Cosa può architettare un gruppo formato da due latinisti, un neurobiologo, un macroeconomista, un antropologo e un archeologo con a capo un ricercatore universitario? Nonostante i talenti coinvolti, sicuramente nulla di accademico. Indubbiamente i soggetti in questione hanno curricula di prim'ordine ma il mondo del lavoro e la conseguente crisi non sembra tenerne gran conto. Così, per cercare di vivere e non di sopravvivere, questa improvvisata banda di geni metropolitani ha ideato un piano quasi infallibile per produrre la miglior droga legale e metterla sul mercato con un profitto a fin troppi zeri. Il passato da benzinai, lavapiatti, giocatore di poker e sfasciacarrozze sembra essere ormai lontano, ma delle menti così "geniali" possono adattarsi al mondo del crimine senza troppi danni collaterali? Con la sua commedia d'esordio Smetto quando voglio, distribuita da 01 Distribution dal 6 febbraio con 250 copie e prodotta da Fandango in collaborazione con Rai Cinema e Matteo Rovere, Sydney Sibilia prova a ridere del precariato e delle sue regole impietose in compagnia dei suoi nerd d'eccezione Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti e Sergio Solli. Perché alla fine di tutto, dopo essere cresciuti con il mito di una laurea con 110 e lode, forse è meglio essere "ricercati che ricercatori".
Quando la realtà supera la finzione
Per la riuscita di un piano semi legale, come per quella di un film, fondamentale è la scelta del team. In questo caso il casting fatto nella finzione dal "boss" Edoardo Leo e nella realtà dal regista si è rivelato il migliore possibile, mettendo in campo un gruppo variegato nella personalità come nel talento. E il risultato più importante è stato quello di trasformare la precarietà in un dramma tutto da ridere. " Lo scopo era farli diventare veramente una banda - spiega Sibilia - anche perché avrebbero condiviso continuamente la scena. Inoltre ci servivano degli attori pronti a prendersi poco sul serio. Così ci siamo guardati intorno e sono emersi i più brillanti. Abbiamo fatto dei provini, ma decisive sono state delle card su cui avevamo fatto stampare i loro volti e i nomi dei personaggi da interpretare. Le mischiavamo in continuazione per capire quale ruolo si abbinasse meglio ad ogni interprete. Solamente Edoardo c'era fin dall'inizio. Anzi, per aspettarlo ho anche sposato le date di inizio riprese". Being a genius
In alcuni casi la comicità nasce dalle situazioni, in altri da dialoghi particolarmente ritmati e acuti. Ci sono, poi, dei momenti ancora più rari in cui questi due elementi si uniscono e creano una sceneggiatura ben rimata con delle personalità compiute e perfettamente in parte. In questo caso gran parte del merito va tutta agli scrittori, come Andrea Garello e Valerio Attanasio, ma quanto è difficile per un attore rendere credibile e ironico un testo in cui si fa riferimento a complicate regole chimiche prendendo in considerazione anche il sanscrito? " Certi momenti sono stati assurdi - ricorda divertito Leo - la scena del benzinaio, ad esempio, in cui Valerio Aprea e Lorenzo Lavia dovevano parlare in latino senza capire una sola parola, l'abbiamo girata alle tre di notte con le battute scritte su un cartello attaccato alla mia maglietta. Per quanto mi riguarda, poi, io recitavo a memoria formule assurde. Pensando di aiutarmi hanno anche realizzato un volantino con alcuni schemi. Non è servito a molto, per me continuano ad essere disegnini astratti". E mentre i due latinisti hanno fatto visita ad un misterioso luogo dove si parla esclusivamente la lingua degli antichi per meglio apprendere almeno il suono, l'economista Libero De Rienzo si è arreso alla sua "ignoranza" senza combattere troppo: " Io ho recitato dei numeri a caso e poi mi sono doppiato. A parte gli scherzi, non capivo nulla di quello che dicevo. Qui di tutto normale, come nella vita." E se attore facesse rima con disoccupato?
Questo è il grande incubo di molti giovani artisti italiani che, non avendo una busta paga e la certezza di una realtà produttiva fertile e variegata, convivono con l'incubo di una precarietà costante e l'esigenza di essere pronti a tutto. " Pur di lavorare ho finto di avere capacità totalmente sconosciute, come ad esempio andare a cavallo - confessa Valeria Solarino che nel film rappresenta la femminilità concreta e razionale - in alcuni casi ho negato di avere una preparazione accademica e credo di aver dichiarato tutte le età possibili." Segue a ruota Edoardo Leo con la classica falsificazione del curriculum e il vanto di aver seguito un corso di dizione con una famosa attrice teatrale. " Se sentisse come parlo capirebbe immediatamente che non ci siamo mai incontrati". Meglio è riuscito a fare solamente Stefano Fresi che pur di partecipare ad un cortometraggio ha accettato di vestire abiti femminili con tanto di barba. " Si trattava del corto La città del cielo. Quando ho fatto il provino avevo la barba e pensavo che me l'avrebbero tagliata. Invece l'idea è piaciuta talmente tanto che me l'hanno fatta tenere." E per finire non poteva mancare De Rienzo che, con il suo sarcasmo scanzonato ammette: _" la cosa più assurda di solito sono sempre io. In qualsiasi situazione. Pensate che in passato ho scambiato Arnoldo Foà per Dario Fo e ultimamente Barbara De Rossi con Barbara D'Urso." _