Una parte di James Bond, una della serie degli anni Sessanta, una di location esotiche, e una di belle donne; una parte di Hitchcock, e tre parti di Tom Cruise. È la ricetta di Mission: Impossible, franchise che ha più di vent'anni e sulla cui longevità, cioè sul suo successo, forse molti di noi non avrebbero puntato a occhi chiusi. Dal 1996 a oggi la serie è riuscita a innovarsi, a cambiare, a stupire, ad alzare il tiro ogni volta. Ogni film è il movimento di una sinfonia, diverso ma legato al precedente, una variazione sul tema, l'interpretazione personale di un canovaccio da parte di autori con diverse sensibilità. Come nei film di Hitchcock, a cui devono molto, i vari capitoli di Mission: Impossible sembrano svilupparsi intorno a enormi, spettacolari, scene madri. Intorno ad esse, viene costruita una sceneggiatura. Ma non solo: viene costruito un mondo. In occasione di Mission: Impossible - Fallout, vediamo come è stato sviluppato il tema dai tanti, e diversi, autori che lo hanno affrontato.
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Mission: Impossible (Brian De Palma)
Il primo film, firmato Brian De Palma, risale al 1996. Era la prima volta di Ethan Hunt sul grande schermo, e, per molti spettatori che non avevano mai visto la serie degli anni Sessanta, era la prima volta assoluta. La prima volta che sentivamo il tema di Lalo Schifrin (per l'occasione riletto da Adam Clayton e Larry Mullen Jr. degli U2), la prima che facevano conoscenza con il messaggio "che si autodistruggerà entro 5 secondi". Visto oggi, il primo Mission: Impossible firmato De Palma ci appare come l'episodio pilota di una serie: presenta il personaggio, la situazione, i punti cardinali del racconto. Visto oggi quello di De Palma è il più classico dei film, un gioco pirandelliano di maschere e identità - che ritorneranno in tutti gli episodi ma qui sono il cuore di tutto - ma ci sono alcuni marchi di fabbrica di De Palma, come la donna insanguinata (è la Claire di Emmanuelle Béart), vero motivo ricorrente del suo cinema. E poi c'è la scena cult per eccellenza del franchise: quella dell'intrusione nell'ufficio centrale della CIA, con Tom Cruise/Ethan Hunt appeso a dei fili in un ambiente candido e asettico. È stata citata decine di volte, tra film e pubblicità.
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Mission: Impossible II (John Woo)
A ogni capitolo, Tom Cruise e la produzione alzano il tiro. Mission: Impossible II, del 2000, è affidato a Jon Woo, maestro del cinema d'azione orientale in quegli anni ormai di stanza ad Hollywood. Woo costruisce al tempo stesso un action che non sfigura rispetto al primo, e un film molto personale. La missione impossibile secondo Woo diventa un brillante meccanismo di coreografie, motociclette che danzano leggere e le immancabili colombe bianche a fare la sua "firma" su pellicola. Se a detta di molti De Palma è considerato l'erede di Hitchcock, in realtà è il film di John Woo il più hitchcockiano. Ricostruisce alla perfezione una scena di Notorious - L'amante perduta, quella all'ippodromo, e si lega a quel film con molti altri riferimenti. Come l'avvelenamento della protagonista, Nya (Thandie Newton). Che però è chiaro fin dalle prime scene: e, insieme all'amore per lei di Ethan, aggiunge pathos alla storia. Il tema di Schifrin qui è reinterpretato dai Limp Bizkit, che ci costruiscono una canzone, Take A Look Around, e nella colonna sonora ci sono anche i Metallica (Disappear). Scena cult: Hunt/Cruise che fa free climbing su una parete rocciosa nello Utah.
