"Inizio io così poi possiamo solo salire di qualità", esordisce scherzando Edoardo Pesce sul palco del talk dedicato alla reunion di Romanzo criminale - La serie organizzato dal Riviera International Film festival che anticipa quella autoironica che vedremo in Call My Agent 3 e di cui è in produzione un prequel. "Nella banda suonavo il sax tenore", continua con fare divertito l'attore che nella serie Sky interpretava Ruggero Buffoni. "Era partita come musicale. Poi, non avendo più serate, ci siamo detti: 'Perché non proviamo a fare qualche rapina?'. Così è nata la banda della Magliana".

"Sono stato l'ultimo a essere stato preso", ricorda l'attore. "Per me è stata un'ottima scuola: 70 giorni di set con persone di altissimo livello artistico. Dalla regia di Stefano Sollima alla fotografia di Paolo Carnera alle scenografie di Paola Comencini. Era una serie 'no names'. Hanno evitato nomi affermati e conosciuti per mettere in primo piano la serie".
Tra cronaca e finzione

Basata sul romanzo omonimo di Giancarlo De Cataldo e prodotta da Cattleya e Sky Italia tra il 2008 al 2010, Romanzo criminale - La serie è il secondo adattamento dopo il film di Michele Placido del 2005. Un cast di attori principalmente emergenti composto da Alessandro Roia (il Dandy), Francesco Montanari (il Libanese), Vinicio Marchioni (il Freddo), Marco Bocci (il commissario Scialoja), Daniela Virgilio (Patrizia), Andrea Sartoretti (il Bufalo), Riccardo De Filippis (Scrocchiazeppi) e il già citato Pesce. Dietro la macchina da presa Stefano Sollima**.
"Gli sceneggiatori sono riusciti a trovare delle personalità molto importanti e diversificate all'interno dei personaggi che hanno poi creato la banda della Magliana romanzata", spiega Montanari. "I nostri, infatti, sono personaggi ispirati a persone realmente esistite, ma non è un biopic. I fatti di cronaca sono veri, ma il resto è fantasia dell'autore funzionale alla drammaturgia della storia. Avevo 23 anni, e dopo sette provini fui l'ultimo a essere scelto. Stefano mi disse: 'Ma io e te che so dovemo dì? La vuoi sta parte? Convincimi?'. Inizio a recitare, lui mi ferma e dice: 'No, con lo sguardo'. Da lì, paradossalmente, nasce l'intuizione dello sguardo del Libanese".

"Non ho fatto il militare, ma considero Romanzo criminale come una sorta di militare artistico", continua l'attore. "Anche se non ci vediamo per tanto tempo, quando ci rincontriamo c'è sempre grande amore e affetto di un'esperienza che ci ha legato. Ero il più piccolo. Sono stato accolto e sostenuto. Mi presentai al provino con il maglione rosa di mia nonna tutto sorridente, tanto che Stefano pensava fossi lì per il Dandy. Quando mi disse che avevo avuto la parte ero felicissimo. Poi siccome ho un autosabotatore interno andai da lui e gli chiesi di prenderci un caffè. Gli chiesi era era sicuro della sua scelta. Mi diede il consiglio più importante della mia vita lavorativa fino a quel punto dicendomi: 'Ricorda: se vinciamo abbiamo vinto insieme, se sbagliamo ho sbagliato io'. Poco dopo mi richiamò e aggiunse: 'Non dire mai più a un regista che ti ha appena preso una cosa del genere. Le tue insicurezze te le gestisci a casa'".

