Recensione Il dilemma (2011)

La regia di Ron Howard è inappuntabile nel congegnare una commedia agrodolce che sa aggirare i pasticci sentimentalisti ed esaltare con bravura i suoi polverosi prototipi.

Moglie e guai degli amici tuoi

Chicago. Ronny Valentine è un caparbio e audace uomo d'affari che vende ai suoi clienti prodotti milionari prima ancora che siano brevettati. Il suo braccio destro nella vita e nel lavoro è Nick Brannen, un modesto genietto dei motori che conosce dai tempi del college e del quale si fida ciecamente. Quando Nick infatti gli suggerisce che Beth, la donna con la quale sta uscendo, è la persona giusta da portare all'altare, l'uomo capisce che è arrivato il momento di proporle il grande passo e si prodiga perché il momento sia indimenticabile per la sua dolce metà. Il giorno in cui Ronny decide di chiedere la mano a Beth però accade qualcosa che destabilizza completamente la sua vita sentimentale e lavorativa: a pochi metri da lui c'è Geneva, l'adorabile moglie di Nick, tra le braccia di un energumeno più giovane. L'uomo vorrebbe subito confessare tutto all'amico, ma a rendere ancora più delicata la sua posizione c'è lo stress che i due soci stanno vivendo per un progetto che potrebbe finalmente salvarli dal lastrico: sostituire il motore di una Chrysler di ultima generazione con uno elettrico mantenendo l'appeal rock'n'roll delle vecchie Dodge. Una serie di tentativi sbalestrati e fallimentari e una montagna di fraintendimenti rischieranno di minare la longeva amicizia e di far naufragare un grande amore.


Di film che portano sullo schermo storie di ordinarie corna ne è pieno il cinema: gelosia, amicizia, amore e tradimenti si mescolano in tutte le salse possibili, dal divertente all'amaro, dal grottesco all'indigesto happy end. Ne Il dilemma l'amour fou non è la sola sostanza e, per fortuna, non stritola i suoi protagonisti, ma è quasi un pretesto per la loro evoluzione, per un confronto con se stessi e con le proprie relazioni. La fluidità narrativa è la forza di questo piccolo melodramma sentimentale che sa conciliare con vigore amore e amicizia e conferma la capacità dello sceneggiatore Allan Loeb (Wall Street: il denaro non dorme mai) di dosare con equilibrio l'intreccio tematico principale e i sottotesti esplorati con grande intelligenza come la critica alla società consumistica americana e il senso del gioco di squadra mutuato dallo sport. Grazie alla raffinatezza delle battute e delle citazioni significative, ben incorporate nel racconto e affidate con sicurezza alla verve del duo Vaughn - James, Loeb riesce ad alternare le situazioni comiche ai momenti più drammatici - imperdibile l'exploit finale con la terapia di gruppo scaturito dall'insormontabile misunderstanding su cui verte l'intero film. Con Il dilemma il regista fa sua la lezione della commedia jarmuschiana in cui però il solito puzzle stralunato di situazioni inverosimili qui appare più composto, in linea con quel cinema di Hawks e di Capra cui Ron Howard ha sempre guardato.

Vince Vaughn che porta avanti la sua crociata contro il tradimento ai danni del suo miglior amico fa pensare al memorabile Russell Crowe in A Beautiful Mind, opera sicuramente più riuscita del buon Howard: Vaughn riesce a calibrare con talento e misura quella dose di straordinaria follia di cui il suo personaggio si carica quando la potenza dell'amicizia lo travolge e le rughe del suo viso sembrano contorcersi realmente e incontrollabilmente davanti al dubbio che lo tortura smaniosamente per tutta la durata del film. A consolidare la sua prova attoriale ci pensa l'intesa con Kevin James, che al fianco di Vaughn ricorda nello scarto fisico il Danny DeVito "gemello" improbabile di Arnold Schwarzenegger nella commedia di Ivan Reitman. La coppia regge con abilità le due ore de Il dilemma, ma lo spettatore non potrà dare prova di altrettanta resistenza di fronte a un durata davvero eccessiva per una trama tanto semplice.

La regia di Howard è inappuntabile nel congegnare una commedia agrodolce che sa aggirare i pasticci sentimentalisti ed esaltare con bravura i polverosi prototipi, vedi il ragazzone californiano tutto muscoli, niente cervello e troppi piagnistei interpretato da un sorprendente Channing Tatum. Quello che però rischia di schiacciare la buona riuscita dell'opera è l'andamento lento della storia, i cui risvolti arrivano a risvegliare l'interesse in sala solo negli ultimi frenetici minuti. Il picco finale in cui i protagonisti guardano nella macchina da presa e si rivolgono allo sguardo più attento è una mossa strategica di Howard che vale tutto il film, ma la tattica, anche se realizzata con precisione e piglio autoriale, non sempre paga. Specie quando la sala è gremita di un pubblico che si aspettava l'ennesima commedia romantica, ha perso la pazienza nell'attendere una svolta felice dei suoi personaggi e non può apprezzare l'imprevedibile soprassalto dell'energica spirale finale.