La passione dei Manetti Bros è cosa nota. I due fratelli romani cresciuti a pane, fumetti e B movie - come in un bizzarro mash-up tra i fratelli Coen e Quentin Tarantino - hanno fatto della dimensione artigianale un marchio di fabbrica. Il cinema dei Manetti, in costante crescita fin dal lontano esordio horror-rap-underground Zora la vampira, diverte il pubblico perché diverte prima di tutto i suoi autori. La regola, nemmeno tanto tacita, dei Manetti è proprio quella di restare fedeli al loro immaginario pur spaziando tra i generi. Questa continuità rende la loro produzione unica e immediatamente riconoscibile.
Fin dagli esordi nel mondo del videoclip, Marco e Antonio Manetti lavorano in simbiosi. Tanto è esplosivo l'uno quanto è riflessivo l'altro, ma ciò che accomuna i due fratelli romani è una visione ben precisa dei concetti di storytelling, intrattenimento e spettacolarità a cui si unisce un'ampiezza di vedute che li spinge a guardarsi costantemente intorno inglobando nella loro factory i nuovi talenti che emergono nel sottobosco del cinema di genere italiano. Da bravi indipendenti, i Manetti Bros. sono abituati a lavorare facendo fruttare al massimo i mezzi a disposizione e circondandosi di collaboratori fidati davanti e dietro la macchina da presa. Tra set avventurosi e sequenze rocambolesche, i Manetti riescono sempre a portare a casa il risultato e in ogni loro lavoro si respira la stessa passione che li motiva a sperimentare l'universo dei generi, perfino quelli più "rischiosi", per il gusto di rileggerli in un personalissimo omaggio.
Dimensione paura
Quando si parla dei Manetti Bros., una premessa è doverosa. Categorizzare le opere dei due cineasti romani in un unico genere è sempre e comunque una forzatura perché il cinema e la televisione prodotti da Marco e Antonio nascono sotto il segno dell'ibridazione. Ai registi piace far visita ai generi tradizionali ripensandoli e rimescolandoli in maniera curiosa e originale. Vogliamo parlare di horror e di Zora la vampira che, in realtà, di terrificante ha ben poco? Il film dei Manetti prevede la presenza del Conte Dracula in persona con tanto di iconografia spettrale, delitti, sangue e canini appuntiti, ma l'ispirazione fumettistica e la contaminazione con la scena rap (eredità della lunga esperienza dei Manetti nel mondo dei videoclip) e la cultura underground romana lo rendono un oggetto curioso, fresco e originale. A questo si aggiunge la presenza di una semiesordiente Micaela Ramazzotti nei panni di Zora e di quel monumento alla romanità che è Carlo Verdone in quelli dell'ispettore chiamato a far luce sui misteriosi decessi.
Con Paura i Manetti decidono di fare sul serio e sperimentano le gioie e i dolori dell'horror puro abbracciando la tradizione gore all'italiana dell'orrore celato in cantina grazie alla complicità di un inquietante Peppe Servillo nei panni dell'orco. Gli ingredienti del genere ci sono tutti, da una manciata di protagonisti ingenui e ignari alla dark lady di turno, decisamente dark, passando per una villa/stanza dei giochi le cui cantine nascondono orrori indicibili che, da un certo punto in poi, vengono spiattellati in faccia allo spettatore in un crescendo di tensione e pathos. Non mancano neppure un paio di scene di tortura insostenibili per i deboli di stomaco realizzare con l'aiuto del mago degli effetti speciali Sergio Stivaletti. Nonostante le molte qualità di Paura, i Manetti non sono rimasti del tutto soddisfatti dall'esperimento, ma hanno continuato a far visita al genere horror in veste di produttori con il claustrofobico The End? L'inferno fuori di Daniele Misischia e l'inedita ghost story Letto N. 6 di Milena Cocozza.
I Manetti Bros al Noir in Festival 2018: "Stan Lee ha formato la nostra etica"
Incontri ravvicinati del terzo tipo
Un pizzico di nerditudine non guasta mai, così i Manetti si confrontano con il genere profetico per eccellenza, la fantascienza, infarcendo la loro opera di istanze politiche. L'arrivo di Wang parla di diversità, di barriere linguistiche e culturali, di fiducia nell'umanità e della capacità di aprirsi all'altro. Non per nulla il punto di vista da cui viene narrata la vicenda appartiene a una traduttrice dal cinese dal cuore tenero interpretata da Francesca Cuttica a cui si affianca Ennio Fantastichini nei panni di un misterioso agente. Budget risicato all'osso, zero effetti speciali, tre soli personaggi. Le premesse per realizzare un'opera spettacolare non ci sono, ma i Manetti rileggono coraggiosamente il genere costruendo la suspence attraverso un serrato interrogatorio a tre voci che culmina in un incredibile colpo di scena. Chi se ne importa, allora, se le astronavi somigliano più a Ed Wood che a Steven Spielberg. Bastano una regia sicura e ispirata e dialoghi densi di significato a conquistare lo spettatore.
