Quarta miglior serie del 2025 secondo il New York Times: un riconoscimento non da poco andato ad un prodotto italiano. Parliamo di M. Il figlio del secolo. Per l'occasione, dopo l'arrivo negli Stati Uniti - via MUBI - della mastodontica produzione Sky (e qualche tentennamento da parte di altri network come HBO a distribuirla all'estero), abbiamo incontrato su Zoom uno degli showrunner che hanno firmato l'opera, Davide Serino.
Serino, del resto, è la penna dietro titoli di pregio come Qui non è Hollywood (Disney+), The Bad Guy (Prime Video), Carême (Apple TV) oltre al film La città proibita di Gabriele Mainetti. Classe 1988, nato a Varese ma cittadino romano, non sembra scegliere mai la strada più facile, e ci piace proprio per questo.
M. Il figlio del secolo: un titolo scomodo e pericoloso?
M. Il figlio del secolo è stata la serie Sky Original che ha aperto il 2025 e si è presentata subito come una delle migliori dell'anno. Ma non ha avuto vita facile.
"È evidente come, al di là del periodo storico che racconta - l'ascesa del Duce - sia un prodotto contemporaneo come pochi altri, che parla al mondo di oggi e non solo all'Italia. Anche perché purtroppo il fascismo è il nostro brand più resistente. Lo è ancora di più il populismo, ovvero questo modo di Mussolini di conquistare il cuore delle persone a partire dalle loro paure e bisogni, dalla famosa 'pancia del Paese'".
"Il primo partner a cui avevamo pensato era stata HBO, Lorenzo Mieli già lo aveva fatto con L'Amica Geniale. Dalla nostra avevamo anche un regista internazionale come Joe Wright. Ci è stato risposto da più parti, citando letteralmente, che 'Il fascismo è troppo divisivo e controverso'. Per me una risposta abbastanza inaccettabile".
Mussolini nella serie Sky
Qualcuno potrebbe obiettare, aggiungiamo noi, 'È divisivo e controverso solo se sei fascista'...
"Già con le elezioni di Trump, in realtà, percepivamo il pericolo nell'aria di una risposta del genere. C'è anche un riferimento abbastanza esplicito in un episodio 'Make Italy Great Again'. Capisco che possa sembrare quasi didascalico per un pubblico un po' più alfabetizzato e sofisticato, e su MUBI rischiamo di 'predicare ai convertiti' che non hanno dubbi e per i quali non è controverso (ride)".
Il grottesco era l'unica via possibile per raccontare l'Ascesa del Duce?
"Mussolini nella realtà ha fatto un sacco di cose che sono incredibilmente grottesche. La marcia su Roma è l'apoteosi della farsa e del bluff, diventato purtroppo un nodo storico tragico. Anche i suoi discorsi pubblici erano davvero al limite del surreale. Secondo me c'è un confine sottilissimo tra tragedia e farsa, io non riesco mai a scrivere l'una senza l'altra. Sarà una questione generazionale, ma con il co-creatore Stefano Bises e con l'autore del romanzo Antonio Scurati, c'è stato grande dibattito su questo aspetto per riuscire a trovare la chiave giusta".
Le serie in costume in Italia
Perché è così difficile fare il period drama in Italia, e perché voi invece ci siete riusciti?
"Questa è una domandona perché tutti ti consigliano di non realizzarli, a partire dai broadcaster per via del budget. Io però ho iniziato con 1992 e 1993, poi Esterno Notte, ora M e Carême. Secondo me ti permettono di parlare dell'oggi in modo indiretto e non banale. Però la fedeltà estetica può diventare un autogol perché si rischia di realizzare qualcosa proprio nell'ottica della 'serie in costume' nella concezione più antiquata del termine".
Le nuove idee
Stiamo vivendo un momento di profonda crisi creativa degli sceneggiatori?
"La quantità di idee che arrivano a noi sceneggiatori da qualche major o network che vuole che sviluppiamo un'IP già esistente, è clamorosa. Un po' un cane che si morde la coda. Un autore deve essere bravo a lasciarsi uno spazio della propria creatività dedito alla ricerca di un'idea originale. Non è sempre facile a livello di tempi, di consegne, di mercato del lavoro. Quindi anche se il sistema è la prima causa, non deve assolvere completamente gli sceneggiatori".
Un'idea originale a cui ha partecipato è The Bad Guy.
"Per noi è sempre stata 'Il Conte di Montecristo nella mafia'. Bisogna trovare un buco nella richiesta del mercato perché quando si parte da idee come questa, ci vogliono almeno 6-7 anni per vederle effettivamente realizzate. A me ad esempio terrorizzava fare Avetrana. Con Pippo Mezzapesa avevo già lavorato a Ti mangio il cuore e quindi ci stimavamo, ma c'è n'è voluto per convincermi. Quando mi sono reso conto che dentro c'era il dilemma irrisolvibile di Cosima che deve scegliere tra la figlia assassina e la nipote morta, ho capito che avevamo trovato una chiave di lettura".
Davide Serino al cinema: La città proibita
Serino, lei ha ritrovato Bises ne La città proibita di Gabriele Mainetti, andato meglio in streaming che in sala. Perché?
"Io amo moltissimo il cinema di Mainetti. Penso che se avessimo almeno altri dieci registi come lui in Italia le cose sarebbero diverse. Eppure si ritrova spesso tutti contro".
Quanto è importante scrivere in coppia?
"Io sono sempre a favore del lavoro di squadra, un po' perché il cinema e la serialità lo sono di base, un po' perché è stimolante vedere le idee che si moltiplicano a partire da una sola. Chiaramente il segreto è lavorare sempre con persone più brave di te (ride). Con Stefano siamo in due, ma spesso i team da tre sono quelli che funzionaano meglio: c'è la terza prospettiva esterna che mancava ai primi due. Così la sceneggiatura del film è un vero fusion tra wuxia cinese e romanità pop. Non bisogna mai fermarsi ma essere sempre pronti ad ibridare e sperimentare, non partire da un unico genere, come fatto con Carême, prima produzione internazionale di Apple TV ad avere uno showrunner italiano".