Recensione One on One (2014)

Con One on One Kim Ki-duk ritrova una nuova lucidità costruendo una pellicola geometrica la cui la potenza sventa il rischio del film a tesi catturando lo spettatore nell'ennesima spirale (auto)distruttiva.

L'ultimo Kim Ki-duk è pieno di rabbia e di ferocia. Dopo la rinascita artistica seguita alla crisi documentata in Arirang, il regista torna a macinare premi e a indirizzare i suoi strali contro i mali della società coreana con rinnovato fervore. Pur senza rinunciare ai temi che gli sono cari, il cineasta sposta lo sguardo da una dimensione personale a una collettiva, o meglio, utilizza storie esemplari che gli permettano di portare avanti un discorso politico ben preciso che coinvolge l'intera società. In questo senso, ancor più di Pietà e Moebius, One on One è un'opera in cui la politica permea ogni aspetto della storia.

Dopo Park Chan-Wook, anche Kim Ki-duk sembra aver realizzato una sua personale trilogia della vendetta: vendetta contro il sistema, colpevole di sfruttare l'individuo (Pietà), vendetta tra membri della stessa famiglia, cellula in cui si genera il marcio della società (Moebius), vendetta contro il governo, corrotto e colpevole di orribili atrocità contro il popolo per mantenere l'ordine prestabilito (One On One). Il film si apre con un misterioso delitto. Un commando di uomini mascherati rapisce e uccide brutalmente una studentessa. A uno a uno gli esecutori del crimine vengono rapiti e torturati da una banda composta da sette Ombre con lo scopo di estorcere loro una confessione scritta. Man mano che la vendetta procede risalendo fino ai vertici della scala gerarchica, là dove si trova il vero mandante del delitto, viene portato alla luce un universo corrotto dove tutti rispondono ad ordini che provengono da un potere occulto meschino e feroce il cui unico scopo è quello di autopreservarsi.

Sette Ombre in cerca di vendetta

One on One: Ma Dong-seok, Capo delle Ombre, in una scena del film
One on One: Ma Dong-seok, Capo delle Ombre, in una scena del film

One On One ha l'andamento di un thriller, un puzzle i cui frammenti vanno al loro posto man mano che la narrazione avanza, ma è anche una pellicola che ha una forte valenza universale. In fin dei conti il sistema politico coreano contro cui Kim Ki-duk punta il dito non è poi molto diverso dal nostro o da quelli di altri paesi industrializzati. Nel team delle Ombre troviamo un meccanico e un cameriere insoddisfatti della loro condizione e maltrattati dai loro datori di lavori, due uomini che hanno contratto debiti con gli strozzini perdendo la casa e la dignità e un giovane neolaureato che parla fluentemente inglese, ma non riesce a trovare un lavoro. Storie che ricordano da vicino quelle vissute nell'Italia di oggi, nelle altre regioni dell'area mediterranea o negli USA post-default. La disoccupazione, lo sfruttamento, la precarietà, la miseria diventano la molla che fa scattare la sete di giustizia, ma trattandosi di Kim Ki-duk sono presenti pulsioni più profonde. L'unica donna tra le Ombre è una giovane stanca di subire soprusi dal fidanzato violento e possessivo, ennesimo simbolo della difficile condizione femminile in un paese ancora fortemente maschilista, e sarà anche la prima a ribellarsi alle torture inflitte dal misterioso capo delle Ombre ai suoi bersagli. Perché l'ingrediente essenziale delle pellicole di Kim Ki-duk è ancora una volta la violenza. Violenza cieca, brutale, ma anche scientifica, calibrata, controllata per far ammettere ai colpevoli i loro delitti. Paradossalmente man mano che le Ombre catturano e torturano figure sempre più potenti, per costringerle ad ammettere le proprie responsabilità, la violenza diminuisce, quasi a sottolineare che il potere, in fin dei conti, non può essere scalfito.

Il male oscuro

Tra i personaggi di One on One il più intrigante è senza dubbio il capo delle Ombre (Ma Dong-seok). Capace di compassione, ma anche di violenza efferata, l'uomo vuole andare fino in fondo nella sua missione punitiva per molteplici ragioni, ma soprattutto per espiare le proprie colpe, differenziandosi ed elevandosi dagli uomini che perseguita. La violenza diviene, così, strumento di purificazione personale e collettiva, leva per dar vita a un cambiamento della società. Kim Ki-duk centellina con sapienza le informazioni legate al passato del personaggio senza rivelarci più del necessario, ma è grazie al capo delle Ombre se la dimensione spirituale e religiosa fa capolino in una pellicola ancorata alla temporalità, in cui il potere e il denaro sono gli unici valori che abbiano un senso. Se con Moebius Kim Ki-duk aveva perso il senso della misura, insistendo su situazioni morbose e su esplosioni di violenza quasi insostenibile allo sguardo che rischiavano di trasformare la sua tragedia in farsa, con One on One ritrova una nuova lucidità. La pellicola è costruita in modo geometrico. Man mano che l'opera punitiva delle Ombre procede, vengono inserite significative varianti nella narrazione che aprono nuovi squarci nella storia rendendo il tutto più interessante e complesso. Non mancano alcuni meccanicismi nello script, dettati dalla voglia di esemplificare la propria visione della società, che talvolta sfiorano il didascalismo, ma la potenza di Kim Ki-Duk sventa il rischio del film a tesi catturando lo spettatore nell'ennesima spirale (auto)distruttiva.

Conclusione

One on One: Ji-hye Ahn con Ma Dong-seok in una scena del film diretto da Kim Ki-duk
One on One: Ji-hye Ahn con Ma Dong-seok in una scena del film diretto da Kim Ki-duk

Kim Ki-duk ci consegna un film di denuncia, un thriller iperviolento che punta il dito contro la corruzione, la violenza e la sopraffazione che dominano la società coreana.

Movieplayer.it

3.0/5