Mick Davis presenta il suo Modigliani

Undici milioni di euro per portare sul grande schermo la storia di Modigliani: è la sfida di una produzione allargata a sei paesi che finanzia l'ambizioso secondo lungometraggio che il regista scozzese ha presentato a Roma.

Undici milioni di euro per portare sul grande schermo la storia di Modigliani, pittore livornese, vissuto nella Parigi del primo dopoguerra, teatro della tragica storia d'amore con Jeanne Hebuterne e dell'aspra rivalità con Pablo Picasso. E' la sfida di una produzione allargata a sei paesi che finanzia l'ambizioso secondo lungometraggio di Mick Davis, regista e sceneggiatore de I colori dell'anima - Modigliani.

Mick Davis, com'è nata l'idea di un film su Modigliani? Mick Davis: La prima idea di fare un film su questo grande artista risale a quando avevo dodici anni, mentre la prima versione della sceneggiatura l'ho scritta quindici anni fa. Avevo già tutto in mente, comprese le ambientazioni e le musiche. Mi ha sempre affascinato l'immagine della Parigi del periodo tra il 1880 e il 1920, perché penso sia stato uno dei più interessanti della storia, con gli artisti che si trovarono a confrontarsi con la Grande Guerra e con la società dell'epoca che molto spesso non li riconosceva.

Quanto c'è di inventato nel film?

Purtroppo non abbiamo una macchina del tempo e quindi non possiamo sapere come le cose siano andate esattamente. In molte interviste Jeanne, la figlia di Modigliani, ha detto che la leggenda di suo padre è stata alimentata dagli stessi artisti, da quei pittori e poeti ubriachi che si sono occupati di lui. Sappiamo com'è morto, quali erano i suoi amici e la donna che ha amato, ma non sappiamo altro. Lo scopo di una buona storia è di intrattenere ed è quello che ho cercato di fare, aggiungendo degli elementi che la rendessero più coinvolgente. Alcuni quadri sono ripresi da originali, altri li ho fatti fare alla maniera di Modigliani. Quelli del confronto tra Picasso e Modigliani, per esempio, sono inventati.

Come mai ha scelto delle musiche così particolari?

Per me questi artisti rappresentano il rock'n'roll dell'epoca: Modigliani, Picasso, Soutine erano i moderni John Lennon, Jimi Hendrix e Jim Morrison. Volevo che si sentisse l'emozione della pittura, l'energia e l'influenza che la loro arte esercita ancora oggi. La musica del film ha elementi angelici, ma ha anche qualcosa di primordiale, come l'esplosione del genio degli artisti. Sono stato molto attento nella scelta delle musiche e sapevo bene quali strumenti volevo che venissero usati. Il mio intento era seguire il viaggio che ha fatto la famiglia Modigliani, la quale si è mossa dall'Africa alla Spagna, all'Italia, e ho chiesto perciò al compositore di utilizzare strumenti africani.

Come ha scelto gli attori?

Andy Garcia è sempre stato la mia prima scelta. E' un attore molto talentuoso ed è anche molto affascinante, così come lo era Modigliani nella sua giovinezza. E' stato più difficile trovare la ragazza. Ho incontrato molte attrici a Los Angeles, ma alcune di loro non sapevano neppure pronunciare in modo corretto il nome di Jeanne. Poi ad un certo punto il mio agente mi ha fatto vedere una foto di Elsa Zylberstein, un'attrice conosciuta in Francia per la sua impressionante somiglianza alla donna di Modigliani, e ho smesso di cercare. Elsa è una donna molto fragile e ho usato questa fragilità per portarla all'emotività che vedete nel film.

Non dev'essere stata un'impresa facile ricostruire la Parigi di quell'epoca.

Fortunatamente mi hanno aiutato due geni italiani, Giantito Burchiellaro e Luigi Marchione, che hanno costruito tutto quello che avevo in mente. Abbiamo dovuto combattere ogni singolo giorno per avere tutto quello che volevamo sul set e Burchiellaro è stato un vero guerriero, riusciva a darmi sempre tutto quello che volevo e quello che volevo era qualcosa che fosse allo stesso tempo reale e surreale.

Qual è il suo rapporto con il cinema?

Io, come tante altre persone, sono cresciuto col cinema. Tra i miei eroi c'è Luchino Visconti e sono stato influenzato da film come Morte a Venezia. Da ragazzino ho cominciato a scrivere molte sceneggiature, una delle quali su Paganini. Sono andato a Los Angeles per presentarla alle varie case di produzione e lo script è finito nelle mani di Martin Scorsese che ha detto che era una delle migliori sceneggiature che avesse mai letto. Negli Stati Uniti ho trovato lavoro come sceneggiatore, ma poi sono tornato in Scozia per girare il mio primo film, The Match, anche se i soldi arrivavano sempre da Hollywood. Era un film scritto a tavolino in tre giorni, sulla scia del successo di Full Monty. Per il mio secondo film, invece, volevo girare una delle tre sceneggiature che già avevo pronte da tempo. Tra Puccini, Modigliani, e Dorian Gray, ho scelto quella sul pittore italiano perché era il mio primo amore.

Dorian Gray e Paganini. Cosa la affascina di queste figure?

Paganini era un genio, per me era il Mick Jagger del diciottesimo secolo. Un personaggio molto complesso, sexy, ma allo stesso tempo tragico, che è stato l'amante delle sorelle di Napoleone, scatenando la sua ira. E ha lottato con la Chiesa. Di Dorian Gray si dice che sia la storia di qualcuno che vende l'anima al diavolo per restare giovane e bello, ma per me lui vende la sua anima solo per essere amato. Oggi si farebbe qualsiasi cosa per essere amati, come per esempio ricorrere alla chirurgia plastica. Attualmente, quando mi guardo intorno, non vedo nessuno paragonabile a questi uomini. Un eroe moderno è Bill Gates, ma io non riesco ad avere nessuna connessione con lui. Forse perché sono un inguaribile romantico.