Chi frequenta i festival cinematografici e assiste alle proiezioni di film classici restaurati avrà visto menzionata nei credits, almeno una volta, la Film Foundation. Un'associazione che da tre decenni, sotto l'egida di Martin Scorsese, si impegna per la salvaguardia del patrimonio cinematografico mondiale, e a cui il prestigioso Festival di Karlovy Vary, in Repubblica Ceca, ha dedicato la retrospettiva della sua cinquantacinquesima edizione, tenutasi in presenza dal 20 al 28 agosto. Durante la kermesse abbiamo avuto modo di intervistare il critico egiziano Joseph Fahim, che collabora da anni con l'evento e ha curato l'omaggio insieme al direttore artistico Karel Och: "Era previsto per lo scorso anno, per i trent'anni della Film Foundation, ma poi è arrivata la pandemia e il festival è saltato. Ci siamo detti che valesse la pena proporlo quest'anno, per i trentun anni. La Film Foundation è un'alleata preziosa di tutti i festival, e il suo lavoro ha anche influito sul nostro per quanto riguarda i restauri dei film cechi."
Che cos'è la Film Foundation
Creata nel 1990, la Film Foundation si pone l'obiettivo di restaurare e diffondere in sala i film del passato, che si tratti di classici immortali o opere dimenticate. Il volto pubblico dell'iniziativa è Martin Scorsese, che spesso accompagna determinati restauri in giro per il mondo, ma nel consiglio d'amministrazione ci sono anche Francis Ford Coppola e la figlia Sofia Coppola, Paul Thomas Anderson, George Lucas, Steven Spielberg e Christopher Nolan. Da due costole dell'organizzazione sono poi nati il World Cinema Project, che si occupa del restauro di film meno conosciuti e prodotti al di fuori del continente nordamericano, e l'African Film Heritage Project, che si concentra sul cinema africano e lo rende disponibile al pubblico locale che in molti casi non ha avuto modo di vedere i titoli in questione. La missione globale è quella di salvare il cinema, tutto il cinema, senza discriminazioni di provenienza o genere.
Ed è proprio questo a giustificare l'omaggio che Karlovy Vary ha voluto rendere all'iniziativa, senza il contributo attivo di Scorsese ma con la sua approvazione, come ci ha spiegato Fahim: "Ha dato la sua benedizione, ma la selezione vera e propria è stata opera mia e di Karel. Abbiamo voluto democratizzare l'offerta, come fa la stessa Film Foundation, e ridefinire il concetto del canone dei grandi film. È una cosa che io odio, l'idea del canone classico, che alcuni film siano più meritevoli di essere salvati e visti. E a giudicare dalle reazioni degli spettatori abbiamo fatto la scelta giusta. Già due anni fa, quando abbiamo dedicato la retrospettiva a Youssef Chahine, proiettando anche i primi titoli che quasi nessuno conosce, mi ero accorto di questa fame del pubblico per qualcosa di diverso. È un fattore di cui abbiamo tenuto conto anche a livello di selezione per quest'anno: ragionando da critico mi capitava di dire che un determinato film fosse conosciutissimo, e Karel mi rispondeva che in Europa, o in Repubblica Ceca nello specifico, non era così."
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Dieci restauri
L'omaggio di Karlovy Vary alla Film Foundation era composto da dieci film, con un arco cronologico che va dal 1934 al 1991. Una selezione disparata, tra horror messicani e documentari girati in Marocco, che ha richiesto un lavoro notevole per ottenere le copie in alcuni casi, stando a Fahim: "La Film Foundation ha curato il restauro, ma non detiene i diritti di nessuno dei film, ed era necessario negoziare con i singoli aventi diritto. Il più delle volte si tratta della casa di produzione o distribuzione, ma ci sono casi com quello di Edward Yang [noto regista taiwanese morto nel 2007, n.d.r.], dove è la vedova a gestire il tutto." Altra complicazione, se proiettare in pellicola o in digitale: "Ci sarebbe piaciuto fare più proiezioni in 35mm, ma per tutta una serie di fattori è stato possibile solo con due dei film americani, The Breaking Point e Una moglie." Il primo dei titoli citati, diretto da Michael Curtiz e basato su un testo di Hemingway, ha inaugurato l'intera retrospettiva, all'interno del Grand Hall (la sala principale del festival), alle 8.30 del mattino. "È stata una bella emozione vedere la sala piena a quell'ora", ha commentato Fahim, "perché significa che c'è chi si è alzato alle 7.30 per vedere un film semisconosciuto del 1950."
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Un bel successo soprattutto per uno che, per sua ammissione, ama andare in sala soprattutto per (ri)vedere il cinema del passato: "Ritrovare il pubblico in presenza è stato eccezionale, perché l'esperienza collettiva migliora davvero il nostro rapporto con questi film. Passare un anno e mezzo a vederli su piattaforme come MUBI o Criterion Channel non è la stessa cosa, e gli spettatori lo hanno dimostrato accorrendo in massa. La cosa curiosa è che le retrospettive dei festival in genere attirano più pubblico rispetto alla programmazione regolare delle cineteche, chissà perché." C'è un titolo di cui è particolarmente fiero, a livello di accoglienza? "Direi Putney Swope, di Robert Downey Sr. [una satira sul mondo della pubblicità negli USA, n.d.r.]. Karel non l'aveva mai visto, gli ho mandato un link e ha commentato che era tra le cose più strambe che avesse mai visionato. È l'unico dei film in programma che non ho dovuto particolarmente spingere sui social, la gente l'ha trovato per i fatti propri e tutte le proiezioni erano sold out."
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