Una nuova, raffinatissima firma del cinema giapponese accanto a quattro grandi nomi della scena internazionale, ovvero quattro registi che da decenni danno ripetutamente prova del proprio talento. È una cinquina di lusso, insomma, quella per l'Oscar 2022 come miglior regista: cinque candidati che, nel corso dell'attuale awards season, sono stati oggetto di un autentico plebiscito, benché a scapito di un altro concorrente di valore quale Denis Villeneuve, rimasto fuori dalla rosa dell'Academy a dispetto delle dieci nomination per il suo Dune. E in attesa della notte degli Oscar in programma per il 27 marzo, andiamo a conoscere più da vicino i cinque cineasti selezionati quest'anno per il premio alla miglior regia, e presentati di seguito in ordine ascendente di 'papabilità' nelle votazioni dei membri dell'Academy.
5. Ryusuke Hamaguchi, Drive My Car
Come sappiamo, dal 2019 il cosiddetto directors branch ha mostrato un notevole interesse per il cinema internazionale, includendo almeno un candidato per un film in lingua non inglese: dopo Alfonso Cuarón e Pawel Pawlikoswki nel 2019, Bong Joon-ho nel 2020 e Lee Isaac Chung e Thomas Vinterberg nel 2021, quest'anno è stata la volta del giapponese Ryusuke Hamaguchi. Approdato alla ribalta festivaliera grazie al bellissimo Il gioco del destino e della fantasia, Hamaguchi si è aggiudicato una prevedibile (ma non certo scontata) nomination all'Oscar come miglior regista per il magnifico Drive My Car: una toccante riflessione esistenziale mediante una dichiarazione d'amore per Anton Cechov e per il teatro, la forma d'arte attraverso la quale il protagonista riuscirà a entrare in comunicazione e in empatia con un piccolo gruppo di personaggi.
Già lodatissimo al Festival di Cannes 2021, Drive My Car ha conquistato la critica anche sull'altra sponda dell'Atlantico, arrivando a mettere a segno ben quattro nomination agli Oscar, tra cui miglior film e miglior film internazionale. E mentre quest'ultima statuetta in pratica è sotto ipoteca, la nomination per la regia costituisce già di per sé un immenso riconoscimento per Ryusuke Hamaguchi e per la sua capacità di esplorare stati d'animo e sentimenti con una spontaneità e una profondità che lasciano ammirati.
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4. Paul Thomas Anderson, Licorice Pizza
Dopo Il petroliere e Il filo nascosto, Paul Thomas Anderson ha ricevuto la sua terza nomination all'Oscar come miglior regista per Licorice Pizza, che gli è valso pure le candidature per il miglior film e la miglior sceneggiatura originale. In assoluto fra i più importanti autori emersi nel cinema americano dell'ultimo quarto di secolo, Paul Thomas Anderson si è cimentato con opere di genere molto diverso, pur mantenendo sempre fede alla propria poetica e alle peculiarità del suo approccio stilistico. E in Licorice Pizza il regista californiano si confronta con il filone del coming of age, dipingendo un immersivo spaccato dell'America di metà anni Settanta, cornice del tira e molla sentimentale fra i personaggi interpretati da Alana Haim e Cooper Hoffman.
Anche questa sua nuova fatica ha entusiasmato critici e appassionati, permettendo a Paul Thomas Anderson di tornare in competizione per gli Oscar principali: un risultato ancor più encomiabile se consideriamo il carattere 'sofisticato' (nel senso migliore del termine) del cinema di Anderson, ormai canonizzato a pieno titolo fra i massimi registi della nostra epoca.
