Scrivere una storia è questione di geometria delle parole, architettura della punteggiatura, studio dei tempi e dei modi del racconto. È vera arte, soprattutto se la storia vuole ripercorrere con tratti lirici ed epici dei fatti realmente accaduti, nobilitandone valore e importanza attraverso la bellezza della prosa o dell'immagine.
È il caso di Shogun (leggi la recensione), che prima su carta e poi in streaming su Disney+ ha saputo ripercorrere con fascino e dedizione l'ascesa dello shogunato Tokugawa nel Giappone del 1600, esplorando nel farlo cultura e costumi di un paese al tempo chiuso e misterioso dove vita e morte camminavano in parallelo. Un romanzo avvincente, commovente e straordinario trasposto in una delle serie più riuscite e apprezzate del momento, conclusasi nel momento esatto in cui si chiude anche il libro ma con qualcosa in più da dire. Merito del mezzo, che permette di elaborare in termini visivi ed estetici le complesse guglie evocative della scrittura di Clavell, ma anche dell'adattamento in sé, capace di raffinare il già centrale discorso sull'onore, il fato e il sacrificio in qualcosa di terribilmente più bello e struggente. Ne parliamo nell'articolo di oggi. [ATTENZIONE, SPOILER A SEGUIRE]
Al termine della poesia
L'epica ha tante facce, non una sola. In modo piuttosto indiretto siamo portati a credere che l'epica riguardi soprattutto atti eroici, grandi battaglie campali, afflati di guerre passate, storie di miti e leggende. Ma l'epica stessa è parola e quindi narrazione, può riguardare eroi ma anche interi popoli, strategie militari o amori impossibili, campi di battaglia o lotte intestine, psicologiche, personali. È vita e morte, il passato che insegna al presente, e in questo senso Shogun è un magnifico esempio di epica nella sua totalità, dove anzi l'azione intesa in senso cinematografico è messa in secondo piano dalla poetica del racconto, dalle atmosfere suggestive, dal dramma (romantico, guerriero, politico, familiare) dei protagonisti. Su tutti, è Mariko Toda (Anna Sawai) a ricoprire un ruolo cruciale all'interno della storia, "una donna che vale più di un intero esercito" così come descritta da Clavell prima e dalla serie poi. Figlia preziosa, vassalla devota, amante impossibile, moglie maltrattata: Mariko è tante cose diverse in un solo ed eccezionale personaggio, sfaccettato e profondo come "il recinto in otto parti" dietro cui lei - soprattutto in quanto donna - nasconde il suo vero Io per ricoprire i tanti ruoli richiesti.
Ed è sempre lei il centro di tutto, "il Cielo Cremisi" che permette a Yoshii Toranaga (Hiroyuki Sanada) di conquistare il suo tanto agognato shogunato prima ancora di scendere in campo nella decisiva Battaglia di Sekigahara, che né il romanzo né tanto meno la serie mostrano perché fuori dallo schema del racconto drammatico imbastito dell'opera, che dopo la morte di Mariko ha solo conclusioni e rivelazioni da offrire. È Mariko ad entrare nel Castello di Osaka dalla porta principale, ad essere pronta al Seppuku per liberare gli ostaggi di Ishido, a rispettare il volere di Toranaga e compiere quello che è sempre stato il suo destino. "Vita e morte si equivalgono", dice, "entrambe hanno un valore e uno scopo". E quello di Mariko, dal suo punto di vista, tra onore e poesia, è quello di un fiore: sbocciare per diventare forte e bellissimo e infine cadere.
La morte è parte della vita e "un petalo è tale solo in virtù del fatto che cade dal suo stelo". La ragazza accetta il suo fato anche con le spalle al muro, forse perché rincorso per troppo tempo e ormai impossibile da evitare, quando ormai persino i suoi incantevoli versi non riescono a evocare nient'altro "che un ramo spoglio". La forza di un petalo nel restare attaccato al proprio stelo è controbilanciata da una naturale fragilità di fondo che lo rende inerme, persino abbandonato a se stesso. Eppure, anche se un ramo resta spoglio, i suoi fiori possono comunque esistere e viaggiare altrove: "per fortuna esiste il vento", suggerisce Ochiba, pure se inconsapevole dei piani di Toranaga.
Shogun, la storia vera dietro al romanzo di James Clavell e alla serie Disney+
Studiare il vento
Se Mariko è il fiore, Yoshii Toranaga è il vento. O meglio, colui che lo comanda. Non è mai esistito un piano per attaccare frontalmente il Castello di Osaka e conquistarlo, perché quel piano è sempre stata Mariko, il suo tormento, il suo desiderio di morte. Il daimyo di Edo è più stratega che manipolatore, e mai avrebbe approfittato dell'anima della sua preziosa vassalla se lei stessa non avesse prima compreso il suo ruolo nell'intera vicenda, se non avesse desiderato così a lungo e ardentemente di scomparire e dimenticare tutto il suo dolore. È infatti attraverso il sacrificio di Toda Hiromatsu che Mariko comprende la strategia di Toranaga, che pure contemplava la sua salvezza al netto di una totale dedizione alla parte, contrattando con i Cristiani e arrivando poi a liberare gli ostaggi di Osaka fino a spingersi al limite estremo del seppuku, che se portato a termine l'avrebbe almeno liberata dal suo martirio interiore. La donna è come un falco, per Toranaga, animale che il signore sfrutta e da cui è affascinato, che ammira e rispetta.
Non è un caso che proprio alla fine liberi in aria senza più costrizioni uno dei suoi tanto amati volatili, come a restituire a Mariko quella libertà - dai vincoli del matrimonio e dal suo ruolo - mai ottenuta per dovere, onore e rispetto in vita. La scomparsa della ragazza distrugge innanzitutto John Blackthorne (Cosmo Jarvis), comunque salvato dal piano della donna e del daimyo, ma anche Toranaga, che dimostra de facto di non essere lui quel vento in grado di trascinare a piacimento la storia e la vita, ma solo di essere un ottimo osservatore e studente dello stesso e delle correnti che lo generano. Il sacrificio di Mariko assicura a Toranaga la conquista dello shogunato prima ancora della Battaglia di Sekigahara (comunque combattutasi e sanguinosa) e l'inizio di una nuova epoca di pace in un paese finalmente unificato.
La serie non mostra l'azione di guerra nemmeno negli ultimi episodi, tenendo fede alla volontà di non esteriorizzare la battaglia esterna e invece nobilitare e massimizzare quella interna dei personaggi, dove si cela la vera epica, la parola, il racconto e la narrazione. E il peso di ogni scelta del daimyo, del percorso di Mariko, del destino di Blackthorne e del futuro del Giappone risiede in uno dei componimenti lirici della ragazza, caduco e incendiario, triste e sublime allo stesso tempo: "Se potessi usare le parole come boccioli al vento e foglie che cadono, esse scatenerebbero un incendio".