Con Longlegs Oz Perkins conferma il suo talento di regista e sceneggiatore: avevamo capito che avesse un suo stile distintivo già all'epoca dell'esordio, February - L'innocenza del male, e poi anche con la rivisitazione della favola dei fratelli Grimm Gretel e Hansel, ma con questo film si è superato. Arrivato al cinema, è la storia di Lee Harker (Maika Monroe, sempre più brava), agente FBI che, negli anni '90, cerca di decifrare delle lettere scritte in caratteri incomprensibili, lasciate puntualmente sul luogo del delitto da un serial killer che si firma, appunto, "Longlegs".
Per arrivare all'aspetto inquietante del personaggio, Oz Perkins e Nicolas Cage, che interpreta l'assassino, hanno lavorato insieme, parlando della propria infanzia: entrambi hanno pensato alle rispettive madri per dare ancora più corpo a questa figura misteriosa, che, non si capisce bene come, sembra in grado di spingere i padri delle famiglie da lui selezionate a uccidere mogli e figli, per poi togliersi la vita.
Abbiamo raggiunto il regista mentre stava lavorando al suo nuovo film, The Monkey, tratto da un racconto di Stephen King, e, nel corso di questa lunga intervista, ha sviscerato quello che è già uno dei film che più hanno segnato il 2024 cinematografico, guadagnandosi, praticamente istantaneamente, lo status di cult.
Longlegs: intervista a Oz Perkins
Longlegs viene spesso descritto come un horror, ma è anche un thriller psicologico. Considerato il trauma subito dalla protagonista quando è appena una bambina, potremmo dire che sia un film che ruota attorno al trauma represso? Longles è quella vocina dentro di noi che ci dice che la nostra casa potrebbe non essere sicura?
Oz Perkins: "Credo che la parola trauma, o l'idea di trauma sia molto utilizzata, forse un po' troppo. Ma il tema dell'infanzia e di come viviamo le nostre case da bambini c'è. Ogni esperienza è differente da persona a persona: alcuni vivono in famiglie molto aperte, altre sono chiuse, vivono nella segretezza. La maggior parte di noi vive una via di mezzo. Ma mi piaceva l'idea che un bambino sappia sempre tutto della propria casa: un bambino è in grado di percepire tutto. E questa cosa può essere gestita dai genitori sia in modo positivo che negativo".
"Nel caso della storia di Longlegs si parla dello sforzo di una madre di fare del bene per la propria figlia, ma che, nel provarci, fa qualcosa di terribile. Più che di traumi dovremmo parlare di cosa si è disposti a fare, fino a dove siamo pronti a spingerci, per proteggere i nostri figli?".
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Maika Monroe è l'agente FBI Lee Harker
Maika Monroe è una delle attrici più interessanti degli ultimi anni e, grazie a ruoli in film come It Follows e Watcher, è salita sul trono delle migliori interpreti dell'horror contemporaneo (se la gioca con Mia Goth). Il suo personaggio nel film di Oz Perkins è centrale: soltanto una persona come lei, completamente scollegata dalla società, che ha rifiutato l'istituzione della famiglia (non ha mariti, compagni o figli), riesce davvero a capire Longlegs. Più ci si allontana dalla società più si è in grado di comprenderla?
Per il regista, "Siccome la sua infanzia è stata interrotta quando aveva nove anni, in un certo senso ha fatto esperienza del mondo soltanto parzialmente. Nella sua adolescenza, che è il momento in cui si apprende come essere socievoli, non ha imparato a connettersi con gli altri, perché una parte della sua anima, spirito o karma, come vogliamo chiamarlo, è stato stravolto. Non ha canali per il contatto umano. Non sa come essere sociale, non sa come interagire. È molto chiusa perché il suo legame con il mondo è stato bloccato da Longlegs, sua madre e il desiderio del diavolo di farle vedere solo ciò che loro volevano che vedesse. Quindi ha un'apertura molto ristretta, dentro di sé, attraverso cui far entrare il mondo esterno".
Il lavoro sullo spazio scenico
Il lavoro sullo spazio e le geometrie del film è magnifico: la casa della protagonista, per esempio, completamente spoglia di mobili e oggetti, con le sue pareti di legno, sembra quasi una bara. Come ha lavorato il regista sugli ambienti di Longlegs?
