Matthew Modine: finita l'era Kubrick, viva l'era Malick

Abbiamo incontrato l'attore a Taormina in occasione di una masterclass durante la quale ha parlato di cinema, ma anche di politica e dei possibili progetti futuri.

Quando lavori con un maestro come Stanley Kubrick difficilmente dimentichi l'esperienza, e altrettanto difficilmente la dimenticheranno gli altri. Lo ha detto Malcolm McDowell (l'Alex DeLarge di Arancia Meccanica) a Cannes, lo ribadisce Matthew Modine (il soldato Joker di Full Metal Jacket) al Taormina Film Fest, in occasione di una masterclass durante la quale si accende la polemica politica. "Sono cresciuto nella paranoia della gente nei confronti della parola 'comunismo'. Da giovane ho fatto un film con Diane Keaton e Mel Gibson, e loro e mi hanno portato a Berlino ai tempi del muro. Ho attraversato il Check Point per andare all'Est, e avevo la stessa paranoia sulla malvagità della Russia. Poi ho conosciuto alcuni soldati, con cui ho condiviso le mie sigarette, li ho sentiti parlare dei morti russi e allora ho cominciato a cambiare il mio punto di vista. Insomma, prima ero cresciuto mettendo insieme nella mia mente Mao, Stalin, Fidel Castro, perché così pensano gli americani: tutti cattivi, tutti comunisti, senza differenza. Sa cosa penso oggi? Credo che Fukushima, Chernobyl e l'incidente nel Golfo del Messico ci abbiano resi coscienti che siamo, nel mondo e in modo globale, tutti fratelli e sorelle".

Ha per caso deciso di mollare la carriera cinematografica per iniziare, come direbbe Jack Black, un suo culto personale?
Per carità, della religione posso solo dire che togliendo la parte business ho anche cercato analizzare cosa provava a dire, poi però ho pensato al terremoto in Giappone, alle scorie nel Pacifico, alle crisi finanziarie: sono queste le cose sulle queli vale la pena concentrarsi, piuttosto. Vede, c'è una specie di governo invisibile negli Stati Uniti, funziona come il trucco di un mago: guarda qui, e ti distraggo mentre le cose vere succedono altrove.

Accade anche in Italia, temo. Parliamo di cinema: è vero che stava per fare un film con i Taviani?
Sì, incontrai i Taviani per discutere con loro di un ruolo in Good Morning Babilonia, eravamo d'accordo che mi avrebbero aspettato, perché intanto stavo girando con Kubrick. E mi hanno aspettato, aspettato, e ancora aspettato. E quando loro hanno finito il film, noi eravamo ancora lì a girare. Ma non sono critiche, sia chiaro: a Michelangelo non chiedereste mai quanto tempo serve per la Cappella Sistina, giusto? Un processo creativo non conosce limiti, il conteggio del tempo è una pratica del tutto inappropriata per un artista.

Che ricordi conserva dell'esperienza di Full Metal Jacket?
È stata una delle esperienze più importanti della mia vita, se ripenso che per due anni ho passato del tempo con Kubrick mi emoziono. Sono orgoglioso di esser stato parte di un processo capace di cambiarti la vita per sempre. Con Kubrick è finita un'era, e con Terrence Malick forse ne inizia un'altra.

Lei ha lavorato anche con Oliver Stone, per Ogni maledetta domenica.
Oliver è un tipo davvero interessante: non solo ascolta la tua storia, ma cerca di capirla da più punti di vista, di indagare cosa c'è dietro, di comprendere fino in fondo l'opinione di chi la racconta. Trovo sia un esercizio critico molto importante. Io ringrazio tutte quelle persone che, magari anche con i loro comportamenti sbagliati talvolta, ci hanno però reso più consapevoli. E hanno cambiato il nostro modo di pensare: Stone, ad esempio, insegna che bisogna sempre dire la verità al potere, altrimenti siamo solo pecore.