The Fight That You Can't Win
Autore dalla doppia anima, Gus Van Sant. Nella sua lunga carriera il regista ha manifestato uno stile personale e introspettivo firmando opere poetiche e malinconiche come Belli e dannati, Last Days, Elephant e L'amore che resta, ma ha anche frequentato con alterne fortune l'universo mainstream convicendo critica e Academy con Will Hunting - Genio ribelle e col sentito Milk o facendo storcere il naso di fronte all'incomprensibile scelta di dirigere un remake shot by shot di Psycho. Nessun dubbio sull'appartenenza di Promised Land al secondo gruppo di lavori, anche perché il film nasce su commissione di Matt Damon. La star di Will Hunting, impossibilitata a dirigere personalmente la sceneggiatura firmata insieme a John Krasinski, l'ha affidata nelle mani di Van Sant. Il risultato è un racconto morale profondamente americano per forma e contenuti. Van Sant abbandona l'inquietudine e la vaghezza indie per affidarsi a modelli classici come John Ford e Frank Capra. L'incipit del film, composto da insistiti campi lunghi sulle campagne popolate di fattorie, sui prati appena falciati delle bianche casette di periferia tutte uguali, tutte con la loro brava bandiera a stelle e strisce che sventola pigramente, introduce fin da subito uno dei due protagonisti del film: la comunità.
Non per niente la prima cosa che fa l'intruso Matt Damon, rampante venditore che si è affrancato dalla miseria della campagna grazie all'impiego in una grande azienda, è recarsi con la collega (la sempre incisiva Frances McDormand) in un emporio locale per acquistare abiti che lo facciano sembrare un locale, 'uno di loro'. La cara vecchia provincia americana chiusa e diffidente nei confronti del diverso. Il diverso, in questo caso, è rappresentato da una fittizia compagnia energetica che opera massicce acquisizioni di terreno agricolo in Pennsylvania per poter praticare liberamente il fracking, pratica invasiva e altamente nociva che favorisce l'estrazione di gas naturale immettendo enormi quantitá di acqua e solventi nel terreno e contaminando le falde acquifere. L'opera di persuasione di Damon passa attraverso una serie di riti comuni: le assemblee pubbliche, il pub, le partite di basket, il karaoke (in cui é ambientata una delle sequenze piú riuscite del film che vede l'ambientalista John Krasinski impegnato a torturare Dancing in the Dark di Bruce Springsteen), addirittura una fiera allestita e sponsorizzata dall'azienda energetica in una disperata operazione simpatia volta ad accattivarsi i locali. I piccoli agricoltori disposti a cedere il proprio terreno rischiano di diventare milionari. Il prezzo da pagare? La distruzione del loro habitat naturale. La questione ambientale alla base di Promised Land ha scatenato violente polemiche in patria. Ben prima dell'uscita, il film è stato demonizzato da parte delle vere compagnie che praticano il fracking e dei loro supporters politici, ma in realtà la sua posizione ideologica è piuttosto stemperata rispetto a opere militanti come il documentario GasLand. Nel lavoro di Gus Van Sant la distinzione tra buoni e cattivi non è così netta. Lo stesso Matt Damon, il cui volto incarna il prototipo del bravo ragazzo americano, è privo di quella rapacità necessaria per svolgere il compito che gli è stato affidato. Il suo personaggio, impegnato a ripetere più volte agli interlocutori di non essere cattivo, sembra nutrire sincera fiducia nelle possibilitá offerte dall'iniezione di denaro fornita dalla sua azienda. Questo sostanziale equilibrio, questo essere super partes, non giova a un film dall'andamento lineare, ma privo di picchi. Il colpo di scena che dovrebbe dare una sferzata alla vicenda, a conti fatti, risulta una buona intuizione che non viene sfruttata appieno. La stessa sensazione che si prova nei confronti del personaggio dell'anziano insegnante che combatte contro l'azienda energetica, ma a cui viene riservato troppo poco spazio. A giudicare dal titolo scelto da Gus Van Sant, la presenza del brano di Bruce Springsteen nel film non è certo un caso. La terra promessa di biblica memoria è quella stessa provincia rurale americana, povera, disperata e tradita dal governo cantata dal Boss e prima di lui da John Steinbeck. Anche stavolta il sogno americano si infrange di fronte a una manciata di promesse e a un po' di soldi che costringono a svendere la memoria del passato, cancellando per sempre la possibilità delle generazioni future di restare là dove sono nate. A differenza dell'opera di Springsteen, però, qui manca quella rabbia viscerale di fondo. Gli agricoltori di Gus Van Sant sono come anestetizzati dalla miseria e dalla rassegnazione tanto che quasi tutti le spinte (sia a vendere che a difendere la propria terra fino alla fine) sembrano provenire dall'esterno. Scelta voluta per illustrate la passività e lo scoramento di fronte alla situazione socio-politica attuale o scarso coinvolgimento di Gus Van Sant nella materia trattata?
Movieplayer.it
3.0/5