Circondato da un mare di donne, Pedro Almodóvar fa il suo ingresso trionfale al Festival di Cannes con il suo nuovo lavoro, Julieta, enigmatica pellicola che racconta la storia di una madre piegata dall'esistenza. A differenza di altri maestri come Woody Allen o Steven Spielberg, che hanno chiesto esplicitamente di presentare le loro opere fuori concorso, Pedro non teme il giudizio della giuria e accetta volentieri il concorso, anzi, lo cerca volutamente. Schernendosi dichiara: "Non ho il talento di Woody Allen o Steven Spielberg. Rispetto ogni opinione, ma mi piace essere in concorso. Voglio che il mio film sia visto dal maggior numero di persone possibile e il concorso garantisce la massima attenzione da parte dei media e poi è molto più eccitante".
A sessantasette anni Almodovar ha all'attivo venti film realizzati in quarant'anni di carriera. Un periodo di tempo in cui il regista spagnolo ammette di "non aver cambiato molto le mie abitudini. Mi accosto ai film nella stessa maniera, ciò che cambia radicalmente è la storia". Stavolta, per la sua nuova pellicola, ha aderito a una fonte di ispirazione letteraria, tre racconti brevi della scrittrice canadese Alice Munro contenuti nella racconta In fuga. "Alice Munro è una casalinga che ha passato la vita a scrivere. Stando a casa e occupandosi della famiglia aveva molto tempo per pensare. Un po' come faccio io quando non scrivo. Le tre storie erano indipendenti, ma io ho deciso di intrecciarle e di spostare il tutto da Canada alla Spagna. In un primo tempo avevo valutato l'ipotesi di girare a New York, città che conosco meglio del Canada, ma non mi sentivo a mio agio con la lingua inglese. E poi la cultura anglosassone, in cui i figli escono di casa dopo gli studi rendendosi indipendenti, è molto lontana da quella spagnola dove il legame è molto forte anche in età adulta".
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Nel mondo rarefatto di Alice Munro
I racconti di Alice Munro hanno fornito a Pedro Almodovar lo spunto per raccontare una nuova storia al femminile, forte e drammatica. A differenza di altri personaggi da lui creati, stavolta il regista ha concentrato l'attenzione su una madre vulnerabile, passiva, sofferente e con minor capacità di combattere. Julieta resiste passivamente alla disperazione mentre si lecca le ferite inferte dalla vita. Come Ammette Almodovar: "Non credo nella punizione per gli sbagli commessi, ma purtroppo a volte la vita ci punisce". A condividere il compito di incarnare questa donna in due età diverse sono le attrici Emma Suárez e Adriana Ugarte. "All'inizio non sapevo che avrei usato due attrici diverse. Mentre lavoravo alla versione ambientata a New York ho incontrato un'attrice americana che si è resa disponibile, era felice di lavorare con me, ma non mi sentivo sicuro a usare l'inglese. Così ho capito che dovevo trasporre la storia in Spagna usando due attrici diverse. Adriana è Julieta cresciuta, indipendente, forte, giovane, mentre Emma è la Julieta matura che ha vissuto tante esperienze, ha sofferto, e il trucco che usa non può coprire le ferite interiori".
A parlare sono le due protagoniste, che vanno a unirsi alla lunga galleria di muse del cinema di Pedro Almodovar. Emma Suarez racconta la difficoltà nella preparazione del ruolo: "Ho dovuto nascondermi in un luogo triste. Mi sono prerarata con il trucco e i costumi, ma soprattutto costruendo la solitudine del mio personaggio. Pedro mi ha fornito tanti stimoli. Ho letto Emmanuel Carrère, ho visto e rivisto Europa 51, The Hours, mi sono ispirata a Jeanne Moreau, ho creato un universo di solitudine". Le fa eco Adriana Ugarte: "Prima di girare abbiamo sostenuto lunghe prove per riuscire a vivere i nostri personaggi. Pedro era una fucina di idee, reinventava i personaggi ogni giorno per stimolarci a farli nostri".