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3. Kenneth Branagh, Belfast
Se Paul Thomas Anderson si è proposto, fin dagli esordi, come uno sperimentatore che ha puntato a rinnovare i codici della New Hollywood, si muove invece nel solco di un solido classicismo il britannico Kenneth Branagh, esploso alla fine degli anni Ottanta come l'ideale erede di Laurence Olivier. Noto innanzitutto per i suoi fortunati adattamenti shakespeariani, il sessantunenne Branagh ha appena stabilito un record assoluto nella storia dell'Academy: nel corso della sua carriera ha collezionato otto nomination in un totale di ben sette categorie distinte, più di chiunque altro. E Belfast, opera di ispirazione autobiografica ambientata in Irlanda del Nord all'insorgere dei Troubles, gli ha permesso di collezionare le candidature per il miglior film, la miglior sceneggiatura originale e, appunto, la miglior regia, a trentadue anni di distanza dalla sua prima nomination da regista per Enrico V.
Girato quasi interamente in bianco e nero per accentuare le suggestioni di un'infanzia dai contorni quasi mitici, Belfast è stato uno di quei titoli in grado di mettere d'accordo pubblico, critica e membri delle giurie, tanto da essere entrato nell'attuale awards season come potenziale favorito: un'impressione confermata dai consensi trasversali riscossi da Kenneth Branagh fra le varie giurie dei premi, fino al "bacio accademico" degli Oscar.
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2. Steven Spielberg, West Side Story
Se c'è un cineasta che poteva riuscire in un'impresa proibitiva, ovvero riportare al cinema West Side Story a sessant'anni di distanza dal capolavoro di Robert Wise e Jerome Robbins senza sfigurare al cospetto dell'originale, questi è Steven Spielberg. A settantacinque anni, il 'papà' de Lo squalo ed E.T. l'extra-terrestre aggiunge così un'altra meraviglia alla sua inestimabile filmografia; e per quanto il responso al box office, complice pure l'emergenza pandemica, sia stato tutt'altro che positivo (appena settantacinque milioni di dollari), il valore di questa nuova trasposizione del celebre musical teatrale è assolutamente innegabile. Tanto che l'Academy, per fortuna, ha dimostrato per West Side Story un interesse in proporzione più alto rispetto al pubblico, tributandogli sette nomination.
Per Steven Spielberg si tratta dell'ottava nomination all'Oscar come miglior regista: un traguardo che lo mette a pari merito con Billy Wilder e che, finora, è stato superato solo da William Wyler (dodici nomination) e Martin Scorsese (nove). In due occasioni Spielberg si è aggiudicato la statuetta per la regia: nel 1994 per Schindler's List e nel 1999 per Salvate il soldato Ryan. Quasi certamente stavolta non riuscirà a ripetere l'impresa, ma qualora dovesse verificarsi un colpo di scena nella categoria, il concorrente più temibile sarebbe lui.
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1. Jane Campion, Il potere del cane
È estremamente difficile, tuttavia, che la sfida per l'Oscar abbia un esito diverso dai pronostici: dopo aver vinto il Golden Globe, il Directors Guild Award, il BAFTA e una quantità incalcolabile di trofei della critica, Jane Campion si accinge infatti ad essere insignita dell'Academy Award per la miglior regia grazie al magnifico Il potere del cane. Il nuovo lungometraggio della regista neozelandese, che arriva a ben dodici anni di distanza da Bright Star, è la trasposizione dell'omonimo romanzo di Thomas Savage: un cupo dramma familiare ambientato nei paesaggi western del Montana, scenario di tensioni, rivalità e passioni inespresse. Applauditissimo dalla critica fin dalla sua presentazione alla Mostra di Venezia, Il potere del cane ha raccolto ben dodici nomination agli Oscar e ha permesso a Jane Campion di diventare la prima donna candidata per due volte al premio per la regia.
Nel 1994 la Campion aveva portato infatti in competizione agli Oscar Lezioni di piano, che le era valso la statuetta per la sceneggiatura; quell'anno, il premio per la regia era stato assegnato invece proprio a Spielberg. Lo stesso duello si ripeterà a quasi tre decenni di distanza, ma ora l'incoronazione di Jane Campion appare pressoché scontata: è lei, senza alcun dubbio, la vincitrice annunciata dell'Oscar 2022.
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