Perkins: "Quando si gira un film, per quanto mi riguarda, cerco di fare ciò che amo e di vedere ciò che voglio vedere. Valuti 50 case e ognuna sembra quella giusta, quella che fa per te. Non c'è un grande disegno, se non l'impiegare il mio gusto e le mie preferenze: le applico, il meglio che posso, a tutto. Questo è il compito del regista: scegliere tra A, B o C, a volte. È solo una questione di gusti. Se si è sicuri del proprio gusto, allora tutto inizia a sembrare coesivo e ad avere una verità, a vivere sulle sue gambe. Non ho mai pensato che la casa di Lee fosse una bara, ma tu l'hai percepita come una bara e in effetti funziona davvero. Anzi, è fantastico. L'importante è che un film abbia personalità: troppo spesso vediamo opere in cui non c'è un gusto. E per me è una cosa davvero strana da vedere: come registi abbiamo l'opportunità di mostrare il mondo come lo amiamo e vediamo, ma a volte i film non lo fanno".
La figura del caprone
Se fate attenzione, in diverse inquadrature e ben nascosta, c'è la figura inquietante di un demone-caprone. Non la vediamo sempre, perché Perkins, come un mago, fa in modo che ci si concentri su altro. Ma la percepiamo, sappiamo che è lì. Come ha lavorato a questa presenza costante?
Il regista: "Nel copione era scritto che la figura del diavolo-capra con le corna sarebbe stata presente in alcuni punti di svolta della scoperta di Lee. E questa era solo l'espressione molto letterale del fatto che il diavolo fosse una parte della sua vita. La forza che veglia su di lei, che la guida: è quasi una figura genitoriale. La vediamo infatti quando è piccola, mentre è seduta sul letto. Ma poi, mentre stavamo tagliando il film e durante il processo di montaggio, tutto è diventato molto più profondo, più interessante di quanto non fosse in sceneggiatura. Nel processo di editing abbiamo trovato occasioni per nasconderlo nel corso di tutta la sua vita, per inserirlo in tutti i suoi spazi, per così dire. Anche per noi ha funzionato come per il pubblico: lo sentiamo, a volte lo intravediamo. Credo che abbiamo cercato di incoraggiare il pubblico a guardare davvero, a capire che il mondo che abbiamo creato è molto ricco, dettagliato e strutturato".
La figura paterna e quella materna
In Longlegs le madri sono forse troppo presenti e i padri invece assenti o violenti. E Oz Perkins spiega: "Tutti i film che faccio sono il frutto delle mie esperienze personali. Mio padre non era violento, ma era assente. L'idea del padre assente è qualcosa di tangibile in Longlegs. La madre non è necessariamente iperprotettiva ma, data l'assenza del padre, decide di diventare la protettrice. Essere una figura che protegge è una qualità materna, ma qui è quasi costretta a compensare eccessivamente questo elemento, visto che è sola".
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Alan Wake 2: le ispirazioni
Chi conosce il videogioco Alan Wake 2 non può non notare una vicinanza con Longlegs: nelle atmosfere, nello stile. Ma, a quanto pare, Oz Perkins non ci ha mai giocato: "Non so nemmeno cosa sia! Non ne ho mai sentito parlare. Quindi no, non mi sono ispirato a questo gioco. Ma, nel grande flusso di tutto quello che è disponibile, chiunque stesse facendo il gioco di Alan Wake è collegato a qualcosa che è uguale a me".
Ci sarà un sequel?
Oz Perkins ha dichiarato che il personaggio di Longlegs lo ha seguito per anni: ogni volta che pensava a un nuovo film, eccolo lì. Poi finalmente si è preso una storia tutta sua. Sappiamo che l'assassino ha operato per anni, molto prima che l'agente Lee cominciasse a dargli la caccia. Potrebbe quindi esserci un sequel di Longlegs? O magari un prequel?
