, fu approvata l'acquisizione, per 7,4 miliardi di dollari (contro i 4 spesi per la Marvel e i 4,06 per la Lucasfilm).
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Due per uno
Per rendere l'idea di quanto fosse importante il contributo della Pixar, non solo sul piano economico (tra il 1995 e il 2019 solo uno dei loro film, Il viaggio di Arlo, è stato un insuccesso al botteghino), fu epocale la scelta di nominare Lasseter responsabile creativo di tutta l'animazione disneyana. Una scelta che diede i suoi frutti in tempi relativamente brevi: fu apprezzata dai fan la decisione di abolire la realizzazione di sequel direct-to-video (il più delle volte a dir poco mediocri) dei classici Disney, e il primo film del filone principale realizzato con l'approvazione completa di Lasseter, ossia La principessa e il ranocchio, fu il primo lungometraggio della Disney Animation a esordire al primo posto al box office negli Stati Uniti dai tempi di Tarzan, uscito dieci anni prima.
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Certo, non mancavano le battute su come, col passare del tempo, i due studios fossero sempre più difficili da distinguere, al punto che nel 2012 si ironizzò su come si fossero apparentemente "scambiati" i progetti, avendo la Pixar fatto un film su una principessa (Ribelle - The Brave) e la Disney Animation una sorta di Toy Story nel mondo dei videogiochi (Ralph Spaccatutto). Impressione alimentata anche dal fatto che, complici gli incassi sottotono dell'animazione tradizionale, l'estetica CGI fa ormai parte della cifra stilistica di entrambe le unità produttive, e che negli anni in cui la Pixar non aveva un film in lizza per gli Oscar, la statuetta apposita sia spesso andata ai colleghi dell'altra squadra coordinata da Lasseter. Forse anche per questo, dopo il suo allontanamento dalla major, si è deciso di tornare alle vecchie abitudini, con due responsabili distinti: Pete Docter si occupa della Pixar, e Jennifer Lee della Disney Animation.
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Pandemia canaglia
Nel marzo del 2020 scatta il primo lockdown su larga scala in Occidente, costringendo la Disney ad accorciare la tenitura in sala di Onward - Oltre la magia, che già dopo alcune settimane si trova su Disney+ negli Stati Uniti. E nel mese di ottobre l'annuncio che crea scalpore: Soul, spostato da giugno a fine anno, salterà completamente la sala (al netto di proiezioni festivaliere) e andrà direttamente sulla piattaforma, disponibile per tutti, senza sovrapprezzo, come divertimento natalizio. Una scelta dettata principalmente dalla mentalità degli esercenti americani, che in quel momento rifiutano ancora qualunque formula ibrida, e che si rivela previdente, dato che praticamente tutte le sale europee rimangono chiuse tra la fine del 2020 e l'inizio del 2021. Successivamente, un'altra novità: Luca, previsto per giugno 2021, uscirà sì nel periodo prestabilito, ma anch'esso come Disney+ Original, senza passaggio al cinema. E già qui le discussioni si fanno più animate, dato che per la Disney Animation e la Marvel, tanto per citare altri due brand con titoli in uscita in quei mesi, è stata approvata la soluzione ibrida, con modalità Premier Access (pagamento a parte) per la visione su piattaforma. La cosa non incide su eventuali premi, dato che l'Academy in tempi di pandemia ammette anche titoli usciti solo su piattaforma, a patto che fosse concretamente previsto il passaggio in sala.
Due pesi, due misure
C'è chi difende la scelta, ora estesa anche a Red, dicendo che in tempi come questi i film per famiglie sono più redditizi in streaming, adducendo come esempio la maggiore popolarità di Encanto, ultimo titolo della Disney Animation, dopo il debutto su Disney+, mentre in sala si faceva notare poco. Solo che quel film, appunto, l'uscita al cinema l'ha avuta, così come l'hanno avuta Raya e l'ultimo drago, i tre film Marvel del 2021 (Spider-Man: No Way Home, attualmente nelle sale, è Sony) e tutto ciò che fosse targato Disney ma non Pixar. La major si è anche impegnata per alterare l'accordo che esisteva tra le unità cinematografiche Fox (oggi 20th Century Studios e Searchlight Pictures) e la HBO, facendo sì che negli Stati Uniti determinati titoli siano disponibili anche su Disney+ o Hulu e non solo su HBO Max (vedi Ron - Un amico fuori programma). L'impressione è che per il nuovo regime Disney, con Iger in pensione e Bob Chapek come nuovo responsabile, lo studio un tempo gestito da Lasseter sia solo un generatore di contenuti (e un acchiappapremi), e non (più) la principale fonte di prestigio per l'animazione disneyana da circa due decenni.
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Adesso non ci resta che aspettare, perché tra qualche mese arriverà la conferma o smentita dei nostri dubbi: Lightyear - La vera storia di Buzz, il film che racconta le gesta fittizie dello space ranger che ha ispirato la linea di giocattoli nel principale franchise Pixar. Ecco, appunto, franchise: salvo chiusure massicce a livello globale (e anche in quel caso è più probabile un rinvio), è difficile che la Disney decida di sacrificare sull'altare dello streaming un titolo dall'alto potenziale commerciale in sala (Toy Story 3 - La grande fuga e Toy Story 4 hanno entrambi incassato più di un miliardo di dollari al cinema). Perché parte di qualcosa di già conosciuto e facilmente monetizzabile, mentre gli altri tre film, mandati direttamente sulla piattaforma, sono storie originali, impossibili da quantificare in termini di lealtà del pubblico al di fuori del prestigio della sezione Pixar sulla home page di Disney+. Non più arte, ma solo content.