14 novembre 2006: ha luogo l'anteprima a Londra dell'esordio di Daniel Craig nei panni di James Bond, poco più di un anno dopo l'annuncio ufficiale del casting (avvenuto il 14 ottobre 2005), inaugurando una nuova continuity nel franchise che riparte da zero e si avvicina maggiormente ai testi di Ian Fleming. 28 settembre 2021: dopo diversi rinvii dovuti alla pandemia, ha luogo l'anteprima londinese di No Time to Die, quinto e ultimo capitolo del filone di Craig, il quale ha deciso di chiudere con le avventure di 007 dopo quindici anni a base di azione, dramma e qualche danno fisico (il quarto episodio, uscito nel 2015 e incentrato sulla SPECTRE, l'ha girato con una gamba rotta). È una chiusura definitiva, la fine di un ciclo che ha reinventato la figura di Bond dopo i primi quattro decenni di vita della saga cinematografica. L'occasione ideale per fare la nostra consueta analisi del finale e usarla come punto di partenza per ritornare su alcuni aspetti dell'intera epoca Craig. N.B. L'articolo contiene spoiler!
La morte non può più attendere
No Time to Die è un titolo che, col senno di poi, ha un che di beffardo: sulla carta un'allusione alla longevità del franchise e dello stesso Bond, che afferma più volte di avere tutto il tempo del mondo, in realtà anticipa subdolamente la fine delle sofferenze terrene di 007: per assicurarsi che il piano malefico di Lyutzifer Safin non vada a buon fine, l'agente segreto rimane sull'isola del villain mentre questa viene distrutta da dei missili della marina militare inglese, dopo aver detto addio per telefono all'amata Madeleine Swann e avuto la conferma di essere il padre della figlia di lei, Mathilde ("Ha i tuoi occhi", dice la madre, al che lui risponde "Lo so"). Una decisione dolorosa, dovuta all'unico vero trionfo di Safin: questi, infatti, ha sviluppato una tecnologia che consente di uccidere le persone con dei nanobot impostati per prendere di mira codici genetici specifici, e prima di morire ha infettato Bond con particelle che ucciderebbero Madeleine e Mathilde, impedendogli per sempre di avere contatti fisici con loro.
È un addio permanente, agrodolce, ma a suo modo comunque trionfale: Bond muore in pace con sé stesso e il resto del mondo, consapevole di essersi lasciato dietro qualcosa di buono - Mathilde - e non solo una lunga scia di cadaveri. La licenza di uccidere è diventata quella di salvare vite, con 007 che si sacrifica per il bene dell'intero pianeta, dopo aver commesso un ultimo, doveroso omicidio, quello di Safin. Un'evoluzione che è visibile anche nella scelta di come aprire e chiudere il film: all'inizio c'è il classico gun barrel, con Bond che spara direttamente in macchina come da tradizione della saga da più di cinque decenni; alla fine, invece, c'è un tunnel, attraverso il quale stanno guidando Madeleine e Mathilde, in direzione di un futuro salvaguardato dal sacrificio della spia britannica. Loro guidano verso un avvenire pieno di speranza, e Madeleine contravviene alla propria filosofia proposta nei primi minuti del lungometraggio: anziché dimenticarlo, decide di abbracciare pienamente il passato, rivolgendosi alla figlia con la battuta conclusiva dell'era Craig: "Voglio raccontarti la storia di un uomo. Il suo nome era Bond, James Bond."
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La decostruzione di un mito
Già nel 1995, con il debutto di Pierce Brosnan, si era deciso di dare uno scossone al franchise, e per l'esattezza a certi atteggiamenti da cavernicolo del protagonista, bollato come "dinosauro misogino e sessista" dalla nuova M, rimasta a bordo anche per quattro dei cinque film con Daniel Craig nonostante il cambio di continuity. Casino Royale è tornato alle origini e al contempo ha aggiornato ulteriormente gli stilemi della saga, presentandoci un Bond rozzo, inesperto, appena promosso al rango di agente 00 e ancora vulnerabile, fisicamente ed emotivamente. Un Bond disposto a prendere in giro la propria mascolinità, nella celebre sequenza di tortura, dove reagisce buttandola sul ridere e dicendo a Le Chiffre "Adesso tutto il mondo saprà che sei morto grattandomi le palle!". Ma soprattutto un Bond pronto a mollare tutto in nome dell'amore, salvo poi tornare in azione quando scopre di essere stato ingannato, mascherando il proprio dolore con la cinica frase di commiato del romanzo originale: "The job's done, and the bitch is dead", missione compiuta, e la puttana è morta. Un cinismo che in realtà cela una ferita mai del tutto rimarginata, nonostante lui ci provi ripetutamente accettando missioni sempre più letali, dimostrandosi incapace di rinunciare al lavoro.
