Recensione Seguimi: tra ghost story e thriller psicologico

La recensione di Seguimi, film di Claudio Sestieri che indaga ancora una volta il tema del doppio e dell'assenza.

Una vicenda in bilico tra ghost story, thriller psicologico, erotico e mistery. Il film con cui Claudio Sestieri, indagatore del doppio e dell'assenza, torna alla regia dodici anni dopo Chiamami Salomè, è un mix di generi che trova la sua rappresentazione in Seguimi. La pellicola vivrà di un modello distributivo alternativo ai canali tradizionali puntando su una serie di eventi e iniziative che per sei mesi coinvolgeranno diverse sale dello stivale a partire da Napoli, Matera, Roma e Milano: "Sarà un percorso al termine del quale avremo almeno cento sale".
L'idea quindi è di lavorare sugli effetti del lungo periodo per garantire al film una vita che diversamente non avrebbe, andandosi a esaurire nel giro dei primissimi giorni di programmazione.
Sestieri è consapevole di muoversi su un territorio estraneo al panorama cinematografico nostrano: "Il progetto, divergente dai canoni del cinema del momento, nasce come succede ormai da qualche tempo ovunque nel resto d'Europa, con l'idea di ibridare gli schemi del cinema d'autore con quelli del cinema di genere. Per me che ho sempre fatto gialli esistenziali significava fare un passo avanti mantenendo pur sempre le mie ossessioni del doppio, dell'assenza, della perdita e confrontandomi con i meccanismi del thriller".

Seguimi Pier Giorgio Bellocchio Maya Murofushi
Seguimi: Pier Giorgio Bellocchio e Maya Murofushi in una scena del film

Il mix di generi, dalla ghost story al thriller psicologico

Seguimi Angelique Cavallari
Seguimi: Angelique Cavallari in una scena del film

Sullo sfondo di Matera che all'inizio del film emerge silenziosa da uno specchio d'acqua, si agitano personaggi appena accennati, quasi fantasmi: sono una ex tuffatrice olimpionica, Marta (Angelique Cavallari) trasferitasi da Barcellona al capoluogo lucano subito dopo la morte del padre, un ombroso pittore (Pier Giorgio Bellocchio) ossessionato dalla sua musa ispiratrice, e Haru (Maya Murofushi), perturbante modella giapponese che presto irromperà nella vita di Marta sconvolgendola per sempre.
"Senza ingannare lo spettatore abbiamo cercato di raccontare una storia sempre in bilico tra la migliore tradizione orientale della ghost story e il caso psichiatrico - racconta Claudio Sestieri - ma mi piaceva che dentro ci fosse anche Mario Bava o quelle suggestioni visive amato tante dai Cahiers e disprezzate nel nostro paese". Si fanno sentire anche gli echi de La donna di sabbia o Two sisters, anche se il risultato rimane lontano da quei modelli.

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Una scrittura verbosa e didascalica

Seguimi Maya Murofushi
Seguimi: Maya Murofushi in una scena del film

Seguimi è un film che nelle intenzioni vorrebbe essere lacerante e disturbante: "Quando uscì Dolce assenza fu venduto come un giallo sui sentimenti, Seguimi è la sua versione hard ed esprime un dolore assente invece nella società in cui era ambientata quella storia; viviamo un'era di sfilacciamenti, l'epoca dei musical senza lieto fine come La La Land e volevo che questo fosse evidente - spiega il regista - perciò ho fatto un film sulla perdita, sul dolore, in cui ad esempio il sesso non ha nulla di liberatorio, anzi è sofferto e non c'è spazio per le risate come succedeva in Dolce assenza dove Sergio Castellitto portava un contrappunto ironico". Purtroppo nella realizzazione stenta a restituirci le suggestioni a cui si ispira, complici una scrittura barocca, didascalica e verbosa, e delle interpretazioni spesso poco credibili e monocordi, almeno fino all'entrata in scena di Antonia Liskova.

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Seguimi Antonia Liskova
Seguimi: Antonia Liskova in una scena del film

Da quel momento anche il tono della storia cambia, la narrazione si rimette in moto guidando il pubblico verso il mistery e risvegliando l'attenzione di uno spettatore intorpidito per quasi un'ora di film da dialoghi strabordanti sul senso dell'arte e del suo intimo rapporto con la vita.
Posticcio nella messa in scena, ha nei propositi il merito di farsi espressione di un'epoca dominata dalla frammentarietà, grazie all'intuizione di un regista che crede "in un cinema non dichiaratamente politico e sociale, che non fotografa la realtà ma che la ricostruisce". Peccato non basti a risollevare le sorti di un intero film.

Movieplayer.it

2.0/5