Dopo Paolo Sorrentino anche un altro regista italiano torna sul grande schermo con un film indipendente americano che, pur avendo un cast internazionale di primo piano, ha uno sguardo tutto europeo. Parliamo di Roberto Faenza, cineasta scomodo, bandito nel 1978 dal cinema italiano per aver diretto il documentario di montaggio Forza Italia! che rappresentava una feroce e satirica critica al mondo del potere. Costretto ad un esilio professionale negli Usa, nel 1983 dirige Copkiller e oggi, a quasi trent'anni di distanza, è tornato nella Grande Mela per dar vita alla trasposizione cinematografica di Un giorno questo dolore ti sarà utile, il best seller di Peter Cameron. Prodotto da Elda Ferri per Jean Vigo Italia in co-produzione con gli Stati Uniti e con Rai Cinema, il film racconta lo spaesamento di James, un diciassettenne inquieto e anticonformista, figlio di genitori separati e insoddisfatti, uno che si rifiuta di andare al college per non essere indottrinato, che odia l'omologazione ed è alla ricerca della sua identità sullo sfondo di una New York brulicante e alienante. Protagonista del film il giovane Toby Regbo, accompagnato da un cast di primo piano che vanta la presenza di due premi Oscar come Ellen Burstyn e Marcia Gay Harden, Lucy Liu, Peter Gallagher e, presenti in sala stamattina, lo Stephen Lang di Avatar e Deborah Ann Woll, la conturbante vampira dai capelli rossi di True Blood. I due attori, insieme al regista Roberto Faenza (presto di nuovo anche in tv con l'atteso Il delitto di Via Poma), alla cantante Elisa, interprete della colonna sonora di Andrea Guerra, e alla produttrice Milena Canonero hanno presentato Un giorno questo dolore ti sarà utile in quel dell'Auditorium Parco della Musica, film che che arriverà nelle nostre sale a partire da venerdì 24 febbraio 2012 distribuito da 01Distribution.
Come hai lavorato con Andrea Guerra sulla colonna sonora del film? Elisa: Sono stata coinvolta in questo progetto solo ed unicamente a livello canoro, Andrea Guerra è stato il mio pilota per quel che riguarda le musiche, il timbro e i toni, il contatto con Roberto è stato quindi indiretto perchè da parte mia ho cercato unicamente di interpretare al meglio le liriche e le linee guida di Andrea. E' la prima volta che mi limito a cantare senza scrivere nulla, è stato un processo molto interessante per me. E' stato molto bello questo mio ruolo un po' da madrina protettrice del protagonista del film, mi sono sentita come una voce interiore di James, è stata una bella sensazione.
Ad un certo punto della tua carriera hai iniziato a scegliere le sceneggiature per i tuoi film nella letteratura, con che criterio scegli un romanzo piuttosto che un altro? Roberto Faenza: Da un certo punto in poi della mia carriera non ho potuto più lavorare in Italia per via del documentario che fu ritirato e bandito dai cinema per colpa della censura. Questo mi ha spinto ad andare a lavorare fuori dal Paese e ho avuto molto tempo per leggere, anche il mio primo film americano Copkiller era tratto da un romanzo di uno scrittore inglese. Gli sceneggiatori erano spariti e a quei tempi i registi si sono trovati senza i loro fratelli maggiori. E' allora che sono venuti fuori gli scrittori nel cinema, basti guardare il romanzo di Peter Cameron che è scritto come fosse una sceneggiatura. Avevo sempre avuto il desiderio di trasporre per il cinema Il giovane Holden di J. D. Salinger, poi lui stroncò tutti sul nascere dicendo che nessuno avrebbe mai dovuto azzardarsi a trasformare il suo romanzo in un film e così ho rinunciato. Un giorno questo dolore ti sarà utile ha molte similitudini con il romanzo di Salinger e quando l'ho letto per la prima volta ho deciso subito di farlo mio.E' stato più un piacere o più una responsabilità trasformare un libro così amato in tutto il mondo in un film? Roberto Faenza: Quello che mi ha motivato a scegliere questo racconto è il contrasto tra il mondo degli adulti e quello dei giovani, James è visto da tutti come un disadattato, come un diverso che va guarito mentre è semplicemente uno che non vuole seguire il percorso di tutti quelli che gli stanno intorno, non vuole essere cloroformizzato e inghiottito dalla società consumistica in cui è cresciuto. James è un ragazzo normalissimo che vive in una realtà in cui nessuno è normale come lui, e si rende conto meglio degli altri di come il mondo stia andando a rotoli e vada completamente ricostruito. Possiamo vederlo come una sorta di antesignano degli 'indignati' che tanto scalpore stanno facendo in questo periodo in tutto il mondo, è uno che preferirebbe fare il calzolaio anziché andare a Wall Street a speculare sul lavoro e sul sacrificio di altri. E' un giovane uomo che non vuole perpetuare il cammino del mondo degli adulti ma vuole cambiare direzione. Io personalmente mi identifico molto in lui.