Una serie dall'impatto sociologico

Se con la mente si torna agli anni in cui la serie sbarcò su Sky, è facile ricordare come - in pochissimo tempo - diventò un vero e proprio fenomeno capace di influenzare l'immaginario collettivo. Era pressoché impossibile trovare qualcuno che non l'avesse vista. "È complicato scavare nei ricordi", ammette Roia. "Quello che mi è rimasto impresso è che in quel periodo a Roma se varcavi la soglia di un bar e incontravi un altro giovane attore scattavo un momento un po' western. 'L'hai fatto? Ti hanno richiamato', ci si chiedeva. C'erano persone che avevano informazioni e ti dicevano: "Eh, io so una cosa?". Era evidente che stava succedendo qualcosa".
"Rispetto al film voglio essere un po' cattivello. Fu un'occasione mancatissima", dichiara l'attore riferendosi alla pellicola di Michele Placido. "Non ruppe quella parete che quel film cinematograficamente poteva fare. È evidente nei dati. Il film non ha una memoria. Mentre la serie ha scavato una nicchia nel tempo. È ineluttabile. Perché se, dopo 17 anni, mi ritrovo in macchina con barba lunga, cappello e occhiali con una persona che mi guarda dal finestrino e dall'emozione mi dice 'Ciao Dante', beh si capisce l'impatto che ha avuto sociologicamente sulle persone. In più Sollima decise di girare in pellicola e questo ha dato tantissimo alla serie. L'ha resa unica e nel tempo è cresciuta. Aver fatto solo due stagioni ha permesso poi alla serie di diventare cult".

"All'epoca lavoravo con Nils Hartmann, responsabile del dipartimento delle serie Sky nato da pochissimo", ricorda Roberto Pisoni. "Passo dopo passo **la sensazione era che stessimo lavorando a qualcosa di magicoéé. Non mi è mai capitato nella vita di leggere una sceneggiatura e capire immediatamente chi fosse il personaggio, avere voglia di leggere subito la successiva, morire dalle risate, emozionarmi... Era pazzesco".
"Sollima sul set metteva tutti tranquilli, aveva una calma olimpica. Ai provini fece una rivoluzione perché li voleva fare sul personaggio. Quando abbiamo visto il primo episodio abbiamo detto: 'È una bomba atomica'. Dopo due settimane dall'uscita ci fu un'esplosione totale sulla piattaforma e venne piratata ovunque. Quando ti esplode in mano una cosa del genere non la puoi prevedere. Sono state una serie di circostanze fortuite. E io ho avuto la fortuna di essere".
Romanzo Criminale e Gomorra, in arrivo i prequel: l'epica guarda al passatoIl commissario Scialoja, contraltare della banda

Oltre ai membri della banda, la serie - così come il film e il romanzo ancor prima - si concentrava anche su una figura che cercava di mettere la parola fine alle loro scorribande criminali: il commissario Nicola Scialoja. "Mi ricordo molto poco della costruzione del personaggio, sono passati anni", ammette Bocci. "Però la cosa che mi rimane più in mente è una domanda che mi ha messo in discussione: 'Ma non è che ho sbagliato tutto?'. Spesso Scialoja veniva apostrofato come l'unico personaggio positivo. Mentre lo studiano e interpretavo non riuscivo a vederlo così. Lo vedevo come il contraltare della banda".
"Me lo immaginavo come un personaggio torvo, combattuto, introverso ma che non rappresentava la parte sana di un individuo. È l'unico implosivo e apparentemente sfigato a confronto con personaggi esplosivi e fighi. Un grande peccatore che si innamora di Patrizia che segue l'idea di giustizia che ha dentro la sua testa che diventa quasi un fatto personale che va al di là di quello che è la legalità. Un lavoro complicato che mi ha entusiasmato e divertito".
Dare stima allo spettatore

Romanzo criminale - La serie fin da subito ha prodotto nel pubblico una forte reazione emotiva. "In quel periodo si tendeva a mitizzare questi eroi negativi. Ma tutto nasceva da una scelta. Nasceva da un approccio totalmente coraggioso, nel senso che si dava stima allo spettatore", sottolinea Bocci. "È chiaro che se racconti un protagonista che è un criminale, le basi minime sono quelle di permettere al pubblico di empatizzare col protagonista. Se è un criminale, è chiaro che vivi dentro di lui e desideri che i suoi affari vadano bene. È alla base. Ma non è che esci di casa e cominci a sparare. Bisogna avere senso critico".
"A Roma c'era un'esaltazione per le strade. La stessa che magari oggi i ragazzi possono avere per la trap", gli fa eco Pesce. "La scrittura della serie era fantastica ed è per questo che la gente continua a vederla e se la passa come se fosse un buon libro. Come uno 'Shakespeare de noantri' tocca dei temi, dall'amicizia al tradimento alla gelosia, che sono universali e che - anche in una serie tv - ti prendono. Poi hanno il vestito dei gangster anni '70, ma poteva essere ambientata nel '400 come nel 2050. A me personalmente fa un po' tristezza che prendano come esempio la forma".