"Go big or go extinct". Così recitava la tag line di Pacific Rim nella campagna promozionale del 2013, una catch phrase tanto precisa che Ramin Djawadi decise di titolare allo stesso modo il main theme della colonna sonora. Usciva ormai dieci anni fa il film più grosso e mostruoso di Guillermo del Toro, pure il suo più scatenato, reboante e divertito trattato cinematografico sul cinema mainstream contemporaneo, forse addirittura l'operazione d'americanizzazione live action di contenuti anime tipicamente giapponesi più riuscita del settore.
Messa infatti da parte la regia de Lo Hobbit e decaduta la possibilità di trasporre Alle montagne della follia di H.P. Lovecraft, il regista messicano si avvicinò a questo progetto acquistato da Legendary Pictures che prometteva di riscrivere le regole dei monster movie hollywoodiani, non senza perplessità. Gli fu però subito chiaro il potenziale visivo del prodotto e le possibilità fino a quel momento inesplorate che offriva un film del calibro di Pacific Rim, accettando la sfida e confezionando un'opera ancora oggi imbattibile per portata e scopo, nonostante le decine di lungometraggi di genere prodotti dagli studios o fuori dai confini americani. Un decennio di dominio incontrastato che va in qualche modo spiegato.
Il recupero della tradizione
Pacific Rim usciva al cinema un anno prima del rilancio di Godzilla firmato Gareth Edwards. Arrivava dopo anni di vuoto mainstream nel genere, almeno in termini di budget e diffusione, affidato inoltre alle mani di un regista sulla cresta dell'onda per Il Labirinto del Fauno e per il magnifico lavoro con la trasposizione di Hellboy. L'obiettivo era quello di rilanciare in occidente la tradizione dei kaiju movie dopo che Roland Emmerich contribuì a fiaccarla con il suo Godzilla d'estrazione spielbergiana e per questo profondamente americaneggiante. Il valore aggiunto era però la volontà di guardare tanto ai mostri della Toho quanto a stilemi contenutistici e visivi degli anime a tema mecha o robottoni quali Gundam o Goldrake ma soprattutto Evangelion e Aquarion. Il punto era riuscire a tradurre in live action spettacolo e tematiche di quelle serie animate, specie guardando alla profondità dei rapporti umani e al messaggio di collaborazione insito in quelle storie.
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Già Godzilla era pensato per risanare attraverso l'intrattenimento le ferite della seconda guerra mondiale, ma l'evoluzione del genere poi operata da Evangelion arrivava a riflettere sulla centralità dell'unione per sconfiggere il male, nobilitando elementi quali empatia e introspezione psicologica pur regalando azione memorabile. Guillermo del Toro prese tutto questo pacchetto d'ispirazioni e lo trascinò di peso in Pacific Rim, centrando il racconto sull'essenzialità dei rapporti umani senza dimenticare la rilevanza di uno spettacolo cinematografico rivoluzionario ed esaltante, cercando poi di calibrare alla perfezione l'equilibrio tra azione e narrazione nel tentativo di servire al contempo storia e intrattenimento.
Mostri e guerrieri
Robot e mostri giganti erano così schierati per la prima volta faccia a faccia sul grande schermo in un'operazione hollywoodiana da 200 milioni di dollari, forti della passione di Del Toro e del suo cinema profondamente introverso e analitico della natura umana, impossibile per questo da licenziare come una semplice "americanata" senz'anima, invece ricco di momenti sensazionali e di una cura estetica encomiabile. Ogni Jaeger aveva la sua forma e il suo peso specifico e a questi rispondevano modelli d'attacco e movimenti, dando carattere e personalità a ognuno di loro. La lentezza dei colpi non era studiata in chiave realistica, piuttosto per restituire allo spettatore quella sensazione di mastodontico clangore in scala, dando così gravits specifica alla difficoltà di pilotare quelle macchine da guerra straordinarie. Del Toro introdusse poi una nomenclatura derivativa ma a sé stante: drop, stretta di mano neurale, cannone al plasma e così via. Per buona pace dei detrattori, Pacific Rim è stato qualcosa di realmente sontuoso e leggendario nella storia dei blockbuster moderni, insieme derivativo e originale e deciso a dare lettura unica e finora inimitabile del genere in chiave cinematografica.
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Nemmeno il sequel, Pacific Rim: La Rivolta, è riuscito a intercettare l'ideale stilistico di Del Toro, incapace di comprendere l'essenza del cinema dell'autore e le sue scelte, spesso necessarie per coprire dei difetti di computer grafica, altre invece di puro estro per inquadrare nel migliore dei modi gli scontri tra Jaeger e Kaiju. La lunga sequenza corpo a corpo ambienta ad Hong Kong resta tutt'ora inarrivabile per concezione, struttura, portata e chiarezza, incorniciata nella pioggia battente a nei colori sparati dei neon, con l'intera città ring di battaglia e dove tutto diventa arma e di conseguenza esaltazione e spettacolo. Per quanto incredibile, da dove credete che venga la scazzottata finale di Godzilla vs. Kong? Da Pacific Rim, ovviamente. Eppure non riesce nemmeno per un secondo a reggere su schermo lo stupefacente respiro d'epica e clamore generato otto anni prima dal film di Del Toro. Non c'è MonsterVerse che tenga né sequel di regista altro capace di sostenere la sfida. Semplicemente non c'è, perché la verità è che Pacific Rim è diventato talmente grande e impressionante da estinguersi in fretta, almeno per come lo abbiamo imparato a conoscere e amare secondo criterio deltoriano.