L'infermiere killer, la recensione: su Netflix il lato documentaristico del mostro

La recensione de L'infermiere killer, tassello documentaristico di quell'interesse mediatico su Charles Cullen, reo di aver ucciso più di 400 pazienti e già tradotto in film con The Good Nurse.

L'infermiere killer, la recensione: su Netflix il lato documentaristico del mostro

Facciamo la nostra comparsa in questa vita come anime di passaggio; segniamo più o meno le vite degli altri sulla scia di una performance da concludere con applausi scroscianti, o tiepide pacche sulla spalla. Impattanti, o sfuggevoli, incrociamo il nostro cammino con centinaia di altri percorsi esistenziali, nello stesso identico modo con cui gli infermieri attraversano i corridoi di un ospedale.

Come sottolineeremo in questa recensione de L'infermiere killer, disponibile su Netflix, questi uomini e queste donne in divisa entrano in punta di piedi nella vite dei loro pazienti, li coccolano, o si limitano a conoscerli di sfuggita. Sono angeli custodi in incognita, dizionari viventi di medicinali impronunciabili, confessori e tifosi pronti a sostenere il proprio paziente nella sua battaglia per la guarigione, o la sopravvivenza. Eppure, capita che il meccanismo si inceppi, e da esseri salvifici, gli infermieri si tramutino in macchine di morte. Sono casi estremi, eccezioni rare, ma che proprio sulla base di questa unicità accolgono un interesse mediatico fuori dal comune, e una curiosità del macabro che li tramuta in storie da indagare, racconti da tradurre in materiale cinematografico. E così, da caso di cronaca nera, la storia di Charles Cullen, reo-confesso dell'uccisione di più di 400 pazienti, si trasforma prima in film, The Good Nurse, e ora in documentario da non perdere, anche solo per cercare di capire come la mente umana, e la nostra innata misericordia, smetta di funzionare come un cuore malato, o incapace di sostenere il peso di un corpo avvelenato.

L'infermiere killer: la trama

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L'infermiere killer: una foto del film

Amato e rispettato dai colleghi del Somerset Medical Center nel New Jersey, l'infermiere esperto Charlie Cullen è stato anche uno dei serial killer più prolifici della storia: il numero stimato delle sue vittime si aggira attorno a centinaia di pazienti di varie strutture mediche del Nordest degli Stati Uniti. Tratto dal bestseller di Charles Graeber The Good Nurse (lo stesso da cui è stato tratto l'omonimo film),  il documentario presenta interviste con gli infermieri che hanno denunciato il collega, gli investigatori che hanno risolto il caso e registrazioni audio dello stesso Cullen per rivelare il percorso tortuoso verso la condanna dell'uomo.

La morte in divisa insofferente al dolore

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L'infermiere killer: un'immagine del film

Gli infermieri apprendono a salvare vite, non a stroncarle, ma in Cullen qualcosa è andato. Non più angelo custode, ma liberatore di anime, l'infermiere killer decide di svolgere con attenzione e cautela un ruolo auto-impostosi. Alla stregua di un'incapacità di assistere alla sofferenza altrui decide di ignorare la propria condotta morale, per rispondere a una voce leggera, un eco impercettibile che gli sussurra di estirpare ogni radice di mera sofferenza, lasciando vagare le anime dei pazienti al di fuori del proprio corpo. Un angelo della morte: ecco cosa diventa Charles Cullen. Come imprigionato in un gioco di specchi e continue immedesimazioni, Cullen si sveste del proprio ruolo di infermiere, per abbigliarsi di quelli mitologiche e divine della parca romana, pronta a recidere il filo della vita.

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L'infermiere killer: una scena del documentario

Era come se assistendo al dolore di pazienti bloccati su un letto di ospedale, confluissero magicamente nell'infermiere le onde di dolore che lo affogavano nella propria, personale sofferenza. Si tratta di un processo interiore improntato su continui malfunzionamenti e traumi mai affrontati, che il documentario decide di trattare, ma a dovuta distanza. Limitandosi a mostrare sul tavolo ogni singola tessera di questo puzzle complicato, senza tralasciare alcun passaggio, o indizio, il regista Tim Travers Hawkins dedica il giusto tempo a questo fattore psicologico, trattandolo con oggettività e discrezione. Un'analisi scientifica, che permette di non scadere nel facile baratro della giustificazione, o di un appiglio emotivo a cui aggrapparsi per difendere le atrocità compiute da Cullen.

