Lo scorso agosto aveva presentato con successo alla Mostra del cinema di Venezia il suo disperato Il papà di Giovanna, racconto tragico di un rapporto morboso tra un padre e una figlia psicolabile nella Bologna degli anni della Seconda Guerra Mondiale, che aveva fruttato a Silvio Orlando la Coppa Volpi come miglior attore scippandola al Mickey Rourke di The Wrestler. Dopo soli sette mesi per Pupi Avati è già tempo di presentare il suo nuovo film. Stavolta il regista emiliano cambia però registro e torna alla commedia che ne Gli amici del Bar Margherita vive sopratuttto di quella capacità di rievocazione nostalgica che è propria di Avati. Bologna resta il teatro delle vicende, ma i tempi sono cambiati, la guerra è ormai finita e si avverte un disincanto che sembra affogare nel cinismo le nuovi generazioni degli anni Cinquanta. In questo contesto, il Bar Margherita raduna una serie di frequentatori assidui sopra le righe che per il giovane Taddeo (Pierpaolo Zizzi) rappresentano eroi da imitare e dai quali cercare di farsi accettare entrando nella loro vita, e nel loro locale, in punta di piedi.
Tra questi l'impacciato Bep (Neri Marcoré), l'aspirante cantante Gian che sogna di partecipare al Festival di Sanremo (Fabio De Luigi), il 'linfomane' Manuelo (Luigi Lo Cascio), il truffaldino Sarti (Gianni Ippoliti) e il loro capo, il carismatico Al (Diego Abatantuono). Le loro storie riempiono la vita di Taddeo che li osserva con sguardo curioso ed ammirato, mentre le donne restano sempre un passo in là, rassicuranti o ingannatrici. Tra loro Laura Chiatti, Luisa Ranieri e Katia Ricciarelli. Prodotto da Antonio Avati per Duea Film e Rai Cinema, Gli amici del Bar Margherita può contare sulle musiche di Lucio Dalla che rompe così la tradizione che voleva Riz Ortolani collaboratore inseparabile del regista di Bologna che del film è anche sceneggiatore. La nuova commedia di Avati uscirà venerdì 2 aprile in un numero di copie tra le 250 e le 300, ma è già in cantiere il suo prossimo progetto, un film drammatico dal titolo Il figlio più piccolo con protagonisti Christian De Sica, Laura Morante e Luca Zingaretti.Pupi Avati, perché ha scelto di rendere protagonista del suo film un ragazzo che rappresenta un po' quella generazione 'serpente' degli anni Cinquanta?
Pupi Avati: Mi riconosco totalmente nei comportamenti di Coso. Già dall'assenza del nome si evince la difficoltà di manifestare i propri pensieri. Io non riuscii a mio tempo a diventare parte del Bar Margherita e nel momento in cui avrei potuto mi feci da parte, proprio come accade al protagonista del film. L'allusione è al mio percorso personale di 352 chilometri che separano Bologna da Roma. Per potere raccontare ed esprimermi attraverso il cinema una realtà fatta di verità ma anche di menzogne, mi sembrava carino dar conto anche degli aspetti meno esaltanti che mi riguardano. Nel film c'è una dose di cinismo, di crudeltà e di spietatezza, ma anche di gioiosità, che mettono insieme un'epoca. Non c'è nessun leggendario Bar Margherita, io mi sono ispirato semplicemente a un bar di Bologna che assomigliava tanti altri bar della provincia italiana. Sono io che, attraverso gli occhi di questo diciottenne, l'ho mitizzato. Nei frequentatori di quel posto e nel loro atteggiamento trasgressivo riconoscevo i miei eroi. Era tutto tranne che il Bar Sport che è uno stereotipo ed è già stato abbondantemente raccontato e bene come per esempio da Stefano Benni in un suo romanzo.Il film segna un ritorno alla commedia per lei.
Pupi Avati: E' vero, c'è uno sguardo leggero che in qualche modo ha contrassegnato operazioni del mio remoto passato come Jazz Band. Con Gli amici del Bar Margherita guardo in modo disinvolto e non solo nostalgico, ma anche un po' severo al nostro passato.
E lei è uno abituato a raccontare il passato.
