Old: 20 anni di Shyamalan twist. La struttura narrativa e i colpi di scena dei suoi film

Non solo twist ending: in occasione dell'uscita di Old, dal 21 luglio al cinema, ripercorriamo la carriera di M. Night Shyamalan per capire la struttura narrativa dei suoi film e il senso dei suoi colpi di scena.

Old M Night Shyamalan
Old: M. Night Shyamalan sul set

Si scrive M. Night Shyamalan, si legge twist ending. Parliamo del finale a sorpresa, quello che ribalta le premesse del film e ci fa riconsiderare tutta la storia come l'avevamo pensata fino a quel punto. Tutto è iniziato poco più di 20 anni fa con Il Sesto Senso. Era il 1999, e il film fu un grande successo, a sorpresa. Poi è stato il turno di Unbreakable, nel 2001, seguito da una serie di film che ha dato il via a una fortunata carriera, con qualche colpo a vuoto, certo, ma che ha fatto sì che ogni film dell'autore di origine indiana sia atteso come un evento. Ed è così che stiamo vivendo l'arrivo del suo nuovo film, Old, nelle sale dal 21 luglio. Old è la trasposizione della graphic novel francese Sandcastle, dello scrittore francese Pierre Oscar Lévy e dell'illustratore svizzero Frederik Peeters. È la storia di un gruppo di persone che si ritrova su una spiaggia dove stanno tutti invecchiando in maniera troppo veloce. Ci sarà anche qui il twist ending? Viene naturale chiederselo, perché da quel film del 1999 a ogni nuova uscita di M. Night Shyamalan la domanda che ci facciamo è sempre quella. Normale che sia così, per tutte le volte che ci ha spiazzato e stupito, cosa che a noi piace sempre. Ma il regista de Il sesto senso non è solo twist, ma molto di più.

Il sesto senso: la lunga costruzione che porta al twist ending

Bruce Willis con Haley Joel Osment in una scena di Il sesto senso
Bruce Willis con Haley Joel Osment in una scena di Il sesto senso

Il sesto senso è la molla che ha fatto scattare tutto. La storia di Malcolm, uno psicologo infantile che cerca di aiutare un bambino che dice di vedere la gente morta, è stato un grande successo, e tutti lo ricordano proprio per quel twist ending, quel finale a sorpresa che ribalta il punto di vista della storia, una sorpresa ben celata lungo tutto il film, e rivelata solo da un indizio, un breve movimento di macchina in una sequenza. Ma Il sesto senso non è solo il suo finale. Tutto il film vive di una costruzione molto particolare, di un percorso che porta al twist ending. La qualità di Shyamalan è quella di prendere delle storie fantastiche, (qui è la Ghost Story, il racconto di fantasmi) e calarle in un contesto quotidiano, comune. Malcom, come quasi tutti i personaggi di Shyamalan che verranno, ha dei problemi familiari, un'unione sentimentale in crisi, è depresso. Questa scelta porta a un'altra caratteristica tipica della costruzione dei film di Shyamalan: quella di prendere attori istrionici, estroversi, uomini d'azione come Bruce Willis e farli recitare di sottrazione, sottotono. Il Bruce Willis de Il sesto senso è agli antipodi del John McClane di Trappola di cristallo. È un'interpretazione che è legata a tutta l'atmosfera del film, che a sua volta smonta il concetto dell'horror e del thriller e lo rilegge. L'andamento lento, il tono sommesso, assorto, quella sospensione che - al netto di qualche jumpscare - costruisce la tensione con l'attesa e non con l'accumulo di colpi di scena, qui sono evidenti e sono il marchio di fabbrica di Shyamalan.

Unbreakable: un twist ending che cambia il rapporto con il mondo

Bruce Willis in una scena di Unbreakable - Il predestinato di Shyamalan
Bruce Willis in una scena di Unbreakable - Il predestinato di Shyamalan

Tutto questo si ripete in Unbreakable - Il predestinato, a suo tempo lanciato come un thriller psicologico proprio per ammiccare a Il Sesto senso, ma in realtà, sembra un ossimoro, un cinecomic intimista, anche qui un genere smontato e rimontato, completamente riletto. Se la storia completamente diversa, lo schema è lo stesso de Il sesto senso: la sospensione, la recitazione assorta, le piccole cose quotidiane e le piccole crisi familiari. E poi, anche qui, c'è il twist ending. Se ne Il sesto senso ribaltava il punto di vista, facendoci riconsiderare la posizione del protagonista, qui ci fa riconsiderare il suo rapporto con il mondo, con il suo "negativo", o il suo nemico, e ci fa riconsiderare tutti i fatti che sono avvenuti intorno a lui in quel momento. A proposito di rapporto con il mondo, è un finale che ci fa capire esattamente in che mondo siamo, se non lo avessimo ancora capito: è il mondo dei fumetti.

