Se non sbaglio Marsellus, mio marito, il tuo capo, ti ha detto di portarmi a spasso e di fare tutto quello che voglio. E io voglio ballare, voglio vincere e voglio quel trofeo!
A una delle proiezioni di mezzanotte durante la quarantasettesima edizione del Festival di Cannes, sulla Croisette viene proiettato per la prima volta Pulp Fiction, secondo lungometraggio del trentunenne Quentin Tarantino. La reazione non potrebbe essere più entusiastica: Pulp Fiction si dimostra come qualcosa di completamente inedito nel panorama del cinema americano di fine millennio e conferma il talento strabordante del giovane autore de Le iene, il quale approda a Cannes in compagnia di un cast gigantesco. L'irridente omaggio al filone hard-boiled, realizzato attraverso un affresco corale del sottobosco di Los Angeles infrangendo la linearità narrativa e cronologica, conquista la giuria presieduta da Clint Eastwood e Catherine Deneuve, aggiudicandosi la Palma d'Oro come miglior film. Il resto, come ben sappiamo, è storia: non solo storia del cinema, ma del costume e della cultura di massa.
Pulp Fiction: i 25 anni di un fenomeno senza tempo
Spalleggiato dalla Miramax dei fratelli Weinstein, Pulp Fiction debutta nei cinema statunitensi il 14 ottobre (e da lì a pochi giorni in tutto il resto del mondo), galvanizzando il pubblico e registrando incassi record: oltre duecento milioni di dollari a livello internazionale e più di cinquanta milioni di spettatori. Il film riceve sette nomination agli Oscar e farà guadagnare a Quentin Tarantino e Roger Avary il premio per la miglior sceneggiatura originale, insieme a moltissimi altri riconoscimenti. Ciò che più conta, tuttavia, è l'influenza esercitata da Pulp Fiction nel corso dei 25 anni a venire: dal suo ingresso di prepotenza nel nostro immaginario collettivo - a partire dall'iconico poster con Uma Thurman sdraiata con una sigaretta fra le dita - all'affermazione di un modello, stilistico e produttivo, da lì in poi imitatissimo nel cinema contemporaneo.
Nel quarto di secolo dalla sua uscita, la pellicola di Tarantino è stata uno degli 'oggetti' più ammirati e studiati da accademici e cinefili: una sorta di UFO di cui resta difficile cogliere il segreto, quella misteriosa "armonia del caos" che l'enfant prodige Quentin riuscì a produrre con precisione millimetrica. Travolgente e iconoclasta, Pulp Fiction è un film che vive delle proprie contraddizioni: la compenetrazione fra presente e passato, fra umorismo e violenza, fra eleganza e brutalità. Antinomie espresse perfettamente dalla macrosequenza della serata di Vincent Vega e Mia Wallace, i due personaggi interpretati da John Travolta e Uma Thurman: una macrosequenza di circa trenta minuti che proviamo a rievocare di seguito con le tre scene cult in musica e relative canzoni che costituiscono le fasi principali della folle nottata di Vincent e Mia.
Son of a Preacher Man - il primo incontro
L'ingresso di Vincent Vega nella villa del boss della malavita Marsellus Wallace è accompagnato dalle note di uno dei classici del repertorio di Dusty Springield, l'intramontabile Son of a Preacher Man. Mia, la moglie del boss, viene mostrata di spalle, mentre utilizza un altoparlante (la reazione confusa di Vincent sarà immortalata invece, anni più tardi, dal popolarissimo meme di John Travolta), e poi attraverso una serie di primissimi piani di alcune parti del suo corpo: le labbra color rosso scuro, le mani impegnate a tagliare strisce di cocaina e infine i piedi scalzi che si dirigono in salotto. Sarà soltanto nella scena successiva, con Vincent e Mia in auto insieme, che avremo la possibilità di vedere il volto della ragazza.
La voce carezzevole di Dusty Springfield costituisce il sottofondo ideale per questo primo, bizzarro incontro fra il gangster impacciato e la giovane moglie del suo capo. Nell'ottica del gusto postmoderno Tarantino gioca spesso con gli accostamenti fra epoche diverse, e l'intera macrosequenza di Vincent e Mia è immersa in un'atmosfera che richiama gli anni Cinquanta e Sessanta. Son of a Preacher Man, tratta dall'album del 1968 Dusty in Memphis, offre il racconto della seduzione operata dal "figlio del pastore" dal punto di vista della sua 'preda', un punto di vista vagamente complice e malizioso: e tale malizia si estende alle dinamiche fra Vincent e Mia, benché sia quest'ultima ad avere il pieno controllo della situazione.
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You Never Can Tell - la gara di ballo
Il Jack Rabbit Slim's, il variopinto locale in cui Mia si fa condurre da Vincent, è non a caso un trionfo del postmoderno, ed è anche il teatro della sequenza più giustamente celebre di Pulp Fiction: il ballo dei due personaggi sulla musica di You Never Can Tell, trascinante brano di Chuck Berry del 1964 (una canzone a cui Tarantino avrebbe regalato un'imperitura fama). Introdotta da un animatore in giacca e cravatta dall'aspetto alquanto grottesco, affiancato da una sosia di Marilyn Monroe, la gara di twist non è solo una parentesi di scatenata vivacità nell'ultraviolenza di tutto il resto del film, ma un momento di cinema di straordinaria forza iconica.
Perché la sequenza di per sé, nella sua semplicità, è un piccolo capolavoro: l'espressione seria e assorta dei due ballerini, i movimenti sicuri di una coreografia che avrebbe fatto scuola, e ovviamente il look inconfondibile della Thurman, con pantaloni neri, camicia bianca e il caschetto corvino alla Louise Brooks; il tutto su una melodia dal fascino squisitamente vintage e dal ritmo assolutamente irresistibile.
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Girl, You'll Be a Woman Soon - in overdose
Dalla leggerezza di Chuck Berry ai toni ben più intensi ed enfatici del brano che Mia Wallace fa partire dallo stereo al suo rientro a casa insieme a Vincent, per poi abbandonarsi a una solitaria danza al centro del salotto: Girl, You'll Be a Woman Soon. Composta e incisa in origine da Neil Diamond nel 1967, la canzone è stata poi registrata nel 1992 dalla rockband Urge Overkill: ed è questa cover a essere stata usata da Quentin Tarantino nella scena in questione. Nel frattempo Vincent, in bagno, riflette ad alta voce sulla propria exit strategy, intenzionato a sfuggire a un eventuale tentativo di seduzione ("Infili la porta, entri in macchina, vai a casa, ti fai una sega e finisce la storia"), ma Mia ha tutt'altre preoccupazioni: alcool, sigaretta, l'estasi della musica e l'ennesimo tiro di cocaina.
Tutta la scena è imperniata sul contrasto che avrà luogo subito dopo: la comicità del buffo monologo di John Travolta davanti allo specchio e, nel consueto montaggio alternato, l'overdose che colpisce Mia, con lo sguardo privo di coscienza e un rivolo di sangue che le scende dalla narice. E in questo primo piano di Uma Thurman i versi del brano, cronaca della tenera educazione sentimentale di un'adolescente, assumono all'improvviso una valenza drammatica e beffarda, inesorabile marchio di fabbrica dell'ironia tarantiniana: "Girl, you'll be a woman soon/ Please, come take my hand/ Girl, you'll be a woman soon/ Soon, you'll need a man".
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