Vi ricordate di Antonella Boralevi? Qualche settimana fa aveva fatto discutere un suo articolo in cui affermava che non sarebbe andata a vedere Dogman di Matteo Garrone perché convinta che una tragedia come quella del Canaro della Magliana fosse "indagabile solo con le parole, senza la lusinga del corpo straziato, del sangue, delle viscere, dei pezzi di uomo". Detto che forse avrebbe fatto meglio a vedere il film, che è tutt'altro, prima di scrivere, probabilmente il film che la signora Boralevi ha immaginato esiste. Ed è uscito nelle nostre sale. Si chiama Rabbia furiosa - Er Canaro, e a dirigerlo è Sergio Stivaletti, nome storico del cinema horror italiano (suo il trucco di film come Phenomena e Demoni e la regia di M.D.C. - Maschera di cera).
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Stivaletti ha tratto spunto dalla stessa vicenda da cui è partito Garrone, l'omicidio dell'ex pugile Giancarlo Ricci a opera di Pietro De Negri, detto il Canaro della Magliana, avvenuto nel lontano 1988, ma anche lui ne ha fatto qualcosa d'altro, una storia sua. Fabio (Riccardo De Filippis), appena uscito da galera dopo gli otto mesi scontati per coprire l'amico Claudio (Virgilio Olivari), piccolo boss di quartiere, bipolare e violento, torna dalla famiglia e alla sua attività. Ha un negozio di toelettatura per cani, creature che ama, e a volte si trova a curare, quando gli portano dei cani feriti in combattimenti clandestini. Ma il rapporto con Claudio si fa sempre più complicato, è fatto di continue vessazioni, fino a che... beh, il finale è noto.
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Un altro film sul Canaro?
Chi non sa la storia che c'è dietro Rabbia furiosa potrebbe rimanere sorpreso dalla scelta di fare un altro film sullo stesso tema di Dogman di Matteo Garrone. Chi scrive l'ha scoperta proprio in occasione della sua uscita: era un'idea che Stivaletti coltivava da anni, un film che voleva fare a tutti i costi. La notizia che Garrone avrebbe iniziato a girare Dogman è stato lo sprone per portare a termine la sua sfida. E uscire praticamente in contemporanea con il suo film è una scelta, a livello artistico ma anche di marketing, azzeccata. Anche se non priva di rischi. Da un lato, sfrutti il tam tam mediatico legato al suo film, ai fatti del 1988, e ne trai sicuro beneficio. Dall'altro, ti esponi inevitabilmente a un confronto con il film di Garrone. Che poi confrontare i due film ha un senso, ma fino a un certo punto.
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Un western metropolitano
Il rapporto tra Dogman e Rabbia furiosa è quello che c'è tra Arte e Artigianato (nell'accezione più nobile del termine): film d'autore che si propone di scandagliare la natura umana il primo, film di genere, un western metropolitano (anche per la colonna sonora) il secondo, com'è giusto che sia. Ma le sorprese, nel film di Stivaletti, arrivano abbastanza presto: anche lui, come Garrone, lascia spazio alla resa dei conti solo nel finale (esattamente, negli ultimi dieci minuti), e utilizza gran parte del racconto per approfondire, far capire i rapporti tra le persone, raccontare i rapporti tra le persone, analizzare le motivazioni che hanno portato a tanta violenza. Rispetto a Garrone entra di più nelle dinamiche familiari del protagonista (qui c'è una moglie e una figlia, lì c'era solo il rapporto con la bambina, e in questo il film di Stivaletti è più vicino alla realtà), e cambia il punto di vista dei cani: osservatori increduli della follia umana in Dogman, vittime in Rabbia furiosa.
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Dieci minuti da manuale
In questo suo lavoro di approfondimento Stivaletti riesce meno bene di Garrone. Tutta la confezione è un po' televisiva o, se volete, retro, vicina a quel cinema degli anni Ottanta da cui Stivaletti viene. Il regista trova un protagonista all'altezza del ruolo, Riccardo De Filippis (era lo Scrocchiazeppi in Romanzo criminale), intenso e sfaccettato, una vera sorpresa. Non è al suo livello la controparte, Virgilio Olivari, che interpreta Claudio, l'amico vessatore. Per contro, ci sono molti caratteristi dalle facce da vecchio cinema, e una Romina Mondello (è la moglie Anna), sfiorita ad arte per il ruolo, ma ancora bellissima e intensa. Ma Stivaletti non riesce a tenere alta la tensione per tutta la durata del film - alcune situazioni sono reiterate e un po' scontate - e il risultato è di non creare la giusta empatia con i personaggi, fondamentale per arrivare con partecipazione all'atteso finale. Gli ultimi dieci minuti, annunciati da sprazzi di violenza nella seconda ora del film, sono da manuale: è lì che si esplicita tutto, è lì che viene fuori la maestria del maestro dell'horror Stivaletti, del trucco, degli effetti speciali.
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A History Of Violence
Ed è lì che il film può essere interessante per chi, nel film di Garrone, avrebbe voluto vedere la violenza, e non l'ha trovata. Rabbia furiosa è un film imperfetto, ingenuo, con molti limiti, ma anche onesto: la cifra di Stivaletti è questa, ed è giusto che la metta in scena.
Il film piacerà a chi ama un certo horror classico all'italiana. La violenza messa in scena è spettacolare, ma non compiaciuta né gratuita: quella del Canaro è una storia di violenza, e mostrarla è funzionale al racconto, oltre che giustificato dalle premesse.
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Rileggere un testo, come a teatro
Ma vedere Rabbia furiosa può essere interessante anche per chi volesse vedere come un testo viene messo in scena da due diverse sensibilità artistiche, due diverse ispirazioni. Le storie, si dice, sono sempre quelle. E ogni artista ne ha una propria visione. Che poi è una visione del mondo, e della vita. Da anni siamo abituati a pensare così il teatro, dove testi classici vengono portarti sul palcoscenico in infinite versioni diverse, e in fondo sta facendo la stessa cosa il cinema con le nuove mitologie, quelle dei supereroi che, in ogni reboot, passano attraverso la rilettura di artisti diversi. Se vi va, buona visione. Signora Boralevi, non è un film per lei.
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2.5/5