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Lo stesso accade con Madeleine: l'idillio alla fine di 007 Spectre poteva essere il canto del cigno per questo Bond, ma nel momento in cui Craig ha scelto di tornare per un'ultima avventura serviva un escamotage per riportarlo all'ovile. Un altro inganno, questa volta fasullo - Madeleine è stata incastrata da Blofeld - ma altrettanto doloroso, con l'ex-007 che cerca di affogare i dispiaceri nell'alcool per cinque anni e poi riprende le vecchie abitudini, con o senza la designazione ufficiale che gli permette di uccidere con impunità. La pensione non è mai stata una vera opzione, perché come fa notare Safin sia lui che Bond sono assassini: uno in nome del male e l'altro in nome del bene, ma sotto sotto entrambi sono degli psicopatici che non si fermano davanti a nulla. E quando a 007, reintegrato apposta per eliminare ciò che rimane del progetto Heracles, viene tolto l'ultimo appiglio all'umanità - la possibilità di vivere tranquillamente con la compagna e la figlia - che poteva allontanarlo da una vita di violenza, rimane un'unica via di uscita: la morte.
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The Dark Spy Rises
Il debutto di Craig è arrivato nelle sale circa un anno e mezzo dopo Batman Begins, altra reinvenzione di un personaggio ancorato nella cultura popolare che si pone l'obiettivo di tornare alle origini e di avere una fine ben precisa in mente (anche se nel caso di Bond l'idea della chiusura definitiva del cerchio è arrivata dopo). Come il Bruce Wayne di Nolan, lo 007 immaginato per il ventunesimo secolo rompe con la tradizione dell'eroe instancabile proponendo l'ipotesi che lui possa lasciarsi tutto alle spalle per passare il resto della vita con la persona giusta. Entrambi sembrano aver rinunciato a tale sogno dopo un primo lutto - Rachel Dawes per Bruce, Vesper Lynd per Bond - e non contemplano più la pensione, salvo poi ripensarci quando incontrano nuovamente una donna capace di capirli e accettarli per ciò che sono. Nel caso di Wayne, questo significa simulare il proprio decesso e ritirarsi a vita privata in Europa al fianco di Selina Kyle, lasciando agli alleati storici gli indizi per sapere che sta bene e al pupillo John Blake gli strumenti per diventare il nuovo difensore di Gotham City; Bond, invece, viene privato della scelta di invecchiare al fianco di Madeleine e accetta la morte, sapendo di avere un lascito positivo nella persona di Mathilde e dei colleghi che assicureranno il buon funzionamento delle attività dell'MI-6.
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Era l'unica fine possibile per questa versione della saga. Una conclusione logica e definitiva, coerente con il percorso del personaggio dal 2006 a oggi. Ma come per Star Wars: L'Ascesa di Skywalker, vale lo stesso principio che l'Episodio IX aveva espresso a livello di marketing: la saga è finita, ma la storia andrà avanti in eterno. Un concetto che il film ribadisce con la classica scritta al termine dei titoli di coda: James Bond Will Return. Ritornerà, ma con calma, poiché la produttrice Barbara Broccoli ha affermato che la ricerca del nuovo interprete della creatura di Fleming comincerà solo nel 2022, lasciandoci il tempo di assimilare l'addio alla sua sesta incarnazione cinematografica ufficiale, in attesa di una nuova reinvenzione che molto probabilmente terrà conto dei tempi in cui viviamo (Broccoli ha detto che, tenendo conto dell'Inghilterra di oggi, Bond non deve per forza essere bianco, ma sarà sempre un uomo). E noi non abbiamo fretta di scoprire chi sarà il nuovo 007. Come dicono nel film, abbiamo tutto il tempo del mondo.