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L'oggettività del dolore

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L'infermiere killer: una scena del film

È una narrazione abbigliata di obiettività, L'infermiere killer. Ogni singolo testimone ascoltato, ogni dettaglio che fa la sua comparsa in scena, risponde con coerenza a un'esigenza di racconto strettamente ancorata ai fatti. Nessuna edulcorazione, o falsa retorica. Tutto rientra perfettamente nei parametri di una riproposizione analitica del caso, lasciando che la componente umana si faccia largo attraverso il dolore di chi è rimasto, mentre i propri cari sono caduti all'ombra di una siringa maledetta, o per mano di un uomo in divisa. Perfino l'inserimento di alcune ricostruzioni drammatiche di certi passaggi non risultano mai inopportuni, ma piuttosto come evidenziatori visivi di azioni, pensieri, e ricordi condivisi a voce. Una scelta di impatto soprattutto se ad accompagnare tali riprese è la voce dello stesso Cullen. Ciò che ne deriva è una corsa a perdifiato dove la razionalità sfida all'ultimo un lato più emotivo del proprio spettatore, e il gelo di una fotografia che sa di morte imminente, compete con un calore umano che avvolge e abbraccia famigliari che sopravvivono nell'ombra di un ricordo.

L'inaccettabilità del reale

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L'infermiere killer: una foto del documentario

Vittime, investigatori e carnefici: in questa analisi di fattura documentaristica tutti trovano il proprio spazio per condividere la propria esperienza e il proprio punto di vista circa una vicenda talmente assurda, e razionalmente inaccettabile, da sembrare un film. E un film la storia dell'infermiere killer lo è diventata davvero. Quella di The Good Nurse è una visione che sicuramente aiuta a ritrovarsi coinvolti per seguire con più interesse questo documentario, forti di una conoscenza pregressa degli eventi. Ciononostante, per chi non avesse avuto modo di vedere il film di Tobias Lindholm, tale lacuna visiva non compromette, o preclude in alcun modo, la piena immersione all'interno de L'infermiere killer. Evitando il rischio di ridondanza, o la reiterazione informativa di eventi già affrontati nell'opera cinematografica, il documentario di Tim Travers Hawkins, dando voce a chi quegli eventi li ha vissuti in prima persona, riesce a infondere di un'aura del tutto nuova e inedita tale racconto. Grazie alla sapiente manipolazione dei registi e dei suoi montatori, il documentario si mostra pertanto come racconto lineare, esauriente, capace di approfondire ogni passaggio cruciale senza appesantire la visione.

The Good Nurse, la recensione: la morte in divisa

La voce ai testimoni

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L'infermiere killer: una sequenza del documentario

Partendo da un nucleo narrativo fortemente travolgente per la portata disumana che comporta, a decretare la fine della visione non vi è alcuna critica, o verdetto sulla scia di fattura nefasta lasciata dal passaggio di Charles Cullen nel servizio ospedaliero. La sentenza a una storia del genere è stata già emessa sia dalla Storia, che dalla giustizia americana. L'intento di un documentario come L'infermiere killer non è pertanto avanzare un pensiero, o un ulteriore giudizio su tale evento di cronaca nera, quanto informare nella maniera più completa possibile il proprio pubblico, livellando e colmando certi passaggi lasciati scoperti nel corso delle sue precedenti riproposte cine-televisive. Se una critica deve essere avanzata, o un giudizio elaborato, è semmai nei confronti di un sistema ospedaliero dove al terrore di perdere eventuali finanziamenti si preferisce nascondere e omettere la disumana condotta di un proprio impiegato. Senza intermediari esterni, o narratori in fuori campo, il regista lascia le redini del racconto a ogni pedina di questo gioco di sostituzione divina, permettendo così ai propri spettatori di farsi un proprio pensiero personale, senza alcun rischio di influenze esterne.

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L'infermiere killer: un'immagine del documentario

L'inserimento dei materiali di repertorio, con tanto di filmati del processo, dove i famigliari affrontano lo sguardo basso d Cullen, è una dose letale di insulina sparata al cuore dello spettatore. Ciononostante a prendere corpo è un racconto mai retorico, o smaccatamente melenso, quanto obiettivo e oggettivo. Il documentario di Tim Travers Hawkins si fa pertanto un ulteriore capitolo di quella cronaca nera che adombra sempre più la condotta umana; sono pagine redatte con la forza della cinepresa, e dettate dalla potenza di racconti diretti, disarmanti, sinceri, dolorosi, che stendono, lasciano senza fiato lo spettatore, ora colto in un'apnea perenne nell'attesa che qualcuno lo risvegli dal torpore, alla ricerca di un barlume di umana bontà.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione de L'infermiere killer sottolineando come il documentario firmato da Tim Travers Hawkins si inserisca perfettamente nella nutrita schiera di opere di matrice documentaristica realizzate con attenzione ed estrema cura. Senza l'intermediazione di un narratore fuori campo, la pellicola riesce a colpire al cuore dello spettatore, senza perdere di obiettività e oggettività di racconto.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • Lasciare che a parlare siano i veri protagonisti della storia.
  • L'inserimento in voice-over della confessione di Charles Cullen.
  • L'adesione ai fatti e il senso di obiettività che investe il racconto.

Cosa non va

  • La necessità di puntare maggiormente sui crimini passati di Cullen.
  • L'uscita a poche settimane dall'omonimo film che rischia di togliergli la meritata onda di interesse.