West Side Story, la recensione: come aggiornare un classico

La nostra recensione di West Side Story, il film con cui Steven Spielberg corona il sogno di una vita firmando un musical a tutto tondo.

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West Side Story: la prima foto ufficiale del cast

A sei decenni dall'uscita nelle sale della prima trasposizione cinematografica, arriva sul grande schermo un nuovo adattamento di una delle pietre miliari del musical di Broadway, ed è di questo che parliamo nella nostra recensione di West Side Story, rifacimento targato 20th Century Studios (ora un ramo della Disney) che è anche il lungometraggio più recente di Steven Spielberg, grande appassionato dell'originale teatrale sin dall'infanzia (il film è dedicato al padre del cineasta, che gli fece scoprire la colonna sonora ai tempi ed è morto durante la lavorazione). Un lavoro classico e al contempo attualissimo, il tipo di spettacolo vibrante che merita lo schermo più grande possibile, ma anche un'opera intrisa di un'involontaria malinconia: è tra gli ultimi progetti a cui ha lavorato il grande paroliere Stephen Sondheim, scomparso pochi giorni prima della grande première del film al Lincoln Center di New York.

Accadde negli anni Cinquanta

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West Side Story: un momento del film

La storia di West Side Story la conosciamo tutti, e il nuovo adattamento non la stravolge per quanto riguarda i tratti salienti: siamo sempre nella Grande Mela, nel 1957, e le tensioni tra i Jets, di estrazione bianca, e gli Sharks, di origine portoricana, sono ai massimi storici a causa dei lavori in corso che renderanno difficile per entrambe le fazioni occupare certe zone della città. I due leader, Riff (Mike Faist) e Bernardo (David Alvarez), non vorrebbero altro che scannarsi a vicenda, e presto la situazione peggiorerà al punto da richiedere uno scontro aperto tra i due gruppi. Il fattaccio? L'attrazione fra Maria (Rachel Zegler), sorella minore di Bernardo, e Tony (Ansel Elgort), migliore amico di Riff che sta cercando di rigare dritto dopo aver scontato una pena carceraria. La sfida, a suon di pugni e coreografie, invaderà le strade del West Side, e a ben poco serviranno gli interventi della polizia, rappresentata principalmente dal tenente Schrank (Corey Stoll) e dall'agente Krupke (Brian d'Arcy James)...

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Tornare a casa

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West Side Story: Rita Moreno in una scena

Da diversi decenni Steven Spielberg ha reso chiaro il suo desiderio di realizzare un vero e proprio musical, comunicandolo esplicitamente soprattutto con apposite sequenze in film come 1941 - Allarme a Hollywood e Indiana Jones e il tempio maledetto (ma anche in modo più sottile in un lavoro come Prova a prendermi, che già nei titoli di testa propone il rapporto antagonistico tra Frank Abagnale Jr. e Carl Hanratty come stilizzato numero musicale). Ed era destino che il suo percorso lo portasse a uno dei classici del teatro statunitense, andato in scena per la prima volta nell'autunno del 1957, quando il cineasta aveva dieci anni. Un classico che è anche un ritratto della New York dell'epoca, che Spielberg e lo sceneggiatore Tony Kushner (alla terza collaborazione con il regista dopo Munich e Lincoln) evocano con una certa ironia nella sequenza d'apertura, alludendo alla futura costruzione del Lincoln Center, uno dei principali luoghi di cultura della Grande Mela (tra le altre cose partecipa attivamente al New York Film Festival, appuntamento autunnale imprescindibile per i cinefili statunitensi). Un'allusione puramente visiva, con un approccio che ricorda in parte i titoli di testa di Angels in America, la miniserie che portò sullo schermo il più noto testo teatrale di Kushner.