Un dramma in technicolor
Se stavolta l'input per la sua nuova storia è la matrice letteraria - e il regista non cessa di lodare l'attenzione ai dettagli e al realismo di Alice Munro misti a quella dimensione sospesa e misteriosa che tanto l'ha intrigato - a livello visiva Julieta porta impresso il marchio di Almodovar nell'uso del colore. Interrogato sulla sua passione per i colori accesi, Almodovar ammette di essere "un figlio del technicolor. I primi film che ricordo erano in technicolor con colori vibranti, brillanti e forti contrasti. Ho sempre voluto riprodurre quel tipo di colore nei miei film. In più, essendo figlio degli anni '60, mi sono formato sulla Pop art. Questa formazione influenza il mio uso dei colori, da Donne sull'orlo di una crisi di nervi in poi. E poi mia madre vestiva di nero per rispetto delle tradizioni che le erano state imposte da piccola. Io trovavo queste tradizioni orribili perciò mi sono ribellato con l'uso del colore".
Il colore e l'attenzione alla costruzione degli ambienti sono parte ingrante nel cinema drammatico di Pedro Almodovar. Riflettendo sulla natura del melodramma e sulla sua declinazione in salsa spagnola il regista parla scherzosamente di "Almodrama". "Una volta Caetano Veloso mi ha detto che sono un regista brasiliano. Credo che abbia ragione, vista la natura barocca dei miei melodrammi. I miei film contengono un sacco di canzoni, personaggi con caratteri forti, non esiste il pudore nel modo in cui sviluppiamo i personaggi. Con Julieta volevo creare un dramma rigoroso, cupo, perché questa era la storia che mi chiedeva di essere trattata così". Anche stavolta un ruolo essenziale lo ricopre la musica composta dal fedele Alberto Iglesias. "Collaboriamo insieme da vent'anni ed è un essere umano meraviglioso" spiega Almodovar. "Quando ha visto il premontato mi ha detto che per lui non serviva nessuna musica. Per tre mesi ci siamo scervellati per trovare il film conduttore musicale giusto. Abbiamo ascoltato tanta musica. Alla fine a ispirarsi è stata la score di Ran di Kurosawa, a sua volta influenzata da Mahler. La canzone che conclude il film, invece, è della grande Chavela Vargas. Il mio film non termina con un classico lieto fine, perciò pensavo fosse appropriato chiudere con questa canzone che contiene le parole più belle e più adatte alla mia storia".
"La mia vita nei miei film"
Nonostante l'estrema vitalità che lo caratterizza, anche per Almodovar il tempo passa e il regista non fatica ad ammetterlo. "Non mi sento vecchio, ma il tempo è passato anche per me. La vecchiaia non è una malattia, è un massacro. Qualche anno fa non sarei stato in grado di girare Julieta, ma ora ho 67 anni. Non sono un nostalgico, ma mi manca la mia giovinezza. Mi mancano gli anni '80. Ho dovuto fare scelte di vita noiose per preservare la mia salute, è necessario se vuoi continuare a lavorare".
Inevitabile che, a poche settimane dallo scandalo dei Panama Papers, l'eco degli strascichi dell'inchiesta arrivi anche a Cannes visto che i nomi di Pedro Almodovar e del fratello Agustín sarebbero nella fatidica lista. Il regista, però, non ci sta al linciaggio mediatico e specifica: "Se i Panama Papers fossero un film io e Agustin saremmo due comparse, ma la stampa spagnola ci ha sbattuto in prima pagina come se fossimo noi i principali colpevoli, non so neanche cosa mi si contesti. C'è un'indagine in corso e non so cosa accadrà, ma spero che questo non distolga il pubblico dall'andare a vedere il mio film". Il regista, gelosissimo del proprio privato, ammette poi di essere contrarissimo all'idea di scrivere un'autobiografia, ma anche dall'accettare che altri scrivano libri sulla sua vita. "Non permetto che altri si occupino del mio privato. Anzi, vi prego, che a nessuno venga in mente di scrivere un libro su di me. La mia vita è tutta nei venti film che ho fatto. C'è una parte di me in ogni personaggio. Il mio cuore è nell'età più matura di Julieta".