Coraggio, fatevi ammazzare!
La carriera dei Manetti Bros. trova un felice sbocco non solo sul grande schermo, ma anche in televisione. Dopo una breve incursione in Crimini, i fratelli Manetti accettano di subentrare in un format consolidato che è quello della serie austriaca Il commissario Rex. Grazie all'energia iconoclasta dei Manetti, anche una serie classica come Rex compie un salto in avanti guadagnando in dinamismo e modernità, ma è con L'Ispettore Coliandroche l'opera dei fratelli romani alle prese con il crime raggiunge la compiutezza.
Coliandro, giovane ispettore in forza alla questura di Bologna, è ignorante, razzista, sessista, grossolano e approssimativo, ma sotto sotto nasconde un cuore d'oro. Nato dalla penna di Carlo Lucarelli, nell'immaginario collettivo Coliandro ha ormai il volto di Giampaolo Morelli, attore feticcio dei Manetti che, con la serie poliziesca, rinverdiscono i fasti del poliziottesco rinnovandolo con una regia calzante e ipercinetica e con massicce dosi di humor. Imbranato e per niente coraggioso, Coliandro non brilla per tatto né per eroismo, ma alla fine se la cava sempre e i Manetti, rifacendosi alla tradizione italica, ma omaggiando massicciamente anche i vari Clint Eastwood, Chuck Norris e così via, adottano uno stile di regia sporco, immediato e diretto che permette alla serie tv di conquistare uno zoccolo duro di appassionato che segue lo show da ben sette stagioni. Prima di avere il loro Callahan, i Manetti avevano creato il loro Die Hard, sempre con l'aiuto di Giampaolo Morelli, coautore di Piano 17, thriller parossistico con venature humor che vede tre sconosciuti bloccati in ascensore con una bomba in procinto di esplodere.
Canta che ti passa
Con una svolta imprevista, nel 2013 i Manetti Bros. spiazzano il pubblico sfornando Song 'e Napule, ancora un poliziesco, ma stavolta fuori da ogni canone. Sarà merito del Vesuvio o dei babà, ma Song 'e Napule si rivela un melting pot che mescola in un unico calderone indagine poliziesca sotto copertura, musical neomelodico, camorra movie, commedia romantica senza risparmiarsi neppure qualche incursione nel demenziale. Protagonista della storia, Alessandro Roja nei panni di uno spaesato pianista disoccupato che, grazie a una raccomandazione, viene assunto in polizia e finisce infiltrato nella band di un cantante neomelodico che si esibisce ai matrimoni dei boss della camorra. Tanti i volti ricorrenti del cinema dei Manetti, da Carlo Buccirosso nel ruolo del questore alla bella Serena Rossi fino a Peppe Servillo nei panni dell'ennesimo villain, ma a rubare la scena è ancora una volta Giampaolo Morelli nell'esilarante ruolo del neomelodico Lollo Love, autore del brano immortale Cuoricina.
L'incredibile successo di Song'e Napule convince i Manetti Bros. a fare ritorno a Napoli per un'impresa senza paracadute, un musical vero e proprio che attinge ai temi della pellicola precedente unendovi, però, un approccio più maturo. La squadra attoriale, con qualche piccola variazione, è la stessa del film precedente, ma in Ammore e malavita viene chiamata ad accostarsi alla materia con maggior coinvolgimento. Ecco il killer spietato interpretato da Morelli che nasconde un passato tormentato alle prese con l'amore di gioventù, Serena Rossi, qui in veste di protagonista assoluta chiamata a sfoderare le sue notevoli capacità canore. Intorno a loro una ridda di personaggi, tutti azzeccati, a sottolineare la ricchezza narrativa del gangster-romance-musical-sceneggiata napoletana. Non solo Ammore e malavita rende giustizia alla vitalità spumeggiante di Napoli, ma rappresenta un baluardo al genere a cui viene reso finalmente onore con un'opera di qualità che regala scene di culto a profusione e duelli degni di John Woo.