Ventinove film fin'ora rilasciati (ma siamo quasi a trenta, con l'uscita di Black Panther: Wakanda Forever fissata per novembre), nove serie originali (se non consideriamo i filoni Marvel Heroes e la Defenders Saga) e un'inarrestabile rielaborazione narrativa capace di frammentarsi nelle interconnesse relazioni di una storia in perpetua espansione. Il Marvel Cinematic Universe ha riscritto l'immaginario cinematografico contemporaneo, plasmando sogni e aspettative di un pubblico enorme. E se da ogni potere derivano grandi responsabilità, quella più importante arriva proprio dal punto di vista narrativo, in quanto il franchise si ritrova a gestire tempi e sfumature decisamente importanti. Oggi, il filo conduttore, dopo l'esclusività e lo stupore delle precedenti Fasi (almeno fino ad Avengers: Endgame), sembra essere la normalità, e la normalità allora va aggiornata al modo in cui la rappresentazione femminile si è evoluta nell'universo cinematografico Marvel negli ultimi dieci anni. Agli albori, i personaggi femminili dei comics non ricoprivano ruoli importanti, ma poi sono diventati sempre più presenti e soprattutto influenti. I Marvel Studios di Kevin Faige, viaggiando in parallelo ad un umore artistico propenso finalmente all'inclusione, hanno attraversato di conseguenza varie fasi e varie eroine, evolvendone le caratteristiche e le emozioni.
In questo senso, She-Hulk: Attorney at Law, sviluppata da Jessica Gao (già sceneggiatrice di Black Widow) per Disney+, dimostra in modo preciso la teoria della normalità di questo nuovo MCU, ritraendo e mettendo al centro dell'universo una donna alle prese con il proprio lavoro, con la propria famiglia, con il proprio corpo, con i propri sentimenti e con le proprie relazioni. Solo all'ultimo la Jennifer Walters della brava Tatiana Maslany è (anche) una supereroina, che diventa verde e forzuta come suo cugino Bruce Banner. Dunque, l'aspetto speciale viene affiancato (e scavalcato) da una raffigurazione in cui è ancora più facile riconoscersi: l'uomo - anzi, la donna - dietro la famigerata maschera diventa il vero fulcro da emulare, la riconoscibilità diretta, un ulteriore passo verso un'inclusività equilibrata e contemporanea. Per questo, se torniamo indietro con la memoria, Jennifer Walters / She Hulk è marcatamente diversa da Natasha Romanoff, che a sua volta è diversa da Valchiria, che è diversa da Carol Danvers che è diversa da Peggy Carter o Wanda Maximoff.
Nat e Carol, l'epica femminile
Un viaggio che ha visto alternarsi diverse inquadrature femminili, e appare lampante quanto le protagoniste siano state plasmate all'interno di un racconto collettivo che non tralascia alcun dettaglio. La femme fatale Natasha Romanoff di Iron Man 2 diventa prima assassina spietata e poi splendida guerriera epica (con le stesse peculiarità dell'epica classica) in The Avengers, mostrando via via i suoi lati più umani e le sue emozioni più nascoste. Mollando quell'anacronistico nomignolo di Vedova Nera, la Nat di Scarlett Johansson diventerà il simbolo della femminilità all'interno dell'MCU, nonché uno dei personaggi più belli e drammatici di tutti. Al netto delle polemiche (insensate) riguardanti il suo sacrificio in Endgame, Natasha Romanoff è addirittura l'esempio nell'esempio, accompagnando la prima (e fin ora inimitabile) parte dell'MCU.
Un punto di riferimento, tra l'ispirazione e la straordinarietà, poi confluito in parte nella Carol Danvers di Brie Larson. Captain Marvel, appunto: la svolta totalmente femminista dei Marvel Studios, colei che diventerà l'esempio per milioni di ragazze (vedi alla voce Ms. Marvel) e colei che infliggerà un colpo pesantissimo a Thanos. La strada è segnata, il superpotere è donna.
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Peggy e Wanda, anticonformismo e complessità
Da un potere all'altro, sempre tenendo ben in rilevo l'umanità e le singolarità di ogni personaggio inquadrato in un meccanismo più grande. Peggy Carter spiega bene il senso: metafora di amore incondizionato per Steve Rogers nonché eroina della Seconda Guerra Mondiale, sarà per Cap lo scopo di vita e la missione ultima. Ma attenzione: non è di certo la donna che aspetta il ritorno a casa del suo amato, bensì è una figura d'azione, di intraprendenza, di anticonformismo. Citata spesso e rivista nel MCU diverse volte, è stata la prima donna ad avere uno show tutto suo, Agent Carter, probabilmente rilasciato nel momento sbagliato e cancellato dopo appena due stagioni. Un peccato, perché la serie targata ABC era un piacevole divertissement sulla condizione femminile (in ufficio) negli Anni Cinquanta.
Condizione femminile che andrà ad amalgamarsi in quell'imprevedibile psico-dramma che è WandaVision, in cui spicca quella che sarà poi una delle chiavi del Multiverso: Wanda Maximoff, tramutata poi in Scarlet Witch. Personaggio femminile complesso e complicato, mamma e vedova, sorella gemella e orfana, tanto arrabbiata con il mondo da volerlo (quasi) distruggere. Comprensibile e condivisibile, la sua ira diventerà per l'MCU qualcosa di mai visto prima, con il pubblico che si spaccherà domandandosi: ma Wanda è un'eroina o una nuova villain? Il confine potrebbe non essere così delineato e, siamo certi, Wanda / Scarlett sarà il definitivo punto di rottura nella poetica femminile della saga.
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Ms. Marvel e Valchiria, il women empowerment al suo massimo
Certo, il women empowerment all'interno dell'Universo Marvel è in parallela evoluzione ed espansione, e la lista è davvero lunga: potremmo citare il diritto alla fragilità di Jessica Jones o la perseveranza di Kate Bishop di Hawkeye, ma gli esempi funzionali e continui per questa evoluzioni si concentrano in particolar modo in due personaggi femminili unici e opposti: Ms. Marvel, interpretata dalla rivelazione Iman Vellani, e la Valchiria di Tessa Thompson. La prima è la protagonista di una serie decisamente inclusiva, in cui una ragazza pakistana sogna di essere come Captain Marvel. Riecco la normalità (femminile) in relazione ad una cornice dai guizzi bizzarri, in cui una ragazza comune deve combattere prima di tutto le proprie ansie e le proprie paure.
Ma se la Marvel ha saputo cogliere i cambiamenti, rispecchiando e anticipando la contemporaneità di una sacrosanta emancipazione femminile, la menzione speciale non può non andare alla Valchiria. Asgardiana fino all'osso, guerriera coraggiosa e amica fidata di Thor, Valchiria è stata l'intuizione più riuscita di Taika Waititi, costruendole su misura quel gran film che è Thor: Ragnarok. Con lei la femminilità muta in qualcosa di fluido e smaccatamente pop, l'epica di Asgard completamente stravolta per generare una figura dai risvolti straordinari ma reali, facendola diventare una donna strettamente contemporanea. Non solo, la Marvel dimostrerà che una donna può e deve ricoprire il ruolo di sovrana, facendola diventare - appunto - la premier di Asgard. Anche se lei preferisce cavalcare il suo cavallo alato. Come darle torto?
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