Samuel L. Jackson in una scena di Unbreakable - Il predestinato
Samuel L. Jackson in una scena di Unbreakable - Il predestinato

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Signs: un finale che dà il senso al film

Una scena di Signs
Una scena di Signs

Signs è, in teoria, un il film di fantascienza. Una storia che incuriosisce perché parte da quel mistero che sono i cerchi nel grano, ci tiene in sospeso per gran parte del film facendoci chiedere continuamente se gli alieni sono una minaccia reale o una follia dei protagonisti. In tutta la prima parte del film, anzi per tre quarti, Signs è costruito proprio come i film di cui sopra. C'è sospensione, attesa, ansia (qui qualche sorriso in più). Ci sono ancora una grande storia calata nel quotidiano di una famiglia spezzata. Stavolta non c'è una crisi tra marito e moglie ma una morte a dividerli. C'è ancora un grande attore da azione, il Mel Gibson di Arma letale , con una recitazione sottotono, con un mood intimista. C'è però un sostanziale cambio nella struttura narrativa rispetto ai film precedenti. Se lì c'era un ritmo lento e costante, fino alla sorpresa finale, Signs nella sua ultima parte prende un'accelerata in senso action e horror, con una lunga sequenza di assedio nella casa dei protagonisti che deve molto a classici come La notte dei morti viventi di George A. Romero e Gli uccelli di Hitchcock. E il twist ending? Una prima sorpresa, lo avrete capito, è quella che ci rivela se quei cerchi nel grano siano legati agli alieni. Una seconda è proprio legata al finale, e all'escamotage che permette ai protagonisti di prevalere. Non è un finale che ribalta le premesse, ma ci fa riconsiderare il senso del film: quei "segnali" del titolo non sono quelli nel grano, non solo, ma gli insegnamenti che una madre ha lasciato ai loro figli. E Signs è fantascienza, certo, ma anche una storia di affetti.

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The Village: il più grande dei twist ending

Bryce Howard in una scena del film The Village
Bryce Howard in una scena del film The Village

In The Village c'è forse il twist ending più forte di tutto il cinema di M. Night Shyamalan. Ha in sé entrambi i fattori dei film di cui vi abbiamo parlato sopra. Nel senso che, come nei primi due film, spiazza completamente lo spettatore con un colpo di scena davvero inaspettato. E, allo stesso tempo, contestualizza il film in quella che è la sua vera dimensione e ne definisce il senso. Ambientato nell'America dell'Ottocento, in una comunità chiusa di contadini con le sue regole, le sue credenze e le superstizioni, presenta prima di tutto una grande novità rispetto ai film visti finora. Non c'è quel calare una storia fantastica nel quotidiano, nella nostra vita di tutti i giorni, nelle nostre piccole cose e nei nostri piccoli problemi, perché la storia è ambientata nel passato, e, in fondo, in un contesto fantastico. The Village è costruito come una favola, come la storia di un Cappuccetto Rosso (giallo, in questo caso) che attraversa il bosco sapendo che può incontrare il lupo. Ci sono delle creature misteriose, ci sono i costumi, i personaggi non sono contemporanei e sono più stilizzati, il ritmo e la recitazione sono più tesi e vibranti. La struttura narrativa prende spunto da un altro classico di Hitchcock, Psycho, con un cambio di direzione netto che arriva molto presto nel film: l'uscita di scena del protagonista, e quindi il cambio di punto di vista. È un twist che, per la prima volta, non è posizionato nel finale. Dove ci sarà l'altra, grande sorpresa, che serve sì a spiazzare lo spettatore, ma proprio a riconsiderare il senso del film. Si è parlato di una metafora dell'America dell'era Bush, quella del post 11 settembre 2001, una comunità chiusa su se stessa, fortificata e refrattaria a ogni presenza esterna. Una comunità dominata dalla paura. Tutto questo fa capire come il twist ending per Shyamalan non sia un mero espediente per spiazzare il pubblico, ma un mezzo narrativo importante per svelare il senso di un'opera.

Una scena del film The Village
Una scena del film The Village

E venne il giorno: stavolta non c'è il twist ending

Ashlyn Sanchez, John Leguizamo e Mark Wahlberg in una scena del film E venne il giorno
Ashlyn Sanchez, John Leguizamo e Mark Wahlberg in una scena del film E venne il giorno

"Stavolta non c'è il twist ending". Ricordo di aver letto un giornale americano in occasione dell'anteprima di E venne il giorno. La prima cosa che il critico scriveva era questa. Un marchio di fabbrica può essere a volte anche una condanna. Così, ogni volta, al regista di origine indiana si chiede questo. In E venne il giorno non c'è un vero finale a sorpresa, e la struttura narrativa è molto diversa. Lo shock, chiamiamolo così, più che sorpresa, arriva subito, all'inizio. Le scene con delle persone che, a Central Park, si fermano e provano l'istinto irrefrenabile di togliersi la vita, è di quelli che fanno effetto. Così come quelle persone che si gettano dai palazzi lungo le strade di New York. Da lì in poi il film rallenta e trova un suo ritmo costante, secondo lo schema di una famiglia in fuga. Verso un finale in cui, come ne La guerra dei mondi, le cose in qualche modo si risolvono da sole. E che, per la prima volta, è un finale sottotono per M. Night Shyamalan. Anche in Lady in the Water, il film che ha preceduto E venne il giorno, la storia di una sirena che si ritrova nella piscina di un condominio, non ha un vero e proprio twist ending, non come lo avevamo considerato fino a quel momento.