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Mission: Impossible III (J.J. Abrams)
Con Mission: Impossible III entra in squadra J.J. Abrams, con la sua Bad Robot: qui è in veste di regista, ma rimarrà in sella come produttore fino all'attuale capitolo 6, Mission: Impossible - Fallout. All'epoca (siamo nel 2006) Abrams è considerato il nuovo genio dell'entertainment, quello che ha rivoluzionato la tv (Alias e soprattutto Lost); al cinema diventerà lo specialista in grado di prendere i franchise storici e rilanciarle (Star Trek e Star Wars). Mission: Impossible non ha bisogno di essere rilanciata. E, in realtà, per il terzo capitolo erano stati scelti David Fincher, che aveva rinunciato per divergenze sulla sceneggiatura, e poi Joe Carnahan, che non era d'accordo sul tono del film. Visto oggi il film di J.J. Abrams è forse il meno riuscito della serie. Il creatore di Lost porta con sé un suo marchio di fabbrica, il movimento avanti e indietro nel tempo: inizia in medias res e tutto il film è un lungo flashback (ci sono riferimenti a Lost, tra cui un logo del Dharma Project). C'è un po' del Maestro del brivido anche qui: Abrams usa il classico espediente hitchcockiano del McGuffin (un oggetto non importante per sé ma per far procedere la storia), mettendo al centro della storia una misteriosa arma nota come "Zampa di lepre". Entra in scena Julia (Michelle Monaghan), grande amore di Hunt, che diventerà un filo narrativo che arriva fino a Mission: Impossible - Fallout. Scena cult: la missione al Vaticano, in realtà girata alla Reggia di Caserta.
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Mission: impossible: Protocollo Fantasma (Brad Bird)
Il quarto atto del franchise, Mission: Impossible - Protocollo Fantasma (2011), ha incuriosito fin da subito, da quando è stato reso noto il nome del regista. Detto che alla produzione c'è sempre J.J. Abrams, cosa ci fa Brad Bird alla regia di un Mission: Impossible? Cosa può dare il regista di film d'animazione come Il gigante di ferro, Gli incredibili e Ratatouille, a un film d'azione e live action? Detto che nei film sopra citati di azione ce n'è parecchia, in Protocollo fantasma tutto è così iperbolico da sembrare messo in atto da personaggi virtuali, fatti di pixel invece che di carne ed ossa, anche se le ferite sono reali, su questo non c'è dubbio. Ma Brad Bird riprende sfondi e ambienti, spazi grandi e stilizzati, creando delle scene che si avvicinano a quelle magniloquenti dei film d'animazione. La scena girata sul Burj Khalifa di Dubai, il grattacielo più alto del mondo, tutte specchi e vertigini, sono esteticamente così riuscite da sembrare "disegnate". La scena cult, di diritto, è questa. E la presenza di Simon Pegg regala un po' di quell'ironia che trovavamo nei film d'animazione di Brad Bird. Il risultato è divertente, emozionante, estetico. L'amore qui viene messo in pausa: le presenze femminili sono però le affascinanti Léa Seydoux e Paula Patton. Tom Cruise e la sua squadra sono riusciti ad alzare, ancora una volta, il tiro rispetto ai film precedenti.
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Mission: Impossible - Rogue Nation e Mission: Impossible - Fallout (Christopher McQuarrie)
È davvero impossibile andare oltre? Mission: Impossible - Rogue Nation (2015) riesce ancora nella missione di alzare il tiro e stupire. Dietro alla macchina da presa stavolta c'è un autore meno conosciuto, Christopher McQuarrie, scrittore di fiducia di Bryan Singer (I soliti sospetti e Operazione Valchiria) e di Cruise (Jack Reacher ed Edge Of Tomorrow). Il risultato è una summa di tutti i film precedenti: ci sono le maschere del primo, le motociclette del secondo, la storia d'amore (lì esplicita e qui sottotraccia) del terzo, e le grandi location high-tech del quarto.
McQuarrie, che in Operazione Valchiria ci aveva dimostrato di conoscere bene i meccanismi della suspence hitchcockiana, vira il franchise, che rimane comunque cinema d'azione di alto livello, più verso l'intrigo e la spy-story. E rilancia il suo rapporto con il cinema di Hitchcock, con cui, pur perseguendo obiettivi diversi, ha in comune il fatto di costruire i film attorno a grandi e spettacolari scene madri. Christopher McQuarrie riprende qui la scena chiave de L'uomo che sapeva troppo, nella sequenza all'Opera di Vienna, con un killer che attende il climax del concerto (qui è il "vincerò" di Nessun dorma, dalla Turandot) per sparare. È una delle scene più riuscite. La scena cult: Cruise che sale su un aereo in volo (girata, per otto volte, senza controfigura). Ma la forza del film è l'elemento romantico, l'attrazione, contrastata dal senso del dovere, per Ilsa Faust (Rebecca Ferguson). Tutti gli elementi, e soprattutto lei, tornano nel sesto capitolo, Mission: Impossible - Fallout.
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