Pupi Avati: Siamo ormai rimasti gli ultimi a raccontare non esclusivamente il presente. Oggi il 99,9% dei film racconta l'oggi, anche in modo puntuale e critico. Qualcuno deve però fare i conti anche col nostro passato, sebbene dalla prospettiva del presente. Le cose esistono in quanto esiste uno sguardo che le determina. Credo sia mia dovere svolgere questo ruolo di vestale di una stagione che è stata per poterla comparare all'oggi. L'elemento centrale che motiva questo film è la differenza di sguardo dei giovani che da quel periodo sono diventati il principale interlocutore di tutto quello che è il nostro vivere. Quei ragazzi là vivevano nell'indifferenza totale, i giovani non contavano nulla. L'essere così penalizzati li mette in una condizione complicata, ma in quella società l'individuo, nell'indifferenza generale, poteva compiere i suoi errori per individuare il proprio percorso e trovare la propria identità. Oggi è molto più difficile, tanto pù in un contesto in cui i giovani sono diventati l'ago della bilancia.Lo sguardo sulla donna del film esprime invece un mix di fascinazione e misoginia.
Pupi Avati: E' indubbio che ci sia uno sguardo misogino, perché la società di quel periodo è maschilista e l'uomo vede la donna come un elemento di perturbazione. Le uniche donne che contano in questa storia sono un entreneuse e un'insegnante di pianoforte che 'fa di tutto'.
Non trova che i film in costume oggi siano un rischio?
Pupi Avati: Assolutamente sì, d'altronde se non si fanno più film in costume ci sarà una ragione. Non solo sono più faticosi, complicati e costosi, ma producono una sorta di diffidenza esplicita nei riguardi del mercato. Oggi i ragazzi non hanno alcuna curiosità verso il passato. E' un peccato, perché invece la televisione, che incontra il paese reale, le proposte in costume le fa eccome. Il passato lì si propone continuamente e funziona perché quello è un pubblico diverso, è l'Italia, mentre quello del cinema è un pubblico d'elite.Com'è nata la collaborazione con Lucio Dalla?
Pupi Avati: Il musicista storico dei miei film è Riz Ortolani col quale collaboro dal 1980. In questa circostanza la situazione però era così collegata a quei luoghi e a quel tempo che ho creduto giusto chiedere a Lucio Dalla di sonorizzare il film e lui ha dimostrato subito un grande entusiasmo. Ci siamo intesi subito, anche perché abbiamo gli stessi gusti, e ha composto una colonna sonora che sorregge e dà continuità all'opera. Io gli avevo chiesto semplicemente che il film fosse accompagnato sempre dalla stessa ritmica. Infine, ha scritto e cantato la canzone che chiude il film che è una dichiarazione d'amore splendida alla Bologna notturna.
Cosa hanno imparato gli attori da un film ambientato negli anni Cinquanta?
Laura Chiatti: Ho osservato attraverso questo film una realtà che potevo solo immaginare, vissuta attraverso i racconti dei miei nonni. Mi sono resa conto che la loro generazione e quella dei miei genitori ha sicuramente un cinismo più forte rispetto alla nostra.Neri Marcoré: Si veniva da un'esperienza talmente tragica come la guerra che la voglia di lasciarsi alle spalle tutto dava vita a situazioni off limits come quelle raccontate nel film. Forse tutto sommato noi che siamo nati più avanti ci siamo risparmiati quegli anni così contraddittori, caratterizzati da velocità diverse e da un grande spaesamento.
Pierpaolo Zizzi: Recitare in questo film è stato per me come rivivere in uno dei racconti dei miei nonni. Mi ha colpito lo spirito ludico che contraddistingueva quel periodo, un momento brutto in cui c'era solo voglia di divertirsi. Oggi il nostro modo di svagarci è totalmente differente da quello di allora, i due periodo non sono per nulla paragonabili né da un punto di vista storico, né da un punto di vista sociale.Luigi Lo Cascio: Anch'io mi sono divertito molto a interpretare questo film perché nelle scene corali si riproduceva perfettamente quelle situazioni da bar. Il mio Manuelo è un uomo che ha poche cose a cuore, ma le pratica molto volentieri e per prepararmi alla parte sono andato a studiarmi gli anni Quaranta e ora so chi sono gli inventori della guepiere e del bikini.
Diego Abatantuono, lei ha già avuto diverse esperienze sui set di Avati. Quanto è mutata in questi anni la sua cinematografia secondo lei?
Diego Abatantuono: Mi piace molto l'idea di leggerezza del suo cinema, in realtà molto profondo. Era qualche anno che Pupi non frequentava questo tipo di cinema con taglio più scanzonato. Credo che l'ironia sia la chiave determinante per riconoscere l'intelligenza di una persona.