L'autore: "La domanda è sempre quella. Quando qualcosa ha successo, è memorabile ed entra nel flusso della cultura popolare, la gente ne vuole di più. Quindi bisogna chiedersi: devo dare di più o devo preservare tutto? Devo lasciare che ciò che esiste rimanga immutabile, o devo farlo espandere, lasciando che diventi più di quello che già è? Al momento non posso che rispondere: non lo so. In ogni caso penso che l'idea di un sequel sia bella. O sì, anche di un prequel: può essere davvero qualsiasi cosa. Come per M. Night Shyamalan: Split è il sequel di Unbreakable - Il predestinato, sono usciti a 20 anni di distanza l'uno dall'altro, apparentemente non collegati fino all'ultima scena. Una cosa davvero eccitante e fantastica. In ogni caso esiste sicuramente l'universo di Longlegs: qualsiasi cosa io faccia, probabilmente finirà per sembrare come se appartenesse allo stesso universo. Quindi potrei farlo di proposito".
La geniale campagna promozionale
La campagna promozionale di Longlegs è stata gestita con grande intelligenza: si è deciso di non mostrare mai l'immagine di Nicolas Cage né nel trailer, né nelle immagini ufficiali del film. In questo modo si è creata grande attesa e curiosità. La stessa cosa che sta facendo anche il team del Nosferatu di Robert Eggers. È questa la strada da seguire? Bisogna smettere di rivelare troppo dei film prima che escano?
Perkins: "Neon ha accolto una lamentela degli spettatori che va avanti da anni: il pubblico non vuole che gli si mostri troppo di un film. Quante volte sentiamo dire che i trailer fanno vedere tutte le parti migliori? Ci è sembrato molto ovvio che non avremmo mostrato Nic in anticipo, che l'avremmo nascosto. Lui è il nostro punto forte, l'arma segreta. L'asso nella manica. Non credo sia sorprendente il fatto che questa strategia abbia funzionato così bene. E non mi stupisco che altre persone facciano lo stesso. Penso sia eccitante anche per noi, in un mondo in cui tutti, soprattutto il pubblico giovane, siamo costantemente connessi all'immagine usa e getta dei social, immagini che non hanno alcun valore. Trattenere l'immagine e mostrarla quando si vuole è una mossa potente".
Un horror per esorcizzare la pandemia
Pur essendo ambientato negli anni '90, guardando Longlegs potrebbe succedere, come è accaduto a chi scrive, di rivivere delle sensazioni provate durante il lockdown e la pandemia. In qualche modo Perkins ha inserito questi ricordi nel film?
L'autore: "Sì, è stato scritto durante la pandemia. Penso che nessuno sia riuscito a riprendersi completamente, a elaborare che cosa abbia significato per noi la pandemia e quale profondo cambiamento nella nostra psiche abbia comportato il momento in cui è stato detto, all'improvviso, che non potevamo più entrare in contatto con le persone. Per molto tempo i volti sono spariti. Per molto tempo non ci sono state facce nel mondo! E si perde così tanto: siamo così allenati a capire cosa proviamo guardando i volti degli altri. Quando abbiamo perso tutto questo, si è creata questa profonda e strana alienazione. È logico che Longlegs venga percepito così in una storia in cui si disconnette l'aspetto emotivo del vivere in connessione con gli altri. Non ho mai pensato di aver tenuto il viso di Longlegs fuori dall'inquadratura a causa di una connessione con le mascherine usate per il COVID, ma, ora che l'hai detto, probabilmente ormai la perdita del volto è da qualche parte nella nostra psiche".
Le inquietanti bambole del film
Le bambole di Longlegs sono degli oggetti di scena protagonisti, e davvero creepy. Il regista sta ora lavorando a The Monkey, la cui storia ruota attorno a un giocattolo dalla forma di scimmia. Perché il regista è così ossessionato dai giocattoli demoniaci?
Perkins: "Le due cose non sono affatto collegate. Sì, sono entrambe bambole, ma le bambole di Longlegs provengono da antiche credenze tribali, come bambole vudù o effigi. Rompi il braccio di questa bambola e spezzerai il braccio del tuo nemico. O anche l'idea della magia empatica: è l'origine delle marionette, a cui queste bambole si ispirano. L'idea viene da qui. Poi ho avuto la fortuna di fare un film tratto dal lavoro di Stephen King: avrei detto di sì comunque, a prescindere dalla storia. E il caso ha voluto fosse un film su un giocattolo. In un certo senso sono stato obbligato, ma sono molto felice. King è un uomo adorabile: ci dimostriamo un rispetto reciproco e silenzioso".