Steven Spielberg, il demiurgo dei sogni

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West Side Story: uno spettacolare scatto tratto dal film

E proprio l'apparato visivo è ciò che maggiormente distingue l'operato di Spielberg dal West Side Story del 1961, dove il regista Robert Wise affiancò il coreografo originale Jerome Robbins per ricreare il più fedelmente possibile l'estetica di Broadway sullo schermo. Nella nuova versione, che aderisce maggiormente al testo (alcune canzoni, che nel film precedente erano state spostate per ragioni drammaturgiche, sono tornate dove erano in origine, come nel caso di I Feel Pretty), il lavoro di Justin Peck - uno dei più noti coreografi di oggi - si rifà a quello di Robbins solo per alcune, strategiche inquadrature, proponendo per lo più nuove composizioni visive per i vari numeri canori. Numeri che, complice la fotografia caldissima di Janusz Kaminski e la consulenza di John Williams per le musiche, danno a questo revival - termine che non usiamo a sproposito, trattandosi di quello adoperato in ambito teatrale per le nuove rappresentazioni di classici affermati - una vitalità tutta sua, un'energia libera e travolgente, dove tutto è messo in scena con la passione di chi non può fare a meno di inseguire i propri sogni, che si tratti dei personaggi o del regista.

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Una ragazza di nome Maria

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West Side Story: Rachel Zegler in un'immagine del film

È un film d'epoca ma non nostalgico, che aggiorna laddove necessario. Persino il ritorno in scena di Rita Moreno, che ai tempi vinse l'Oscar per il ruolo di Anita, va oltre l'ammiccamento per regalarci un personaggio nuovo (Valentina, vedova di Doc che in questo adattamento è assente), anima dolente che cerca di spingere le nuove generazioni verso un futuro più luminoso. E la luce principale è la nuova Maria, la scoperta Rachel Zegler, che dopo aver interpretato il ruolo a teatro esordisce sul grande schermo con una spontaneità che rende perfettamente accessibile ogni sfumatura della sua performance anche qualora i dialoghi non fossero di immediata fruizione (per volere di Spielberg, le battute in spagnolo - che rimangono tali anche nei doppiaggi internazionali - non sono mai sottotitolate). Una piccola grande rivelazione, volto di un giovane cast che, a differenza del conflitto tra Jets e Sharks, ha tutte le carte in regola per andare incontro a un avvenire molto positivo.

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West Side Story: Ansel Elgort in una foto del film

Diverso il discorso per Tony, unica nota un po' stonata in tutta l'operazione, dato che lo stile tipicamente distaccato di Elgort - che andava bene in Colpa delle stelle o Baby Driver - Il genio della fuga perché funzionale ai personaggi in questione - cozza con l'inarrestabile frenesia del film, dove tutti sono mossi da una carica vitale che a lui manca, salvo alcuni momenti legati a singole canzoni (come per altri musical cinematografici recenti, la colonna sonora è un mix di registrazioni in studio ed esibizioni dal vivo sul set). Ma è, appunto, l'unica nota dolente all'interno di una vera e propria sinfonia che unisce teatro e cinema in modo organico ed energico, generando un'esplosione di creatività che trasuda amore per la musica, la danza, la settima arte e le infinite potenzialità di tutti questi elementi messi insieme. È un canovaccio noto, ma con una carica di attualità travolgente. Il sogno di una vita, per Spielberg, che si avvera in tutto il suo splendore, lungo le strade della New York che fu.

Conclusioni

Chiudiamo la recensione di West Side Story, sottolineando come l'aggiornamento del celebre musical sia anche un grande sogno che si avvera per Steven Spielberg, alle prese con un genere che ha sempre amato, e con risultati travolgenti.

Movieplayer.it
4.5/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • Le coreografie danno al film una vitalità impressionante.
  • I giovani attori sono quasi tutti perfetti nei rispettivi ruoli.
  • Rita Moreno ruba la scena a gran parte del cast con una parte breve ma intensa.
  • La ricostruzione della New York di ieri è visivamente sbalorditiva.

Cosa non va

  • Ansel Elgort non è mai del tutto convincente nei panni di Tony.