Seduto a tavola con gli allievi di un collegio religioso, Papa Pio IX mette alla prova la loro conoscenza della dottrina cattolica chiedendo il significato della parola "dogma"; è il piccolo Edgardo Mortara, dopo qualche istante di esitazione, a prendere la parola per spiegare che un dogma è una verità di fede da accettare senza porsi domande. Del resto per Edgardo, protagonista del film Rapito, la religione è una questione puramente dogmatica: un sistema di valori e di regole calato su di lui dall'alto, in cui era stato immerso da quando aveva sette anni e che, da allora, ha modellato la sua conoscenza di sé e del mondo, imponendogli un'unica, inesorabile prospettiva. E poco importa che da lì a breve tempo lo Stato Pontificio, il Regno che lo tiene 'prigioniero', sia destinato finalmente a crollare, dopo ben undici secoli di esistenza.
Sceneggiato da Marco Bellocchio insieme a Susanna Nicchiarelli (con il contributo di Edoardo Albinati e Daniela Ceselli) sulla base del libro di Daniele Scalise Il caso Mortara - La vera storia del bambino ebreo rapito dal Papa, Rapito torna a esplorare uno dei temi-chiave della filmografia del regista emiliano, oggi ottantatreenne: la religione come sovrastruttura a cui affidarsi con cieco abbandono o da respingere con furia iconoclasta. Quella furia che animava l'adolescente blasfemo al centro di Nel nome del padre (1972), ambientato esattamente cento anni dopo il rapimento di Edgardo Mortara, e l'illustratore fieramente ateo che, ne L'ora di religione (2002), si rifiutava di contribuire alla canonizzazione di sua madre. Per Bellocchio, insomma, il rigetto della religione può corrispondere a una forma di lotta contro il conformismo imperante o a una presa di distanze da un'ipocrisia collettiva, che spesso con la spiritualità ha poco o nulla a che spartire.
Il silenzio di Dio e la voce del Papa
Se dunque, ne L'ora di religione, la santificazione della madre è correlata all'opportunismo della famiglia Picciafuoco, in Rapito il casus belli della vicenda Mortara deriva proprio da una deformazione della fede: il battesimo compiuto sul neonato Edgardo dalla giovane domestica Anna Morisi nel timore che il bambino, appartenente a una famiglia ebrea, potesse finire nel limbo (e un battesimo 'clandestino' si consumava anche ne L'ora di religione). Al cristianesimo del popolo, ammantato di superstizione e ancora scandito da incomprensibili dogmi di matrice medievale, fa da contraltare quello dell'alto clero: l'inflessibilità disumana con cui Pier Gaetano Feletti, l'inquisitore domenicano interpretato da Fabrizio Gifuni, adempie le leggi dello Stato Pontificio, sottraendo Edgardo alla sua famiglia e rivendicando le proprie azioni al cospetto del tribunale; e l'affermazione di supremazia di Pio IX, l'ultimo Papa Re, che l'attore Paolo Pierobon trasforma in una maschera del potere di volta in volta melliflua o minacciosa, a seconda dell'occorrenza.
Rapito, recensione: il film di un regista completamente libero
Incarnazione di un'autorità al contempo spirituale e politica, Pio IX si materializza nel film come una figura paterna alternativa a quella del Salomone Mortara di Fausto Russo Alesi, che può mantenere i contatti con il figlio Edgardo solo piegandosi alle regole della Chiesa, e per il quale l'ipotesi di una conversione viene adombrata alla stregua del più vigliacco dei ricatti. Ma quale sentimento prevale in Edgardo? La fede nel Dio dei cristiani o la fedeltà al Pontefice-sovrano? Nell'unica scena onirica di Rapito, Edgardo assiste impietrito alla visione di un Cristo che scende dalla croce e, senza pronunciare neppure una parola, si allontana nella penombra: la cesura che segnala l'insorgere di una vocazione o, viceversa, una certificazione del "silenzio di Dio"? Assai più manifesto è il senso di sudditanza di Edgardo nei confronti di quel Papa che, attirandolo sotto il proprio mantello durante una partita a nascondino, esercita una sorta di vampirismo sul suo nuovo, inerme pupillo.
Lo Stato della Chiesa alla fine della decadenza
Si può discutere se Rapito sia o meno - e fino a che punto - un'opera anticlericale; fatto sta che, in questo dramma storico con sfumature e cadenze che rasentano il linguaggio dell'horror, il Pio IX di Paolo Pierobon assume i contorni di una tra le figure più bieche e apertamente 'mostruose' del cinema di Marco Bellocchio. Ferocemente aggrappato a un potere ormai in procinto di sgretolarsi, quando la gran parte dei suoi domini insorge contro di lui per unirsi al Regno d'Italia il Papa cade in preda all'epilessia, sintomo del tramonto di un'epoca sull'onda delle rivoluzioni risorgimentali. È la cornice storica della parte finale di Rapito: l'immersione nel dissidio di un Edgardo giunto alla soglia dei vent'anni, con il volto di Leonardo Maltese (comparso di recente ne Il signore delle formiche di Gianni Amelio), e avviato al voto del sacerdozio. Un "soldato di Cristo" contraddistinto da un'obbedienza talmente assoluta e acritica da spingerlo a rinnegare le proprie origini e gli affetti familiari.
Pertanto nel giorno della breccia di Porta Pia, mentre Roma viene liberata dalle truppe garibaldine, è la liberazione di Edgardo a fallire attraverso l'allontanamento di suo fratello, soldato nell'esercito regio. Eppure, Bellocchio ci suggerisce che perfino una coercizione così dura e totalizzante potrebbe non essere in grado di soffocare ogni istinto di ribellione. Lo slancio adorante di Edgardo verso il Pontefice sfocia in un (inconscio?) atto di violenza, immediatamente punito usando il simbolo del martirio come strumento di una crudele umiliazione (le tre croci tracciate dal ragazzo sul pavimento con la lingua). E la notte del 12 luglio 1881, mentre una folla urlante si scaglia contro la salma del Papa del Non expedit, per una manciata di secondi l'obbedienza di Edgardo è squarciata da una rabbia atavica, che esplode nel grido "Buttiamolo nel Tevere!": un'invettiva che ha la forza di una bestemmia, in una parentesi di lucida follia prima del ritorno a una sottomissione da cui forse non c'è via di fuga.