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The Visit: la vera sorpresa è nel linguaggio

The Visit: Olivia DeJonge in una drammatica scena del film
The Visit: Olivia DeJonge in una drammatica scena del film

Non ci sono sorprese anche ne L'ultimo dominatore dell'aria e After Earth se non la sensazione di aver perso lo Shyamalan che conosciamo in due film lontani dalle sue corde. Il ritorno al thriller, con The Visit, è invece sorprendente da vari punti di vista. Il regista infatti, con il film prodotto dalla BlumHouse, si allontana dai suoi grandi film hollywoodiani e prova a cimentarsi nell'horror indipendente. Lascia da parte le ombre e i chiaroscuri dei suoi primi film, l'andamento dal respiro ampio, e gira un film secondo lo stile del found footage, come se fosse un falso documentario. E allora ecco uno stile più "sporco", come quello del finto documentario, un montaggio più serrato, tanti piccoli ma significativi colpi di scena fino allo svelamento della storia, che racconta la visita di due ragazzini, di tredici e quindici anni, ai loro nonni, che non vedono da tempo. Qui la sorpresa finale c'è, ma non è un fulmine a ciel sereno come nella tradizione dei twist ending di Shyamalan, quanto il punto d'arrivo di uno svelamento costante di indizi disseminato lungo tutto il film. La sorpresa, per tutti noi, è stata anche ritrovare un maestro del brivido come Shyamalan di nuovo vivo e vitale, e alle prese con un nuovo stile di racconto.

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Old: una sequenza

Split: la sorpresa arriva a tempo scaduto

Split: James McAvoy in una scena del film
Split: James McAvoy in una scena del film

Ancora più sorprendente è stato quello che è accaduto con Split, poi seguito da Glass, che, con Unbreakable, è andato a formare una trilogia. Il senso di sorpresa, guardando Split, è qualcosa che proviamo lungo tutto il film. La storia di un assassino dalle personalità multiple porta Shyamalan verso un thriller che non aveva ancora mai frequentato. In Split tutto è nuovo, o almeno sembra esserlo. Il ritmo è alto, serrato, lontanissimo da quello stile che avevamo conosciuto con Il sesto senso e Unbreakable. E, soprattutto, c'è una prova attoriale istrionica da parte del protagonista, James McAvoy, lontanissimo dalle recitazioni sottotono degli attori dei primi film. Insomma, abbiamo assistito a un film agli antipodi di Unbreakable per tutta la sua durata, per poi scoprire che... era il suo sequel! Se non è una sorpresa questa. Il twist ending stavolta arriva a tempo scaduto, quando il film è già finito, la storia si è compiuta. Ma c'è spazio ancora per un'ultima scena, in un diner, con delle persone che guardano un telegiornale alla tv, e un personaggio che compare per dire la sua battuta. La sorpresa, qui, è stata anche a livello produttivo, una trilogia annunciata all'ultima sequenza di un film. La trilogia sarà completata da Glass, che ha non uno, ma due twist ending. E sono tra i finali migliori del suo cinema. Che ci suggeriscono l'idea di avere fiducia in un supereroe che nasca tra noi perché ne abbiamo bisogno, e quella che i supereroi esistano davvero, ma si stiano nascondendo.

Da Unbreakable a Glass: Se la trilogia è "twist"

Old: ci sarà il twist ending?

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Old: Vicky Krieps, Thomasin McKenzie in una scena del film

E veniamo a Old, il suo ultimo, atteso film. è inevitabile avvicinarci al film chiedendoci se ci sarà il twist ending. Vogliamo lasciare a voi il piacere di scoprirlo, il piacere di una visione con il fiato sospeso, come a ogni film di Shyamalan. Per il momento possiamo dirvi che il regista ha preso la graphic novel, la cui storia si svolge esclusivamente sulla spiaggia, e ha aggiunto una cornice a questi eventi, costruendo un prologo e un finale che si svolgono al di fuori. La cura proverbiale per i finali di M. Night Shyamalan, insomma, la troverete anche in Old.

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Old: Gael García Bernal, Vicky Krieps, Thomasin McKenzie, Luca Faustino Rodriguez in una scena del film