Ci racconta la sua scelta di raccontare in modo diverso rispetto al libro il rapporto del protagonista con la sua terapista? Roberto Faenza: Credo che il compito di un regista e sceneggiatore che rivisita un romanzo sia quello di aiutare la storia a germinare, a far nascere cose nuove e nuovi punti di vista dei personaggi, non ci si può limitare a ripetere le stesse cose del libro. Mi sono documentato moltissimo sulla psicanalisi moderna, sulla figura del life coach che esiste realmente negli Usa e rappresenta un'evoluzione nel campo dell'educazione dei giovani. I life coach ripudiano il rapporto tradizionale freddo e arido, odiano i luoghi chiusi, fanno insieme ai loro pazienti delle cose molto più dinamiche, a volte per far venire fuori quello che i ragazzi custodiscono gelosamente dentro arrivano a correre, a stare all'aperto come fanno nel film Lucy Liu e Toby Regbo nel film. L'argomento, nel libro, mi sembrava trattato in modo troppo tradizionale, il modo che abbiamo trovato noi era sicuramente più cinematografico e avrebbe donato molta più dinamicità alla storia.Quali sono state le maggiori difficoltà che ha riscontrato durante la produzione del film negli Usa e più precisamente a New York? Roberto Faenza: E' sempre molto difficile per noi italiani andare a lavorare fuori dai confini del nostro Paese, non veniamo trattati con la dovuta reciprocità all'estero, quando si tratta di registi americani che vengono a girare in Italia noi apriamo loro le porte, come recentemente è accaduto a Woody Allen, e questo è giustissimo. Il problema sorge quando noi andiamo fuori, perchè quando sono andato a girare in America su 105 persone della troupe ho potuto portare con me un solo italiano. La nostra politica dovrebbe aiutarci in questo senso, dovrebbe darci una mano a rendere agibile il lavoro degli italiani sia dentro che fuori dai confini. Abbiamo un grande potenziale artistico noi italiani, abbiamo dei grandi artisti in questo modo si vedono privati di tantissime occasioni lavorative, ma senza l'aiuto del nostro apparato politico, che ad oggi ignora completamente questo potenziale, non possiamo andare da nessuna parte.
Al di là di questo apparato produttivo inconsueto, Stephen Lang ha trovato delle differenze sostanziali nel metodo di lavoro di un regista italiano rispetto a quello di registi hollywoodiani? Stephen Lang: Non credo che possa esistere alcuna differenza tra il rapporto che si è instaurato tra Michael Mann e James Caan in Strade Violente e quello che si è instaurato tra me e Roberto. La differenza a mio avviso esiste tra un regista e l'altro non nel modo di lavorare di un regista con lo stesso attore. A volte capita che ci siano delle barriere linguistiche, ma sono problemi che affronti benissimo.Che idea si è fatto di Roberto Faenza? Stephen Lang: Posso dirvi che ho capito, anche dall'esperienza sul set con Roberto, che i registi europei hanno uno sguardo molto interessante e originale sull'America, un modo di approcciare totalmente unico. Trovo che la lente puntata da Roberto sulla vita dei newyorkesi abbia un'angolatura particolare, che abbia un modo diverso di riprendere la luce e di catturare il suono. E' stata un'esperienza affascinante per me, ho trovato molto congeniale il suo approccio con gli attori, si è creato da subito un rapporto di grande fiducia tra noi, condivido la sua visione e sono sicuro che lui abbia avuto una grande fiducia nella mia capacità di comunicare la sua visione allo spettatore.
E' molto più facile interpretare un personaggio fantastico e popolare come la Jessica di True Blood rispetto ad un personaggio scomodo e tutto sommato trasgressivo come la Gillian del film. Com verrà percepito questo film secondo Deborah Ann Woll dai ragazzi? Deborah Ann Woll: Credo che gli adulti oggi siano molto scorretti con i ragazzi, credo ci sia una mancanza di rispetto di fondo verso i giovani, considerati tutti scapestrati, senza ideali, senza uno scopo. Questa storia racconta di un ragazzo come tanti che vuole semplicemente essere se stesso, che vuole rimanere fedele a quel che lo rende felice. In passato mi sono sentita molto vicina a James, è capitato anche a me un attacco di panico come qullo che capita a lui al centro della sala da ballo in una festa. Esistono anche ragazzi diversi dai bulli di quartiere, ragazzi che vogliono ribellarsi e andare contro corrente.Alla fine dei conti possiamo dire che questo sia il suo film più politico, forse anche più dei due documentari Forza Italia! e Silvio Forever che tanti problemi le hanno causato? Roberto Faenza: Credo semplicemente che questo sia un film che racconta i problemi che hanno i giovani di oggi. Abbiamo di fronte un mondo che stiamo scoprendo sempre più in bilico verso il baratro. Ci sono dei responsabili in tutto questo e poi c'è la massa, miliardi di persone che non hanno alcuna responsabilità di questa enorme crisi e non vogliono perpetuare in questo disastro. Il mio film va visto come un atto d'amore verso la ricostruzione di un mondo migliore perchè solo dai giovani può venire qualcosa di buono. Molti adulti hanno un'immagine stereotipata dei ragazzi di oggi, ma proviamo ad offrire loro qualcosa di diverso dai soliti film cafoni, diamo loro la possibilità di scegliere tra opere di qualità.