Recensione Tutta colpa di Freud (2014)

Non mancano i momenti riusciti, tutti legati al versante romantico del film, ma, nonostante una sufficiente tenuta del racconto, il risultato appare troppo poco incisivo, un po' noioso, meno ricco rispetto alle premesse, insomma.

Lettino a tre piazze

Provate a chiedere a Francesco se sia più difficile fare lo psicanalista o essere padre di tre figlie alle prese con disastri amorosi più o meno complicati. L'uomo, professionista serissimo, genitore innamorato della prole che ha cresciuto da solo, dopo la fuga della moglie, non avrebbe dubbi; nessuno è in grado di dargli del filo da torcere più di Sara, Marta ed Emma. Di ritorno da New York, dove ha visto naufragare l'ennesimo rapporto sentimentale della vita, Sara, decide di diventare etero per smettere di soffrire; Marta invece gestisce una piccola libreria, è innamorata dell'amore e preferisce rifugiarsi nel suo mondo di fantasia, piuttosto che rischiare in prima persona. Almeno fino all'arrivo di Fabio, un ragazzo sordo che ruba libretti d'Opera e che ruba anche il suo cuore. La situazione più difficile è quella di Emma, liceale infatuata di un uomo molto più grande di lei, una relazione che spinge Francesco, solitamente moderno e permissivo, a scendere in campo per evitare il peggio. Decide così di prendere in cura il famigerato Peter Pan, Alessandro, per convincerlo a tornare con la moglie, una donna bellissima e misteriosa che da tempo turba i sogni del dottor Tammarelli. Ottavo film di Paolo Genovese, Tutta colpa di Freud, è una commedia con diverse frecce al proprio arco, non tutte, però, arrivate a destinazione. Primo argomento di interesse del film, quello che in fondo ne stabilisce l'originalità, è la rielaborazione del tema 'disastri amorosi senza uscita' in chiave 'psicanalitica'.


Segreti e bugie
Il rapporto tra cinema e psicanalisi si è rinsaldato sempre di più negli anni, grazie all'intrinseca capacità del grande cinema di mostrare attraverso le immagini gli aspetti più reconditi del nostro inconscio; anche la rappresentazione dello psicanalista (e soprattutto del suo rapporto col paziente) riveste un ruolo molto importante in questo doppio scambio. Moderato censore, geometra dei sentimenti, lo psicanalista analizza rimozioni forzate e scoperchia pentole in ebollizione, senza mai contraddire la sua figura distante e ieratica, senza mai dare risposte o soluzioni. Per restare in territorio italiano (lasciamo stare Woody Allen e i suoi match con gli epigoni di Freud, lotta che permea l'intera poetica del cineasta newyorchese), una delle commedie più riuscite di Carlo Verdone, Maledetto il giorno che t'ho incontrato, poggia proprio sul legame di dipendenza che unisce i due protagonisti al professionista che li 'cura' (ritorna sull'argomento anche in Ma che colpa abbiamo noi, dove mette in scena addirittura la morte dello psicanalista). Il Francesco Nuti di Caruso Pascoski ha il suo bel da fare con i pazienti più strampalati del mondo, per non parlare del Nanni Moretti di La stanza del figlio o di Habemus Papam, che si trova nella posizione di dover assistere agli altri (superare egli stesso una tragedia e aiutare addirittura il papa). C'è un piacere sottile insomma nel varcare la porta chiusa dello studio di un analista, un gusto legato alla visione di un qualcosa di proibito, o meglio intimo e privato, che prova a confermarci qualcosa su di noi. Genovese sfrutta questo appiglio aggiungendo un tocco in più, ovvero facendo coincidere il ruolo dello psicanalista, che il paziente tende a considerare come un secondo padre, con la vera figura genitoriale. E' lo spunto più interessante del film e, paradossalmente, anche il suo limite più grande.

Me lo spieghi papà?
Non esiste nessun presupposto paradossale, Genovese è attento a rimanere nei confini di un racconto pulito e mai inquietante, ma non stiamo scrivendo niente di nuovo; che il regista capitolino sia uno dei migliori autori del nostro cinema leggero è cosa risaputa, grazie ad uno stile di scrittura briosa e divertente e al gusto per un'accurata messa in scena. Eppure qualcosa in Tutta colpa di Freud non funziona alla perfezione. Troppo ambiziosa la struttura che vorrebbe assemblare i diversi punti di vista delle tre protagoniste in un plot articolato, ma, nonostante una sufficiente tenuta, il risultato appare troppo poco incisivo, un po' noioso, meno ricco rispetto alle premesse, insomma. E' rischioso, ad esempio, incentrare un film su una figura professionale così peculiare, senza essere aderenti alla sua realtà, mostrando l'andirivieni delle figlie dal suo studio, tutte attratte (neanche a dirlo) dal suo lettino (per la cronaca, una comoda poltrona di design con poggiapiedi); non si tratta solo di una questione deontologica (è sempre il padre a parlare, non lo psicanalista), ma di un vero e proprio inghippo drammaturgico che porta ad una reiterazione continua delle situazioni (figlia in crisi - consiglio paterno).
Marco Giallini, efficace come sempre, ma meno travolgente del solito, puntella la vita delle figlie, si prende in carico anche il fidanzato dell'ultimogenita (per amore? per gelosia?), dispensa consigli e suggerimenti, salvo poi comprendere che tutte loro sono capaci a sbagliare da sé. Se poi le tre figure femminili in questione si limitano a riproporre il classico ritratto delle single in crisi, allora viene dilapidato anche il buono della storia. Non mancano, infatti, i momenti riusciti e sono tutti legati al versante romantico del film; il dialogo tra Fabio (Vinicio Marchioni) e Marta (Vittoria Puccini) fatto con l'ausilio dei cartelli stradali ha una sua dolcezza, così com'è travolgente la simpatia della bravissima Anna Foglietta, 'responsabile' del personaggio più sopra le righe. Quando Giallini è in scena, poi, l'imprevedibile è sempre dietro l'angolo, ed è sempre un aggiunta positiva. Basta citare la sequenza del commissariato, in cui il bravo attore romano fa emergere il suo lato più tenero, senza mai però perdere la verve, anzi dimostrandosi il perfetto partner artistico per Alessandro Gassman. Piace insomma la bella prova corale del del cast, segno delle indubbie capacità di Genovese alla direzione degli attori.

Movieplayer.it

2.5/5